Error in procedendo: quando la cassazione diventa giudice del fatto.

Download PDF

Il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza – con sentenza 13 aprile 2015 n.7374

Error in procedendo: quando la cassazione diventa giudice del fatto.

Error in procedendo: quando la cassazione diventa giudice del fatto.

Il caso 

Un contraente proponeva domanda innanzi al Tribunale chiedendo la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’altro contraente, la restituzione delle somme sborsate ed il risarcimento del danno.

Il Tribunale, previo espletamento di una ctu, accoglieva le domande attoree.

Controparte interponeva appello avverso la sentenza e l’appellato svolgeva, a sua volta, appello incidentale in relazione al mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto.

La Corte di appello ribaltava la sentenza, annullando la pronunzia in punto di restituzione delle somme e rigettando l’appello incidentale.

Da qui il ricorso per cassazione.

Con uno dei motivi, l’attore (in primo grado) deduceva violazione degli articoli 112 cpc, 1175-1176 e 1375 cod.civ., per avere la corte di appello erroneamente affermato la violazione da parte del tribunale dell’articolo 112 codice di procedura civile; là dove il primo giudice, a dire della corte territoriale, avrebbe affermato la responsabilità di Creative srl per un inadempimento contrattuale (omissione dei test necessari a verificare la compatibilità della protesi con la cute del paziente) diverso da quello dedotto in giudizio da esso attore (difformità della protesi impiantata rispetto al tipo di intervento contrattualmente pattuito). Contrariamente a tale assunto, il tribunale non era incorso in alcuna violazione del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato, avendo motivatamente riscontrato l’effettiva sussistenza dei gravi inadempimenti da esso attore fin dall’inizio addebitati a Creative srl.

Perché la Corte di Cassazione ritiene fondato il motivo.

Secondo la Suprema Corte, la corte territoriale ha ravvisato la violazione dell’articolo 112 cpc da parte del tribunale poiché quest’ultimo, pur senza arrivare alla pronuncia di risoluzione contrattuale, aveva accolto la domanda risarcitoria individuando a carico di Creative srl due specifici inadempimenti, insiti (sent. pag.5): – nel non aver mostrato al Castaldo la protesi prima di consegnargliela; – nel non aver sottoposto il Castaldo “ai necessari test preventivi per appurare l’esistenza di eventuali patologie che avrebbero potuto causare problemi in seguito all’applicazione della protesi”. Tali addebiti, secondo la corte di appello, dovevano ritenersi diversi da quelli dedotti in giudizio dal Castaldo, basati essenzialmente sulla difformità della protesi impiantata rispetto alla descrizione dell’intervento originariamente pattuito in contratto.

Per gli Ermellini questa affermazione non è dirimente in quanto il Tribunale ha ravvisato l’inadempimento di Creative S.r.l., sia nel non aver mostrato al Castaldo la protesi prima della sua installazione, sia nel non aver appurato la tolleranza del soggetto alla protesi medesima. La mancata effettuazione dei test preventivi – reputati “necessari” dal tribunale alla realizzazione dello scopo contrattuale – aveva fatto sì che il Castaldo, poco dopo l’applicazione della protesi, avesse riportato alcuni disturbi (“prurito, senso di peso al capo e cefalea”) risultanti dalla certificazione medica in atti e, comunque, ritenuti dal ctu causalmente riferibili alla protesi stessa. Diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, l’affermazione del tribunale non andava oltre la domanda del Castaldo, dal momento che fin dall’atto di citazione in primo grado (riportato in ricorso) questi aveva chiesto la risoluzione del contratto per grave inadempimento di Creative S.r.l.; insito sia nella difformità del prodotto rispetto alla previsione contrattuale (“installazione di una guaina di plastica munita di capelli finti, in sostanza né più né meno che una parrucca”, a fronte dell’impegno ad effettuare l’infoltimento con capelli veri radicati su tessuto dermatologicamente compatibile), sia nella sua “totale inadeguatezza” rispetto agli scopi connaturati al contratto.

Logica conseguenza di ciò è che la Suprema Corte, in sede di giudizio di legittimità, può procedere all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali per verificare la violazione del principio tra il chiesto e il pronunciato, ovvero il principio del tantum devolutum quantum appellatum.

Il principio espresso dalla Suprema Corte

Per la Suprema Corte “il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti” (da ultimo, Cass. n. 21421 del 10/10/2014).

Una breve riflessione.

Il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza richiamata è l’espressione della necessità, da parte del giudice di legittimità, di dover “scendere” ad esaminare i fatti allorquando venga denunciato uno dei due vizi rispettivamente previsti dall’art. 112 c.p.c. e dall’art. 345 c.p.c.

In tal caso, il giudice di legittimità, si “spoglia” dalla sua funzione propria per diventare, da un certo punto di vista, giudice del fatto. Soltanto analizzando ed interpretando gli atti processuali la Suprema Corte potrà infatti verificare se il giudice di merito si sia attenuto alle domande, sia andato extra petitum ovvero non si sia pronunciato su alcune o su tutte le domande. Ovvero, nel caso di giudizio di appello, non abbia esaminato impugnazioni proposte ovvero si sia pronunciato su aspetti della sentenza non oggetto di gravame.

Nel caso di denuncia di error in procedendo, la Suprema Corte diventa giudice del fatto.

Ma, tale affermazione, certamente vera, ha una effettiva portata solo terminologica, giacchè, in definitiva, pur quando la Suprema Corte diventa giudice del fatto, non fa altro che, in  definitiva, garantire il rispetto delle norme di legge. Pertanto, si potrebbe concludere che anche quanto la Corte di Cassazione esamina il fatto per “correggere” l’error in procedendo, rimane, pur sempre, giudice di legittimità.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managin partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF