Interruzione del giudizio di legittimità

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Il decesso di una delle parti non integra una causa d’interruzione del giudizio di cassazione, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione i comuni eventi interruttivi del processo contemplati in via generale dalla legge.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con ordinanza n. 22206 depositata il 12 settembre 2018

Interruzione del giudizio di legittimità

Interruzione del giudizio di legittimità

Il caso 

Dei soggetti espropriati citarono innanzi alla Corte d’appello territorialmente competente l’Amministrazione Comunale, proponendo opposizione alla stima delle indennità d’espropriazione e d’occupazione legittima di vari terreni, lamentando la mancata determinazione del valore di mercato dei suoli ricadenti in un comparto edificatorio in ordine al quale il comune stesso aveva illegittimamente sovrapposto un programma costruttivo per la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare, e chiedendo che anche il terreno destinato alla costruzione di strade fosse calcolato quale fondo edificabile.

Sì costituì il comune resistendo alla domanda.

La decisione della Corte di appello

La Corte d’appello ha accolto l’opposizione, determinando l’indennità d’espropriazione e quella d’occupazione d’urgenza in base al valore venale delle particelle espropriate poiché comprese nell’ambito del programma costruttivo (dato che a seguito di tale inclusione il terreno aveva subito la conformazione propria del programma stesso) ordinando il deposito presso la cassa depositi e prestiti della somma dovuta per differenza rispetto a quanto già versato, oltre interessi legali.

Il ricorso per cassazione

Il comune ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Si sono costituiti con controricorso gli espropriati, originari opponenti, in proprio e quali eredi di un loro ascendente, nelle more deceduo.

Il primo motivo di ricorso

Con il primo motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 del d.P.R. n.327/01, art. 2 I.r. Sicilia n.86/81, lamentando che la Corte d’appello aveva ritenuto che alcune particelle espropriate insistevano nell’ambito del programma costruttivo, adottato con delibera comunale del 9.10.02, costituendo aree destinate a viabilità, parcheggio, verde attrezzato, edilizia privata ed insediamenti produttivi; poiché tale programma costituiva strumento esecutivo del PRG vigente, esso attribuiva all’intera area una chiara connotazione edificatoria, anche se talune parti non erano destinate in concreto all’edificazione ma ad opere infrastrutturali (quali strade, verde pubblico e attrezzato, etc.). Al riguardo, il ricorrente ha dedotto che il suddetto programma costruttivo non era qualificabile come esecutivo del PRG, in quanto: non aveva durata decennale, ma di due anni; la localizzazione delle aree edificabili e delle urbanizzazioni avrebbe dovuto essere effettuata in conformità delle previsioni dello strumento urbanistico generale vigente; non   erano attuabili le procedure di pubblicazione di cui all’art. 3 della I.r. n.71/78 per i piani particolareggiati; tale programma non era equiparabile ad un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, quale piano particolareggiato, poiché diretto soltanto ad individuare e acquisire aree edificabili nell’ambito delle zone residenziali del PRG, da destinare ad edilizia residenziale pubblica già finanziate e da realizzare con urgenza. In buona sostanza, il ricorrente si duole che i terreni non edificatori destinati dal PRG a verde attrezzato e parcheggi non siano stati valutati quali agricoli ai fini della determinazione dell’indennità d’esproprio.

Il secondo motivo di ricorso

Con il secondo motivo, è stato dedotto l’omesso accertamento della destinazione dei suoli espropriati stabilita dal PRG, nonché l’illogicità e l’insufficienza di motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 10comma, n. 5, c.p.c., avendo la Corte aderito alle conclusioni del c.t.u. secondo cui le aree oggetto di esproprio, in quanto inserite nell’ambito del programma costruttivo, erano da considerare edificabili indipendentemente dal fatto che esse fossero destinate a strada o ad altre strutture pubbliche, lamentando altresì che, al momento dell’esproprio, erano già stati approvati, con decreto assessoriale, la variante generale del PRG e il regolamento edilizio comunale e che tali aree ricadevano nella stessa variante. Pertanto, il ricorrente si duole in particolare del fatto che: la Corte d’appello non ha valutato che, con le suddette destinazioni, i beni espropriati erano da classificare come area non edificabile ed ha immotivatamente rinunciato ad accertare la destinazione dei suoli nel PRG del comune di S. Cataldo previgente all’approvazione del programma costruttivo in cui risultavano classificati come aree agricole.

La richiesta di interruzione del giudizio.

I giudici di piazza Cavour, preliminarmente, respingono l’istanza presentata dai ricorrenti i quali hanno chiesto che il giudizio fosse interrotto a seguito dell’intervenuto decesso di una delle originarie parti, in quanto il decesso di una delle parti non integra una causa d’interruzione del giudizio di cassazione, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione i comuni eventi interruttivi del processo contemplati in via generale dalla legge (Cass., n. 7477/17).

Nel merito, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso.

La Suprema Corte ritiene di dare continuità al proprio orientamento a tenore del quale: ai fini della determinazione dell’indennità d’espropriazione, l’inserimento di un’area nel programma costruttivo ex art. 51 della I. n. 865 del 1971 non consente di ritenere la connotazione edificatoria delle relative porzioni ove destinate ad opere infrastrutturali, non essendo il programma anzidetto equiparabile al piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP), rispetto al quale è alternativo ed autonomo, in quanto privo di carattere programmatorio e conformativo nonché soggetto ad un procedimento semplificato ed accelerato d’individuazione ed acquisizione delle aree destinate a iniziative di edilizia residenziale pubblica cui far ricorso proprio qualora non possano adottarsi tempestivamente le complesse procedure previste per l’approvazione del PEEP (Cass., n. 25318/17); con riguardo a detti programmi l’art. 51 della I. n. 865/71 impone che nel relativo provvedimento, o al più tardi in quello di assegnazione delle aree siano fissati i termini di cui all’art. 13 della I. n. 2359/1865 (Cass. n. 4614/15; n. 14606/09).

Tale orientamento – proseguono gli Ermellini – trova conferma anche nella giurisprudenza amministrativa (C.D.S., n. 4520/14).

Da qui l’accoglimento del primo motivo, ritenuto assorbito il secondo.

Una breve riflessione

La Suprema Corte intende dare continuità al proprio orientamento sul punto, e menziona a tal proposito Cass. 7477/2017. Ma potremmo menzionare anche Cass. 17 luglio 2013, n. 17450; Cass. 5 luglio 2011, n. 14786; Cass. 13 ottobre 2010, n. 21153; Cass.,SU, 14385/2007; Cass. 21153/2010; Cass. 12967/2008). Sez. L, Sentenza n. 8685 del 31/05/2012).

Difatti, per gli Ermellini, neanche l’intervenuta modifica dell’art. 43 legge fall. per effetto dell’art. 41 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità.

Come dire, nel giudizio di legittimità non sono ammesse “interruzioni”.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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