Comunicazione indirizzata a casella postale: quando si considera conosciuta dal destinatario

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Quando il destinatario abbia stipulato con l’ente postale un contratto per il trattenimento della corrispondenza presso una casella postale, presso la quale possa ritirarla, la corrispondenza si considera conosciuta dal destinatario quando perviene al predetto ufficio postale.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con sentenza  n.2070 del 5 febbraio 2015.

Comunicazione indirizzata a casella postale: quando si considera conosciuta dal destinatario

Comunicazione indirizzata a casella postale: quando si considera conosciuta dal destinatario

L’articolo 1335 del codice civile recita: “la  proposta,  l’accettazione,  la  loro  revoca   e   ogni   altra  dichiarazione  diretta  a  una  determinata   persona   si   reputano conosciute  nel   momento   in   cui   giungono   all’indirizzo   del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza  sua  colpa, nell’impossibilita’ di averne notizia”.

Il caso trae origine da una disdetta del contratto di locazione spedita e pervenuta presso la casella postale del destinatario entro il termine utile ma consegnata a quest’ultimo successivamente al termine utile per l’esercizio della disdetta.

Nelle fattispecie, la Corte territoriale aveva ritenuto che la disdetta fosse stata esercitata fuori termine e quindi ha ritenuto rinnovato il contratto di locazione per un ulteriore seiennio.

L’orientamento al quale si rifa il giudice di merito.

Secondo la Corte territoriale “affinché possa operare la presunzione di conoscenza stabilita dall’art. 1335 c.c. occorre infatti la prova che l’atto sia stato recapitato all’indirizzo del destinatario, e cioè, nel caso di corrispondenza, che questa sia stata consegnata presso detto indirizzo, o che, in caso di assenza del destinatario,sia stato rilasciato l’avviso di giacenza: solo da tale momento l’atto rientra nella sfera di dominio o di controllo del destinatario medesimo, sì da consentirgli la ricezione dell’atto e la cognizione del relativo contenuto (Cass. 20 gennaio 2003 numero 773)”.

E dunque, nella specie, la presunzione di conoscenza si ha solo dal giorno in cui il destinatario, titolare di casella postale, ricevette materialmente la corrispondenza e non anche dal diverso momento in cui la comunicazione pervenne all’ufficio postale.

 Tra l’altro – a giudizio della Corte di merito – secondo Cons. Stato, Sez. V, 21/11/2006, n. 6797, “la raccomandata può ritenersi pervenuto al destinatario soltanto quando il plico entrò nella disponibilità giuridica dello stesso e tale momento non può che coincidere con l’effettivo ritiro della corrispondenza, presso l’ufficio postale, da parte del soggetto incaricato, che appone la firma sul foglio di distinta, posto che solo in questo momento la posta raccomandata può considerarsi pervenuta nella disponibilità del destinatario”.

Il ragionamento della Suprema Corte

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, esordisce che la Corte territoriale erra laddove afferma che «Nella fattispecie in esame, considerate le modalità di ritiro della corrispondenza utilizzate da Banca Intesa, titolare di casella postale presso l’ufficio postale Milano Cordusio, la presunzione di conoscenza non può che farsi coincidere con la data in cui la raccomandata fu consegnata alla società incaricata per il ritiro e non anche nel momento, anteriore, in cui il plico, giunto presso l’ufficio postale, era evidentemente al di fuori della sfera di controllo del destinatario».

Difatti, secondo la Suprema Corte, qualora un soggetto stipula una convenzione con l’ente postale derogando alla normale modalità di ricezione della corrispondenza, quello che è identificato come suo indirizzo nella corrispondenza a lui indirizzata che perviene all’ufficio del luogo dell’indirizzo stesso e che dovrebbe costituire il luogo di consegna della corrispondenza da parte di quell’ufficio viene ad essere sostituito, per effetto appunto dell’accordo contrattuale, dall’ufficio in cui trovasi la casella, che così diventa il luogo in cui la consegna dovrebbe avvenire e, quindi, in forza della convenzione il luogo costituente l’indirizzo del destinatario.

Prosegue la Suprema Corte affermando che “è il destinatario che, non volendo per sue ragioni ricevere la consegna della corrispondenza nel luogo costituente il proprio indirizzo si accorda per il trattenimento della stessa presso l’ente postale e per ivi provvedere al suo ritiro (nella casella o solo presso l’ufficio). Poiché l’effetto dell’accordo è di escludere che la corrispondenza venga consegnata presso l’indirizzo cui è inviata e di stabilire che venga consegnata presso lo stesso ente postale, è palese che l’ufficio di tale ente diventa l’indirizzo di pervenimento della corrispondenza”.

 Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte.

Il principio di diritto espresso è il seguente: «Ai fini dell’individuazione del luogo di pervenimento della corrispondenza all’indirizzo del destinatario agli effetti dell’art. 1335 c.c., quando costui abbia stipulato con l’ente postale un contratto per il trattenimento della corrispondenza presso una casella postale, presso la quale possa ritirarla, l’ufficio del luogo di destinazione della corrispondenza presso il quale l’ente postale, una volta pervenutagli la corrispondenza, ne rileva la riferibilità al destinatario e dà corso all’attività diretta ad inserirla nella casella si identifica – anche se la casella sia allocata presso altro ufficio del medesimo luogo per il ritiro – come indirizzo di pervenimento del destinatario, giacché l’attività a tanto diretta dell’ente postale è compiuta per conto del destinatario in forza della convenzione di ricezione tramite casella e come tale, essendo a quest’ultimo riferibile implica che la corrispondenza si debba considerare pervenuta in un luogo che è di sua pertinenza e che per sua scelta si identifica come suo indirizzo.».

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte esplicita il principio applicabile al regime della casella postale in relazione all’art. 1335 c.c.. La questione era stata già trattata, anche se non in maniera approfondita, da Cass. n. 4261 del 2012 e, ancor prima, da Cass. n. 10657 del 2005, nonché, in materia di fermo posta, da Cons. Stato VI 11.5.2010 n. 2835.

 Una breve riflessione

 Si condivide pienamente il ragionamento logico e giuridico della Suprema Corte con la sentenza 2070 del 2015.

A parere di chi scrive, però, il problema è che rimane pur sempre a carico della parte che invia la disdetta la conseguenza di un eventuale ritardo nella consegna della comunicazione al destinatario.

Ma qui vi è il chiaro disposto dell’articolo 1335 del codice civile che crea uno sbarramento interpretativo oltre il quale neanche l’interprete può andare.

Ci si domanda cosa avrebbe deciso la Corte di cassazione se, nella fattispecie, vi fosse stato un ritardo di due giorni da parte dell’ufficio postale nella consegna della comunicazione.

Sicuramente, la Corte non avrebbe non potuto affermare che, trattandosi di atto recettizio (la comunicazione di disdetta), la stessa avrebbe dovuto pervenire nel luogo del destinatario entro il termine previsto dalla legge. E quindi il contratto si sarebbe rinnovato di un altro seiennio.

Epperò, negli ultimi anni abbiamo visto nascere, ad opera della giurisprudenza, il principio della scissione degli effetti della notificazione, principio poi fatto proprio dal legislatore. La ratio la si conosce: non possono ricadere sul “mittente” le conseguenze negative di un’attività (quale quella dell’agente notificatore o dell’ufficio postale) estranea al proprio potere di signorìa e di controllo.

Recentemente, si è posto anche il problema se detto principio di scissione debba valere solo per gli atti processuali, ovvero possa estendersi anche agli atti processuali con effetti sostanziali (ad esempio, idonei ad interrompere la prescrizione). E la relativa questione è tutt’ora al vaglio delle Sezioni Unite, che, quasi sicuramente, saranno investite della decisione dal primo Presidente a seguito di ordinanza depositata il 26 gennaio 2015.

E se le sezioni unite dovessero stabilire che il principio di scissione vale anche per gli atti processuali con effetti sostanziali, non si comprenderebbe perché mai lo stesso principio di scissione non possa valere anche per gli atti non processuali che abbiano effetti solo sostanziali (come appunto la disdetta del contratto di locazione)

Restiamo dunque in attesa di conoscere gli sviluppi, sul punto, delle sezioni unite, e le ripercussioni sulle problematiche connesse alla fattispecie in esame.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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