Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda civile – sentenza n. 22069 del 28 ottobre 2015

Download PDF

Svolgimento del processo

(Attore Omissis), con atto di citazione del 19 maggio 1993, conveniva in giudizio l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento innanzi al Tribunale di Agrigento, esponendo di possedere da oltre vent’anni in modo continuativo palese e pacifico, un appezzamento di terreno sito in Agrigento contrada (Omissis)  della superficie di are 59,60  assumeva di aver recintato e spianato detto terreno, dove da oltre un ventennio esercitava la propria attività lavorativa, avendolo adibito a deposito di auto in disuso e ferrivecchi, impiantandovi anche, in modo precario, una baracca, chiedeva che, ai sensi dell’art.  1158  cc. fosse dichiarato  l’acquisto  per usucapione  di  detto appezzamento di terreno.

Si costituiva l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento eccependo l’inammissibilità della  domanda trattandosi di terreno abusivamente occupato dall’attore  in quanto avente destinazione  pubblica  e,  pertanto,  non usucapibile.

Istruita la causa anche con CTU, il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. ____/____ del 2001, rigettava la domanda dell’attore sia perché il bene non era usucapibile, e sia anche perché il (attore Omissis) non avrebbe dimostrato il possesso uti dominus.

Avverso questa sentenza proponeva appello (attore Omissis) lamentando l’erronea decisione del Tribunale. Si costituiva anche in questa fase l’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento, chiedendo il rigetto delle domande attoree e la conferma della sentenza di primo grado, con vittorie delle spese del grado.

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 931 del 2009, confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento e condannava l’appellante alla rifusione delle spese di giustizia del grado. Secondo la Corte di Palermo, non vi era dubbio che il bene di che trattasi fosse un bene destinato ad un pubblico servizio  e che fosse collegato funzionalmente con l’attività istituzionale dell’Ente pubblico. Il bene, pertanto, non era soggetto ad usucapione.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da (attore Omissis) con ricorso affidato a due motivi. L’Istituto Autonomo Case Popolari di Agrigento ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

l.= Con il primo motivo di ricorso, (attore Omissis), denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 830, 828, e 826 cc., e dei principi consolidati in materia di appartenenza dei beni al patrimonio indisponibile.  Secondo il ricorrente, la mera destinazione ad edificabilità del terreno oggetto della controversia  prevista nel piano Regolatore del Comune di Agrigento  non consentirebbe di affermare, come ha fatto la Corte di Palermo, che il bene appartenesse  al  patrimonio  indisponibile  dello  IACP.  La destinazione urbanistica del bene ad edificabilità non dimostrerebbe affatto, che il bene de quo, fosse destinato ad un pubblico servizio  nel senso previsto e richiesto dagli artt. 830, 828 e 826 cc. Insomma, eccepisce il ricorrente, la destinazione a soddisfare una pubblica esigenza non potrebbe farsi consistere,  come avrebbe fatto la Corte di Appello, nella mera previsione di edificabilità contenuta nel PGR, in quanto occorreva che la destinazione al pubblico fosse stata concreta. Piuttosto, l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un Ente territoriale discenderebbe non solo dall’esistenza di un atto amministrativo che lo avesse destinato ad uso pubblico, ma dalla concreta utilizzazione dello stesso, la cui mancanza doveva essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del beni ai fini di pubblica utilità.

Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte di Cassazione: se la mera destinazione urbanistica ad ampliamento viario ed edificabilità di un terreno risultante dal PRG sia di per sè sufficiente a dimostrare l’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile del soppresso Ente Zolfi Italiano e dello IACP a questo subentrato, pur in mancanza di una concreta utilizzazione del bene stesso da parte del detto ente per una delle sue finalità istituzionali. Se, invece, ai sensi dell’art. 830, 828,e 826 cc occorre che la destinazione al pubblico servizio debba esistere in concreto, e debba consistere in una concreta utilizzazione del bene da parte dell’Ente IACP per una sua finalità istituzionale.

1.1.=  Il  motivo  è  inammissibile  per  novità  della  censura  relativa all’appartenenza,  del  bene  oggetto  della  controversia,  al  patrimonio indisponibile dell’Ente Zolfi  e, successivamente, dell’Ente IACP. Come emerge, chiaramente, dalla sentenza impugnata (attore Omissis) con l’atto di appello aveva lamentato che il Tribunale, erroneamente, aveva inquadrato la fattispecie al suo esame, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828 cc., dato che il terreno oggetto della controversia costituendo un relitto del  programma  residenziale  di  edilizia  realizzata  dall’Ente  Zolfi,  già ampiamente definito all’epoca della liquidazione, doveva ritenersi come tutte le accessioni e le pertinenze appartenenti al patrimonio  comune dei proprietari limitrofi riscattati e non al patrimonio vincolato della IACP. In questa fase  di  legittimità,  il  ricorrente,  invece,  lamenta che  la  Corte distrettuale abbia ritenuto che la mera destinazione ad edificabilità del terreno de quo  nel vigente Piano Regolatore del Comune di Agrigento avesse determinato l’appartenenza del bene stesso al patrimonio indisponibile della IACP. Si tratta, ovviamente, di due prospettive difensive assolutamente diverse perché nel primo caso il ricorrente ritiene che il bene di che trattasi avesse perduto la qualità di pubblica utilità e nel secondo caso, cioè, con la censura prospettata in questa fase del giudizio di legittimità, il ricorrente lamenta, invece, che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che il bene non aveva, mai, avuto la qualità di pubblica utilità e, quindi, non era mai appartenuto al patrimonio indisponibile dell’Ente di cui si dice, perché la destinazione a soddisfare una pubblica esigenza non poteva farsi consistere nella mera previsione di edificabilità contenuta nel PRG, in quanto occorreva che la destinazione al pubblico servizio fosse concreta.

E’ ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

2.= Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cpc., per omessa pronuncia su motivo di appello e mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Eccepisce il ricorrente che con l’atto di appello aveva rilevato  che  l’Ente Zolfi Italiana aveva realizzato tutto  il  suo programma di edilizia residenziale  pubblica prima ancora che fosse  stata disposta la sua liquidazione. Il terreno de quo che all’atto dell’occupazione era un immondezzaio, costituiva semplicemente un relitto del programma costruttivo realizzato, non più utilizzato dall’Ente Zolfi Italiana. Ora l’art. 9 della legge 167 del 1962 prevede che l’approvazione del PEEP  equivale a dichiarazione di pubblica utilità  indifferibilità urgenza di tutte le opere, impianto ed edifici in esso previste, stabilisce anche che le aree comprese nel piano, rimangono soggette, durante il periodo di efficacia del piano stesso, ad espropriazione a norma  degli articoli seguenti  per i fini di cui al primo comma dell’art. 1. Pertanto, decorso il periodo di efficacia la situazione giuridica determinata dal piano ed i relativi vincoli sono venuti meno per cui il terreno è diventato un terreno privato e come tale usucapibile. La Corte di Appello di Palermo in ordine alla circostanza della sopravvenuta disponibilità del bene essendo decorso il tempo di efficacia del PEEP  in assenza di concreta utilizzazione avrebbe omesso una qualsivoglia motivazione.

Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Corte di Cassazione, se un terreno inserito in un PEEP possa essere considerato a distanza di anni di compiuta realizzazione del programma costruttivo da parte del soppresso Ente Zolfi Italiani, ancora facente parte del patrimonio indisponibile dell’Ente (nel caso in esame dello IACP subentrato all’Ente Zolfi Italiani). Se, invece, il detto terreno, decorsi il periodo di efficacia del piano ed il periodo fissato per il compimento dei lavori previsti dall’art. 9 della legge n. 167 del 1962 debba essere considerato come appartenente al patrimonio indisponibile dell’Ente e come tale usucapibile.

2.1.= Il motivo è infondato.

In verità, il ricorrente, con la censura in esame, ripropone una questione che la Corte di Palermo ha esaminato e deciso spiegando ampiamente le ragioni di fatto e di diritto per le quali ha ritenuto che il bene in oggetto apparteneva al patrimonio indisponibile dell’Ente IACP, perché tale bene era destinato ad un pubblico  servizio  e  funzionalmente  connesso  all’attività  istituzionale dell’Ente pubblico non territoriale IACP, le cui ragioni, proprio perché, prive di vizi logici e/o giuridici, vanno condivise e ribadite, anche, in questa sede.

Come ha avuto modo di chiarire, la Corte di Palermo, l’art. 13 del DPR n. 1306 del 1972 ha previsto la soppressione dell’Ente Zolfi e con esso anche della gestione speciale per le Case Popolari ed il successivo art. 14 dello stesso decreto  che i beni immobili di proprietà degli enti soppressi fossero devoluti  alla IACP della provincia nel cui territorio quei beni si trovavano.

Nel caso in esame l’Ente Zolfi in ragione della normativa appena richiamata con nota del 19 novembre 1973 ha informato l’ente IACP della provincia di Agrigento  delle devoluzione dei plessi  di alloggi popolari e delle relative adiacenze,  singolarmente specificate, fra le quali figurava l’area sita nel (Omissis), da ciò si deduceva che l’Ente Zolfi non aveva mai considerato il terreno oggetto della controversia un bene relitto. Ciò per altro, come ha specificato la stessa Corte di Palermo, apparirebbe confermato: a) dalla natura stessa del bene in questione, trattandosi di un terreno di circa 600 mq e b) dalla circostanza che dal certificato  di destinazione urbanistica, acquisito  in atti,  risultava che quel terreno era destinato  in parte ad allargamento viario ed in parte ad edificabilità. Non vi era dubbio, dunque, che sussisteva la destinazione del bene in oggetto ad un pubblico servizio ed il suo collegamento funzionale con l’attività istituzionale dell’Ente pubblico non  territoriale  IACP,  risultando  l’attività  edificatoria  destinata  al soddisfacimento del diritto all’abitazione dei cittadini meno abbienti  e la realizzazione di strada, una tipica funzione pubblica. Correttamente, poi, la Corte di Appello di Palermo ha chiarito che in materia di beni immobili, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828, secondo comma, cod. civ., i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 cpc., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in €. 2.200,00 di cui €. 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così decisivo nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione il 10 giugno 2015.

Il Consigliere relatore

Download PDF