La notifica dell’avviso di rilascio immobile impedisce l’inefficacia del sequestro giudiziario

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“Qualora il sequestro giudiziario ex art. 670, comma secondo c.p.c., abbia ad oggetto un’azienda composta anche di beni immobili ed il custode sia persona diversa dal detentore, al fine di impedire l’inefficacia della misura relativamente a tali beni è sufficiente che il sequestrante consegni all’ufficiale giudiziario l’avviso ex art. 608 comma primo c.p.c., richiamato dall’art. 677 comma secondo c.p.c., entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pronuncia, ai sensi dell’art. 675 c.p.c.”.
“Se il custode è persona diversa dal detentore e l’azienda è composta da beni mobili ed immobili, l’attuazione del sequestro è regolata dall’art. 677 c.p.c., e può compiersi con le formalità di cui agli artt. 605 per i mobili e quelle di cui all’art. 608 c.p.c. per gli immobili»

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con ordinanza n. 22945 depositata il 13 settembre 2019

La notifica dell’avviso di rilascio immobile impedisce l’inefficacia del sequestro giudiziario
La notifica dell’avviso di rilascio immobile impedisce l’inefficacia del sequestro giudiziario

Il caso
Un coerede ha chiesto al tribunale di Verona di dichiarare l’inefficacia del sequestro giudiziario dei beni facenti parte dell’asse ereditario del de cuius, sequestro disposto ante causam su richiesta dell’altro coerede.
La ricorrente aveva sostenuto che la misura non era stata attuata nel termine di trenta giorni di cui all’art. 675 c.p.c..
Il tribunale ha accolto il ricorso e ha dichiarato l’inefficacia del sequestro, ma la pronuncia è stata integralmente riformata dalla Corte distrettuale, la quale, in accoglimento dell’appello proposto dalla ricorrente coerede, ha ritenuto che l’avvenuta notifica dell’avviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. nel rispetto del termine di legge aveva impedito la perenzione del provvedimento.
Da qui il ricorso per cassazione articolato su tre motivi
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 675 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che la previsione di un termine perentorio per l’attuazione della misura è volta a garantire le medesime esigenze di urgenza che sono a fondamento dell’adozione del sequestro, per cui detta attuazione va effettuata mediante l’accesso dell’ufficiale giudiziario al luogo ove sono collocati i beni da sequestrare, anche ove infruttuoso, specie nell’ipotesi, quale quella in esame, in cui il custode sia persona diversa dal detentore, mentre la notifica del solo preavviso di rilascio non è idoneo a dar luogo all’attuazione delle misura e ad impedirne la perenzione.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. e degli artt. 605, 608 e 677 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5 c.p.c., per aver la sentenza, del tutto immotivatamente, ritenuto che l’attuazione del sequestro di azienda ricade nella previsione dell’art. 677 c.p.c., mentre la norma, richiamando gli artt. 605 e s.s. c.p.c. in quanto compatibili, non è applicabile allorquando il provvedimento attinga l’azienda nell’insieme delle sue componenti.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 605, 608 e 677 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 c.p.c., sostenendo che il sequestro di azienda può essere attuato alternativamente: a) nelle forme del sequestro mobiliare, essendo l’azienda un’universalità di beni; b) con le formalità esecutive previste dal codice di rito in relazione a ciascuna tipologia dei beni aziendali; c) mediante l’immissione in possesso del custode da parte dell’ufficiale giudiziario; d) mediante l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese.
A parere della ricorrente il provvedimento non poteva ritenersi eseguito tempestivamente con la notifica del preavviso, potendo quest’ultimo valere solo per le misure conservative degli immobili, mentre, in presenza di altri beni aziendali, vanno osservate le norme in tema di esecuzione in forma specifica per consegna, la cui esecuzione inizia con l’accesso dell’ufficiale ai luoghi in cui si trovano i beni.
La Suprema Corte, pur a fronte della intervenuta rinuncia agli atti del giudizio, ritualmente accettata dalla controricorrente, data la rilevanza nomofilattica e la particolare importanza delle questioni sollevate, ha ritenuto di dover comunque esaminare il merito del ricorso ai fini dell’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c. (cfr. S.U. 19051/2010).
Le questioni interpretative demandate alla Suprema Corte.
Il ricorso propone due distinte questioni interpretative: a) se, per evitare l’inefficacia del sequestro giudiziario di immobili, è sufficiente la notifica dell’avviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. o è richiesto l’accesso dell’ufficiale giudiziario, allorché sia nominato custode una persona diversa dal detentore del bene; b) se anche l’attuazione del sequestro di azienda è disciplinata dall’art. 677 c.p.c..
Rilevano i Giudici di Piazza Cavour che l’art. 670 comma primo, n. 1, c.p.c., prevedendo espressamente la possibilità di ottenere il sequestro giudiziario dell’azienda ove sussista la necessità di disporre la conservazione e la custodia dei beni che la compongano e ne sia controversa la proprietà o il possesso, considera unitariamente l’oggetto della misura, come entità non scomponibile nelle singole consistenze funzionalmente organizzate per l’esercizio dell’impresa.
Detta unitarietà viene in rilievo, già sul piano testuale, principalmente riguardo alla possibilità di ricomprendere nell’oggetto della misura cautelare l’intero complesso dei beni aziendali, quale che sia la natura delle singole dotazioni, senza tuttavia imporre un’unica modalità attuativa, tantomeno nelle sole forme dell’esecuzione per consegna (art. 605 c.p.c.).
Per i Giudici di legittimità, occorre considerare che il provvedimento ex art. 670 c.p.c., essendo rivolto a soddisfare esigenze custodiali e conservative, attinge necessariamente i singoli cespiti nella loro materialità, come può argomentarsi dall’art. 676 c.c.p. che, appunto, prevede che il giudice possa disporre le cautele idonee a rendere più sicura la custodia.
La relativa attuazione, ove il custode sia persona diversa dal detentore, si compie mediante lo spossessamento (Cass. 22860/2007; Cass. 1716/1998; Cass. 1353/1957), che, anche in presenza di immobili, interessa individualmente le singole consistenze, sebbene l’oggetto della misura sia compiutamente identificato mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere tutti i beni funzionalmente collegati per l’esercizio dell’impresa (Cass. 877/2004; Cass. 8429/2000).
L’art. 677 comma primo c.p.c. – proseguono gli Ermellini – dispone che l’attuazione si compie a norma dell’art. 605 e ss. c.p.c. (precetto per consegna e per rilascio) in quanto applicabili. Il secondo comma prevede l’applicabilità dell’art. 608, comma primo c.p.c. ove il custode sia persona diversa dal detentore.
Tale ultima disposizione, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. dall’art. 2, comma terzo, lettera e), D.L. 35/2005, convertito con L. 80/2005, assegna alla notifica dell’avviso di rilascio la valenza di atto con cui si inizia l’esecuzione per rilascio.
Secondo i Giudici Supremi, l’art. 677 c.p.c. è applicabile anche all’attuazione del sequestro di azienda, non ostandovi né il limite di compatibilità con le norme in tema di esecuzione per consegna e rilascio, né la particolare natura dell’oggetto del provvedimento.
La norma non contiene – in proposito – alcuna esclusione (art. 670 c.p.c.) ed anzi proprio il richiamo ad entrambe le forme di esecuzione (artt. 605 e ss. c.p.c) impone di far riferimento alla disciplina applicabile in relazione alla natura dei singoli beni che ne vengono attinti.
D’altro canto, la natura unitaria del complesso aziendale non ha carattere assoluto neppure quando l’azienda è presa in considerazione nella sua globalità (come può arguirsi dall’art. 2556 c.c. ove impone il rispetto dei requisiti di forma del contratto di trasferimento dell’azienda ove imposti dalla natura dei singoli beni in essa ricompresi), e, in mancanza di una diversa previsione, non ne è preclusa in linea di principio e a determinati effetti, una valutazione atomistica.
Parimenti – proseguono i Giudici di Piazza Cavour – l’assoggettamento al regime dei beni mobili non è suscettibile di generalizzazioni: a date condizioni, ciascun bene aziendale può costituire oggetto di separati atti e rapporti giuridici ex art. 816 c.c. (cfr. Cass. 9460/2000 in tema di azione di restituzione di azienda ex art. 103, L. 267/1942, nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.LGS. 5/2006; per la natura mobiliare dell’azienda, Cass. 9046/2004 in motivazione e Cass. 748/1961).
Limitandosi all’ipotesi in esame (azienda costituita da beni mobili ed immobili; custodia affidata ad un soggetto diverso dal detentore), per i Giudici della Suprema Corte il richiamo contenuto nell’art. 677 c.c. alle formalità dell’esecuzione per consegna e per rilascio (artt. 605 e ss. c.p.c.) va – dunque – adeguatamente valorizzato, dando prevalenza non già ad un’astratta considerazione dell’azienda quale universitas iuris di natura mobiliare (con quanto ne consegue riguardo ai profili strettamente attuativi), ma alle finalità pratiche del provvedimento, in modo che il custode possa validamente apprendere le singole consistenze nella loro materialità (art. 677 comma secondo c.p.c.).
La natura composita del complesso aziendale consente – pertanto – di procedere all’attuazione della misura nelle forme dell’esecuzione per consegna relativamente ai beni mobili e a quella per rilascio relativamente agli immobili, senza che ciò pregiudichi l’effettività della tutela cautelare anche nella fase attuativa e l’urgenza di provvedere che connota i provvedimenti ex art. 670 c.p.c., e senza che sia disattesa la ratio acceleratoria sottesa all’art. 675 c.p.c., non derivandone un irragionevole appesantimento degli adempimenti da cui è gravato il sequestrante.
Per gli immobili aziendali, l’attuazione ha – dunque – inizio con la notifica dell’avviso ex art. 608, comma primo, c.p.c. quale adempimento preliminare indispensabile per il rilascio, che – a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma terzo, lettera e), D.L. 35/2005, convertito con L. 80/2005, costituisce il primo atto dell’esecuzione e quindi, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 677 c.p.c., anche dell’attuazione del sequestro.
Detta notifica deve intervenire nel rispetto del termine di trenta giorni dal provvedimento a pena di inefficacia (art. 675 c.p.c.), con la precisazione che, in tal caso, gli effetti della misura sono fatti salvi dalla tempestiva consegna dell’avviso all’ufficiale giudiziario, non potendo porsi a carico del sequestrante l’eventuale ritardo con cui la notifica venga poi eseguita.
Per ragioni di ordine sistematico – oltre che pratico – e all’esito del necessario bilanciamento degli interessi in conflitto, per i Giudici della Suprema Corte devono ritenersi applicabili anche all’ipotesi in esame i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di scissione degli effetti della notifica tra notificante e notificato (Corte cost. 477/2002). Difatti, la consegna dell’avviso all’ufficiale giudiziario costituisce l’esclusivo atto di impulso che, nella sequenza procedimentale della fase attuativa, è nella disponibilità del sequestrante e che questi è tenuto – quindi – ad avviare per impedire la perenzione della misura, non derivandone alcun vulnus al diritto di difesa del sequestrato, che sin dal momento in cui ha notizia dell’avvio dell’attuazione, è in grado di sollecitare gli eventuali controlli di regolarità.
Infine, secondo i Giudici di legittimità, non contrastano con le soluzioni qui raggiunte i principi affermati da Cass. 11345/1992 e da Cass. 850/1967 (secondo cui non può ritenersi primo atto esecutivo, idoneo ad impedire la perenzione del sequestro, la notificazione dell’avviso di rilascio), dato che tali precedenti si riferiscono evidentemente ad un dato normativo ormai mutato. Attualmente, l’art. 608, comma primo, c.p.c. (richiamato dall’art. 677 c.p.c.) dispone – infatti – che l’esecuzione per rilascio ha inizio con la notifica dell’avviso.
Da qui l’estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia al ricorso, con contestuale affermazione dei seguenti principi di diritto:
“Qualora il sequestro giudiziario ex art. 670, comma secondo c.p.c., abbia ad oggetto un’azienda composta anche di beni immobili ed il custode sia persona diversa dal detentore, al fine di impedire l’inefficacia della misura relativamente a tali beni è sufficiente che il sequestrante consegni all’ufficiale giudiziario l’avviso ex art. 608 comma primo c.p.c., richiamato dall’art. 677 comma secondo c.p.c., entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pronuncia, ai sensi dell’art. 675 c.p.c.”.
“Se il custode è persona diversa dal detentore e l’azienda è composta da beni mobili ed immobili, l’attuazione del sequestro è regolata dall’art. 677 c.p.c., e può compiersi con le formalità di cui agli artt. 605 per i mobili e quelle di cui all’art. 608 c.p.c. per gli immobili».
Una breve riflessione
Sentenza interessante quella in rassegna in quanto opera un corretto e prudente bilanciamento di interessi.
Per evitare la dichiarazione di inefficacia del sequestro è sufficiente richiedere la notifica dell’avviso ex art. 608 c.p.c. entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pronuncia, con la precisazione che, essendo anche in tale ipotesi operante il principio di scissione della notificazione degli atti, è sufficiente la consegna dell’avviso ex art. 608 c.p.c. all’ufficiale giudiziario.
La Suprema Corte precisa infine quali siano le norme applicabili nel caso in cui il custode sia persona diversa dal detentore e l’azienda sia composta da beni mobili ed immobili.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
Managing partner at clouvell (https://www.clouvell.com)

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