I limiti dell’effetto preclusivo del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile

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L’effetto preclusivo del giudicato penale, espresso dalla formula “il fatto non sussiste”, si riferisce al nucleo oggettivo del reato comprensivo degli elementi che concorrono a costituirlo, quali la condotta commissiva o omissiva, l’evento ed il nesso di causalità materiale.  Ciò vuole dire che l’assoluzione dell’incolpato con la formula il fatto non sussiste non esonera il giudice civile, davanti al quale sia stata proposta l’azione per il risarcimento dei danni, dal riesame dei fatti emersi nel procedimento penale ai fini propri del giudizio civile, quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con sentenza n. 24342 del 30 novembre 2015

I limiti dell’effetto preclusivo del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile

I limiti dell’effetto preclusivo del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile

Il caso

Un Hotel ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza non definitiva con la quale la Corte d’Appello di Venezia – in un giudizio di risarcimento danni promosso nei suoi confronti da una danneggiata, con la chiamata in causa di altra società – aveva, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuto l’Hotel tenuto a risarcire i danni subiti dalla danneggiata, rimettendo la causa sul ruolo per il loro accertamento; ed, in via definitiva, aveva rigettato la domanda di manleva proposta dall’Hotel nei confronti della predetta società.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3): violazione nell’applicazione degli art. 652 c.p.p. e art. 75 comma 2 c.p.p. anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..

La Corte ritiene infondato il motivo.

Secondo la Corte regolatrice, l’attuale art. 652 c.p.p. dispone che “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste…., nel giudizio civile.., per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale…“.

La norma – proseguono gli Ermellini – sostanzialmente riproduce il principio già contenuto nell’art. 25 del previgente codice di procedura penale, il quale aveva stabilito la preclusione dell’azione civile rispetto al giudicato penale di assoluzione – dell’imputato con la formula il fatto non sussiste.

I limiti dell’effetto preclusivo del giudicato penale di assoluzione

Nella giurisprudenza formatasi sotto il vigore di entrambe le disposizioni è stato sempre ritenuto che l’effetto preclusivo del giudicato penale, espresso dalla formula “il fatto non sussiste”, si riferisca al nucleo oggettivo del reato comprensivo degli elementi che concorrono a costituirlo, quali la condotta commissiva o omissiva, l’evento ed il nesso di causalità materiale.

Ciò vuole dire – proseguono i giudici di piazza Cavour – che l’assoluzione dell’incolpato con la formula il fatto non sussiste non esonera il giudice civile, davanti al quale sia stata proposta l’azione per il risarcimento dei danni, dal riesame dei fatti emersi nel procedimento penale ai fini propri del giudizio civile, quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale ( fra le varie Cass. 9.12.2010 n. 24862; nello stesso senso Cass. 20.4.2007 n. 9508; Cass. 15.2.1999 n. 1678).

Di conseguenza, nel caso in esame, correttamente, il giudice del merito ha esaminato autonomamente i fatti storici che hanno integrato il titolo della responsabilità riconosciuta a carico della ricorrente.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna esamina una problematica di notevole interesse che è rappresentata dalla possibilità per il danneggiato di poter incoare un giudizio civile a fronte di una sentenza di assoluzione, in favore dell’imputato, per i medesimi fatti.

La Suprema Corte, già da tempo, fornisce una risposta positiva al quesito con l’unica precisazione che il titolo della responsabilità civile debba essere diverso rispetto a quello della responsabilità penale.

Viene pertanto in rilievo il titolo della responsabilità.

Tanto per fare un esempio, si può rispondere nei confronti di un soggetto a titolo di responsabilità contrattuale, oppure a titolo di responsabilità extracontrattuale; si può rispondere a titolo di responsabilità per custode (art. 2051) e così via.

Il titolo, in buona sostanza, identifica la causa petendi di un’azione. L’azione, come è noto, viene individuata attraverso tre elementi: i soggetti, il petitum e la causa petendi. Se uno di tali elementi è diverso, non vi è identità di azioni.

Possiamo pertanto concludere che la preclusione da giudicato di assoluzione riguarda la stessa identica azione che ha formato oggetto dell’accertamento in sede penale. Se, viceversa, l’azione è diversa, come quando diverso è anche solo il titolo su cui si fonda la pretesa, allora non può essere eccepita la preclusione da giudicato di assoluzione.

Non bisogna dunque focalizzarsi sui fatti oggetto di accertamento penale quanto piuttosto sul titolo della domanda risarcitoria.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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