Corte Suprema di Cassazione – sezione prima civile – sentenza n. 23811 del 20 novembre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su ricorso degli architetti (Omissis), il Tribunale di Pavia ingiungeva, con ricorso emesso il 14 febbraio 2001  alla (committente Omissis) il pagamento della somma di lire 79.595.109, quale saldo del compenso dovuto per la prestazione professionale di progettazione della nuova sede in Pavia.

Avverso il provvedimento, la (committente Omissis) proponeva opposizione con atto di citazione notificato il 18 aprile 2000, eccependo l’invalidità ed inefficacia del contratto, stipulato senza la preventiva deliberazione del Comitato provinciale di Pavia e la successiva ratifica del Comitato centrale: con la conseguenza che gli impegni di spesa dovevano ritenersi assunti in proprio dai sottoscrittori degli atti di conferimento.

Costituendosi ritualmente, gli architetti replicavano che l’incarico era stato loro conferito dal Comitato provinciale di Pavia, per un compenso correlato alle tariffe professionali, ed era stato regolarmente assolto con la redazione di un progetto esecutivo, completo di computo metrico estimativo, consegnato al Comitato provinciale della (committente Omissis), così da consentirne l’esame anche al Comitato centrale;

– che, nel corso del rapporto, erano state liquidate varie fatture, con emissione dei relativi mandati di pagamento, ma successivamente si era palesata una carenza finanziaria che aveva impedito la realizzazione dei lavori.

Tutto ciò premesso, chiedevano il rigetto dell’opposizione ed in via subordinata la condanna della (committente Omissis), anche a titolo di arricchimento senza causa, al pagamento della somma ingiunta.

Con sentenza 28 giugno 2005 il Tribunale di Pavia revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente (committente Omissis) al pagamento della somma di euro 39.041,62, a titolo di indebito arricchimento, oltre interessi legali e compensazione delle spese di giudizio.

In accoglimento del successivo gravame della (committente Omissis), la Corte d’appello di Milano, dichiarava invece inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, perché nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, con compensazione delle spese di giudizio, e rigettava l’appello incidentale, volto ad ottenere la conferma del decreto ingiuntivo e di riconoscimento della rivalutazione monetaria ed interessi compensativi.

Avverso la sentenza, notificata il 21 febbraio 2009, gli architetti (Omissis) proponevano ricorso per cassazione, articolato in due motivi, notificato il 21 aprile 2009 ed ulteriormente illustrato con successiva memoria, ex art.378 cod. proc. civile.

Deducevano

1) la carenza di motivazione e la violazione dell’ad. 23, commi 3 e 4, del decreto-legge 2 marzo 1989 n.66, convertito in legge n.144/1989;

2) la violazione degli articoli 183 e 184 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2041 cod. civile.

Resisteva con controricorso il Ministero della Difesa.

All’udienza del 27 ottobre 2015 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere esaminata, in via pregiudiziale, la questione della legittimazione passiva della parte resistente, qualificatasi nell’epigrafe del controricorso, come “Ministero della Difesa”: soggetto, evidentemente diverso e privo di alcun nesso di collegamento con la (committente Omissis), destinataria del decreto ingiuntivo e parte nei gradi di merito. Ritiene questo Collegio che si possa riconoscere alla predetta difformità carattere di mero errore materiale, frutto di disattenzione in sede compilativa, che non inficia la sicura identificazione della (committente Omissis) quale ente rappresentato in giudizio, stante l’inequivoco riferimento, nel contesto narrativo ed argomentativo del controricorso, ai fatti di causa ed alla pronuncia oggetto di impugnazione.

Il primo motivo del ricorso è infondato.

La ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello consiste nell’affermazione – già espressa nella decisione di primo grado – che “la corretta volontà della (committente Omissis) avrebbe dovuto essere espressa dal Consiglio del Comitato Provinciale di Pavia, con ratifica del Comitato Centrale”; e che tale procedimento non era stato rispettato. In questo senso, la statuizione non si pone in contrasto con la copiosa giurisprudenza di legittimità, citata dai ricorrenti, e  secondo cui i vizi della delibera propedeutica ai contratti di diritto privato stipulati dagli enti pubblici hanno rilevo esclusivo nell’ambito interno alla loro organizzazione, senza infirmare la validità del contratto stipulato con il privato (cfr., e plurimis, Cass., sez.3, 20 novembre 2002 n.16345): giacché le eventuali irregolarità, ed anche nullità, verificatesi nella fattispecie a formazione progressiva di diritto amministrativo – irrilevanti, una volta conclusosi l’iter procedurale prodromico alla conclusione del contratto – restano vizio diverso dalla carenza di legittimazione dell’organo stipulante.

Tale affermazione non è stata puntualmente contestata dai ricorrenti; ed anzi, implicitamente avvalorata, in punto di fatto, con il passaggio espositivo “che tutto era pronto per ottenere il parere definitivo da parte del Comitato Centrale della (committente Omissis) di Roma” (cfr. ricorso, pag.14). Si aggiunga che nella narratio della sentenza si dà atto che la (committente Omissis) aveva eccepito che gli atti di conferimento erano stati sottoscritti, il primo, da un consigliere; e il secondo, dal presidente del Comitato del comitato di Pavia: ed il successivo passo della motivazione, testè riportato, recepisce tale eccezione.

In contrario, gli architetti (Omissis), nei gradi di merito, da un lato hanno riferito la stipulazione al Comitato Provinciale di Pavia (e non al solo presidente: cfr. sent d’appello, pag.1); e, dall’altro, hanno addotto il carattere di urgenza e indifferibilità dell’opera: evidentemente allo scopo di giustificare la legittimazione del Presidente, sull’implicito presupposto che proprio egli, in proprio, e non il comitato provinciale, avesse conferito l’incarico professionale.

Nel presente ricorso, nella premessa narrativa del primo motivo, sono tornati all’allegazione del conferimento dell’incarico da parte del Comitato di Pavia, senza però contestare specificamente il contrario accertamento di fatto della sentenza di merito, né coltivare più le ragioni di deroga dovute alla natura urgente del contratto. Ed anzi, come visto, implicitamente riconoscendo l’incompiutezza della fattispecie, tuttora mancante nel necessario assenso del Comitato centrale: restando, com’è evidente, inidonee allo scopo citazioni di deposizioni testimoniali che – secondo l’assunto difensivo – confermavano la validità del disciplinare di incarico mediante il riconoscimento della firma del presidente pro tempore della (committente Omissis) (cfr. ricorso, pag.14).

Argomentazioni, queste, di merito, che non possono trovare ingresso in questa sede.

Alla luce delle predette considerazioni perde di rilevanza la dedotta violazione dell’art.23, commi 3 e 4, del d.I.2 marzo 1989 n.66, sotto il profilo che essa è dettata in tema di enti locali ed è quindi inapplicabile alla (committente Omissis).

Anche il secondo motivo è infondato, dal momento che, per giurisprudenza consolidata di legittimità, nella disciplina processuale innovata con legge 26 novembre 1990 n. 353 l’eventuale accettazione del contraddittorio non sana l’inammissibilità della domanda tardivamente proposta: quale, nella specie, la domanda riconvenzionale di arricchimento senza causa svolta, in via gradata, con la comparsa di risposta dagli opposti attori sostanziali.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile, infatti, l’introduzione, da parte dell’opposto, di un’azione nuova e diversa rispetto a quella di adempimento, per petitum e causa petendi; e , stante il regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli articoli 183 e 184 cod. proc. civile, la relativa questione risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti e ricondotta pienamente al rilievo officioso del giudice, in virtù dei perseguimento di esigenze di concentrazione e speditezza corrispondenti ad un interesse pubblico: a nulla rilevando, in contrario, l’eventuale accettazione del contraddittorio della controparte (Cass., sez.1, 30 ottobre 2013 n.24486; Cass., sez.2, 30 novembre 2011 n.25598; Cass., sez.1, 13 dicembre 2006 n.26691).

Non pertinente appare il richiamo, in sede di memoria ex art.378 cod. proc. civile, all’apparentemente difforme dictum di Cass., sez. unite, 27 dicembre 2010 n.26128; la cui apertura possibilista è limitata all’ipotesi che la domanda nuova dell’opposto consista in una reconventio reconventionis, oppure si iscriva nell’alveo di un thema decidendum già esteso, dallo stesso opponente, all’ipotesi di un arricchimento senza causa: sia pure – com’è ovvio – ad excludendum (nel caso all’esame delle Sezioni unite era stata infatti proprio la parte opponente che, oltre a confutare l’altrui azione contrattuale, aveva pure prefigurato l’eventuale prospettazione di un indebito arricchimento, per contestarne, in prevenzione, la configurabilità). Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, sula base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi € 4.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Roma, 27 ottobre 2015

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