L’inammissibilità per novità della censura nel giudizio di legittimità civile

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I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 22069 del 28 ottobre 2015

L’inammissibilità per novità della censura nel giudizio di legittimità civile

L’inammissibilità per novità della censura nel giudizio di legittimità civile

Il caso

Un tale, conveniva in giudizio l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento innanzi al Tribunale di Agrigento esponendo di possedere da oltre vent’anni, in modo continuativo palese e pacifico, un appezzamento di terreno sito nello stesso Comune. Assumeva di aver recintato e spianato detto terreno, dove da oltre un ventennio esercitava la propria attività lavorativa, avendolo adibito a deposito di auto in disuso e ferrivecchi, impiantandovi anche, in modo precario, una baracca, chiedeva che, ai sensi dell’art.  1158  cc. fosse dichiarato  l’acquisto  per usucapione  di  detto appezzamento di terreno.

Le difese del convenuto

Si costituiva l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento eccependo l’inammissibilità della  domanda trattandosi di terreno abusivamente occupato dall’attore  in quanto avente destinazione  pubblica  e,  pertanto,  non usucapibile.

La sentenza di primo grado

Istruita la causa anche con CTU, il Tribunale di Agrigento rigettava la domanda dell’attore sia perché il bene non era usucapibile, e sia anche perché l’attore non avrebbe dimostrato il possesso uti dominus.

L’appello

Avverso questa sentenza proponeva appello l’originario attore lamentando l’erronea decisione del Tribunale. Si costituiva anche in questa fase l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento, chiedendo il rigetto delle domande attoree e la conferma della sentenza di primo grado, con vittorie delle spese del grado.

La sentenza di appello

La Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento e condannava l’appellante alla rifusione delle spese di giustizia del grado. Secondo la Corte di Palermo, non vi era dubbio che il bene di che trattasi fosse un bene destinato ad un pubblico servizio  e che fosse collegato funzionalmente con l’attività istituzionale dell’Ente pubblico. Il bene, pertanto, non era soggetto ad usucapione. Da qui il ricorso per cassazione.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 830, 828, e 826 cc., e dei principi consolidati in materia di appartenenza dei beni al patrimonio indisponibile.  Secondo il ricorrente, la mera destinazione ad edificabilità del terreno oggetto della controversia  prevista nel piano Regolatore del Comune di Agrigento  non consentirebbe di affermare, come ha fatto la Corte di Palermo, che il bene appartenesse  al  patrimonio  indisponibile  dello  IACP.  La destinazione urbanistica del bene ad edificabilità non dimostrerebbe affatto, che il bene de quo, fosse destinato ad un pubblico servizio  nel senso previsto e richiesto dagli artt. 830, 828 e 826 cc. Insomma, eccepisce il ricorrente, la destinazione a soddisfare una pubblica esigenza non potrebbe farsi consistere,  come avrebbe fatto la Corte di Appello, nella mera previsione di edificabilità contenuta nel PGR, in quanto occorreva che la destinazione al pubblico fosse stata concreta. Piuttosto, l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un Ente territoriale discenderebbe non solo dall’esistenza di un atto amministrativo che lo avesse destinato ad uso pubblico, ma dalla concreta utilizzazione dello stesso, la cui mancanza doveva essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del beni ai fini di pubblica utilità.

Il primo quesito sottoposto alla Suprema Corte

Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte di Cassazione: se la mera destinazione urbanistica ad ampliamento viario ed edificabilità di un terreno risultante dal PRG sia di per sè sufficiente a dimostrare l’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile del soppresso Ente Zolfi Italiano e dello IACP a questo subentrato, pur in mancanza di una concreta utilizzazione del bene stesso da parte del detto ente per una delle sue finalità istituzionali. Se, invece, ai sensi dell’art. 830, 828,e 826 cc occorre che la destinazione al pubblico servizio debba esistere in concreto, e debba consistere in una concreta utilizzazione del bene da parte dell’Ente IACP per una sua finalità istituzionale.

La statuizione di inammissibilità per novità della censura.

I giudici di legittimità dichiarano il motivo  inammissibile  per  novità  della  censura  relativa all’appartenenza,  del  bene  oggetto  della  controversia,  al  patrimonio indisponibile dell’Ente Zolfi  e, successivamente, dell’Ente IACP. Difatti, come emerge, chiaramente, dalla sentenza impugnata, l’originario attore, con l’atto di appello, aveva lamentato che il Tribunale, erroneamente, avesse inquadrato la fattispecie al suo esame, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828 cc., dato che il terreno oggetto della controversia, costituendo un relitto del  programma  residenziale  di  edilizia  realizzata  dall’Ente  Zolfi,  già ampiamente definito all’epoca della liquidazione, doveva ritenersi come tutte le accessioni e le pertinenze appartenenti al patrimonio  comune dei proprietari limitrofi riscattati e non al patrimonio vincolato della IACP.

Viceversa, nella fase di legittimità il  ricorrente  lamenta che  la  Corte distrettuale abbia ritenuto che la mera destinazione ad edificabilità del terreno de quo  nel vigente Piano Regolatore del Comune di Agrigento avesse determinato l’appartenenza del bene stesso al patrimonio indisponibile della IACP.

Secondo gli Ermellini, si tratta, ovviamente, di due prospettive difensive assolutamente diverse perché nel primo caso il ricorrente ritiene che il bene di che trattasi avesse perduto la qualità di pubblica utilità e nel secondo caso, cioè, con la censura prospettata in nel giudizio di legittimità, il ricorrente lamenta, invece, che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che il bene non aveva, mai, avuto la qualità di pubblica utilità e, quindi, non era mai appartenuto al patrimonio indisponibile dell’Ente di cui si dice, perché la destinazione a soddisfare una pubblica esigenza non poteva farsi consistere nella mera previsione di edificabilità contenuta nel PRG, in quanto occorreva che la destinazione al pubblico servizio fosse concreta.

Il principio di diritto

Ricordano i giudici di piazza Cavour che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente – proseguono gli Ermellini – al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Il secondo motivo di ricorso

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cpc., per omessa pronuncia su motivo di appello e mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Eccepisce il ricorrente che con l’atto di appello aveva rilevato  che  l’Ente Zolfi Italiana aveva realizzato tutto  il  suo programma di edilizia residenziale  pubblica prima ancora che fosse  stata disposta la sua liquidazione. Il terreno de quo che all’atto dell’occupazione era un immondezzaio, costituiva semplicemente un relitto del programma costruttivo realizzato, non più utilizzato dall’Ente Zolfi Italiana. Ora l’art. 9 della legge 167 del 1962 prevede che l’approvazione del PEEP  equivale a dichiarazione di pubblica utilità  indifferibilità urgenza di tutte le opere, impianto ed edifici in esso previste, stabilisce anche che le aree comprese nel piano, rimangono soggette, durante il periodo di efficacia del piano stesso, ad espropriazione a norma  degli articoli seguenti  per i fini di cui al primo comma dell’art. 1. Pertanto, decorso il periodo di efficacia la situazione giuridica determinata dal piano ed i relativi vincoli sono venuti meno per cui il terreno sarebbe diventato un terreno privato e come tale usucapibile. La Corte di Appello – conclude sul punto il ricorrente – in ordine alla circostanza della sopravvenuta disponibilità del bene essendo decorso il tempo di efficacia del PEEP  in assenza di concreta utilizzazione avrebbe omesso una qualsivoglia motivazione.

Il secondo quesito di diritto.

Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Corte di Cassazione, se un terreno inserito in un PEEP possa essere considerato a distanza di anni di compiuta realizzazione del programma costruttivo da parte del soppresso Ente Zolfi Italiani, ancora facente parte del patrimonio indisponibile dell’Ente (nel caso in esame dello IACP subentrato all’Ente Zolfi Italiani). Se, invece, il detto terreno, decorsi il periodo di efficacia del piano ed il periodo fissato per il compimento dei lavori previsti dall’art. 9 della legge n. 167 del 1962 debba essere considerato come appartenente al patrimonio indisponibile dell’Ente e come tale usucapibile.

La Suprema Corte rigetta anche tale motivo

Secondo gli Ermellini, in verità, il ricorrente, con la censura in esame, ripropone una questione che la Corte di Palermo ha esaminato e deciso spiegando ampiamente le ragioni di fatto e di diritto per le quali ha ritenuto che il bene in oggetto apparteneva al patrimonio indisponibile dell’Ente IACP, perché tale bene era destinato ad un pubblico  servizio  e  funzionalmente  connesso  all’attività  istituzionale dell’Ente pubblico non territoriale IACP, le cui ragioni, proprio perché, prive di vizi logici e/o giuridici, vanno condivise e ribadite, anche, in questa sede. Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna è interessante non tanto in relazione al principale (o se si preferisce, unico) argomento trattato (l’usucapione), quanto invece in relazione al principio affermato in tema di novità della censura del ricorso per cassazione.

In buona sostanza, il ricorso per cassazione deve essere (e non può che essere) letto e valutato in stretta relazione con i motivi di appello. Ditalchè, non è possibile, pena la inammissibilità della censura, dedurre in cassazione motivi “nuovi”, nuovi nel senso che non sono stati dedotti coi motivi di gravame.

Ed è proprio quel che è successo nel caso in esame.

I giudici di piazza Cavour non affrontano il tema della fondatezza o meno del (primo) motivo di ricorso, ma si limitano ad affermare che la prospettazione del ricorrente è nuova, dunque del tutto deassiale rispetto a quanto ha formato oggetto di doglianza nei motivi di appello.

Addirittura, per i giudici della Cassazione, la prospettazione difensiva contenuta nell’atto di appello è del tutto diversa rispetto a quella prospettata (per la prima volta) in sede di legittimità.

Ma vi è di più.

Ricordano i giudici di piazza Cavour che al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, il ricorrente ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Come dire, per valutare la opportunità di proporre un ricorso per cassazione occorre fare i conti non solo e non tanto con la erroneità, in astratto, della decisione da gravare, quanto e soprattutto con le doglianze contenute e prospettate nei motivi di appello.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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