Corte Suprema di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n. 24342 del 30 novembre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Hotel (Omissis) srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza non definitiva del 23.12.2011 con la quale la Corte d’Appello di Venezia – in un giudizio di risarcimento danni promosso nei suoi confronti da (danneggiata Omissis), con la chiamata in causa della (società Omissis) spa – aveva, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuto l’Hotel (Omissis) srl tenuto a risarcire i danni subiti dalla (danneggiata Omissis), rimettendo la causa sul ruolo per il loro accertamento; ed, in via definitiva, aveva rigettato la domanda di manleva proposta dall’odierna ricorrente nei confronti della (società Omissis) spa.

Resistono con distinti controricorsi la (danneggiata Omissis) e (società Omissis) spa che ha anche presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3): violazione nell’applicazione degli art. 652 c.p.p. e art. 75 comma 2 c.p.p. anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..

Il motivo non è fondato.

L’attuale art. 652 c.p.p. dispone che ” la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste…., nel giudizio civile.., per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale…”.

La norma, applicabile ratione temporis nel caso in esame, sostanzialmente riproduce il principio già contenuto nell’art. 25 del previgente codice di procedura penale, il quale aveva stabilito la preclusione dell’azione civile rispetto al giudicato penale di assoluzione – dell’imputato con la formula il fatto non sussiste. Nella giurisprudenza formatasi sotto il vigore di entrambe le disposizioni è stato sempre ritenuto che l’effetto preclusivo del giudicato penale, espresso dalla formula “il fatto non sussiste”, si riferisca al nucleo oggettivo del reato comprensivo degli elementi che concorrono a costituirlo, quali la condotta commissiva o omissiva, l’evento ed il nesso di causalità materiale.

Ciò vuole dire che l’assoluzione dell’incolpato con la formula il fatto non sussiste non esonera il giudice civile, davanti al quale sia stata proposta l’azione per il risarcimento dei danni, dal riesame dei fatti emersi nel procedimento penale ai fini propri del giudizio civile, quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale ( fra le varie Cass. 9.12.2010 n. 24862; nello stesso senso Cass. 20.4.2007 n. 9508; Cass. 15.2.1999 n. 1678).

Correttamente, quindi, il giudice del merito ha esaminato autonomamente i fatti storici che hanno dato integrato il titolo della responsabilità riconosciuta a carico dell’odierna ricorrente.

Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. (art. 360 n. 3) e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c..

Il motivo non è fondato.

E’ principio giurisprudenziale ormai consolidato quello per cui la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia  esclusa dall’accertamento positivo che il danno è stato causato dal fatto del terzo o dello stesso danneggiato, il quale ha avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno (v. per tutte Cass. 21.10.2005 n. 20359; Cass. 23.10.1998 n. 10556). ,

Per ottenere l’esonero dalla responsabilità, al custode è richiesta la prova che il fatto del terzo abbia i requisiti dell’autonomia, dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.

Ciò che vuol dire l’idoneità a produrre l’evento, escludendo fattori causali concorrenti.

In questa ottica diverse sono le conseguenze tra causa ignota e fatto del terzo rimasto ignoto.

Nel primo caso l’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, pur essendo certo che esso deriva dalla cosa, conduce all’affermazione che la responsabilità rimane a carico del custode.

Ciò perchè il fatto ignoto non è idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico del fatto.

Diversamente, se è certo che l’evento dannoso si sia verificato per fatto del terzo rimasto ignoto, in questo caso, essendo interrotto il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso, il custode non risponde del danno.

L’individuazione precisa del terzo non costituisce un elemento essenziale per la prova dell’interruzione del nesso eziologico.

Ovviamente, l’impossibilità di indicare la persona del terzo non deve essere confusa con l’incertezza sull’effettivo ruolo che un terzo abbia avuto nella produzione dell’evento.

In questo secondo caso, infatti viene a mancare la prova del caso fortuito.

Nel caso in esame – come emerge dalla sentenza impugnata (pag. 12) sulla base dell’accertamento compiuto per il quale è stato definitivamente appurato che l’evento è stato determinato dall'”entrata in funzione anomala del c.d. paracadute, senza riuscire ad individuare le cause ” – l’odierna ricorrente non ha dimostrato il caso fortuito.

Al che consegue la sua responsabilità per l’evento verificatosi.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c. (art. 360 N. 3).

Il motivo è inammissibile perché nuovo.

Soltanto in questa sede – con evidente tardività – la ricorrente contesta l’eccezione di prescrizione della domanda di manleva proposta nei confronti della (società Omissis) spa.

Né  ad evitare la conseguente inammissibilità  indica e riproduce in quali atti del giudizio di merito la contestazione sia stata sollevata.

Conclusivamente il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuno dei resistenti, sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore di ciascuno dei resistenti, in complessivi e 3.200,00, di cui 3.000,00 per compensi; il tutto oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il giorno 22 settembre 2015, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.

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