Il giudicato progressivo nel giudizio di rinvio

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Il giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., rappresenta una ulteriore fase del giudizio di merito, vincolata alla sentenza di annullamento nei limiti da questa determinati. Il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, limitatamente ai punti che hanno formato oggetto dell’annullamento o che siano in connessione essenziale con la parte annullata. Egli deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa e non può attrarre alla sua sfera di cognizione statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle devolutegli. In particolare, il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento, fermo restando il suo obbligo a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento. In sintesi, il giudizio di rinvio rappresenta un’autonoma fase di merito, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto, essendo coperta ogni altra questione dal giudicato progressivo.

Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione – sezione quarta penale – con sentenza n. 47003 del 12 novembre 2015

Il giudicato progressivo nel giudizio di rinvio

Il giudicato progressivo nel giudizio di rinvio

Il caso

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania condannava degli imputati in relazione al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 con la recidiva reiterata nel quinquennio, nonché (fatta eccezione per uno di loro) in relazione all’illecita cessione ed all’illecita detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente del tipo marjuana, attività queste aggravate entrambe dall’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Il Giudice di prime cure, dopo aver spiegato la genesi dell’indagine, nel valutare il materiale probatorio in relazione alla contestata associazione ed al contestato reato fine, ripercorreva il contenuto degli intercettati colloqui carcerari, indicando questi ultimi come la fonte principale sui cui si basava il giudizio di colpevolezza emesso nei confronti degli imputati ed aggiungendo che detta base probatoria era stata arricchita dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e dagli esiti del servizio di videoripresa.

Ad esito della valutazione del complessivo materiale probatorio il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania riteneva provata l’esistenza in Catania di un gruppo associato trafficante sostanza stupefacente del tipo marijuana nel crocevia Barcellona Belfiore quanto meno tra l’ottobre e il dicembre 2009, nonché riteneva provato che tutti i predetti imputati spacciavano in modo costante e reiterato ingenti quantitativi della suddetta sostanza in quel medesimo arco temporale

La sentenza di appello

La Corte di appello di Catania rideterminava la pena nei confronti di due imputati e confermava nel resto la sentenza di condanna resa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania.

La sentenza della Cassazione

La Corte di cassazione, terza sezione penale, annullava la sentenza della Corte territoriale, in riferimento alla ravvisabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, T.U. stup., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania e con rigetto nel resto dei ricorsi.

Il motivo del primo rinvio

La Corte regolatrice censurava la sentenza di secondo grado in relazione al criterio utilizzato per la individuazione del superamento del limite individuato dalla sentenza n. 36258/2012 delle Sezioni Unite; evidenziava che nel caso di specie, in assenza di sequestro, non era dato conoscere il principio attivo delle sostanze che erano state singolarmente detenute e cedute nei mesi da ottobre a dicembre 2009 dagli imputati e che, d’altronde, il superamento del suddetto limiti non determinava automaticamente la sussistenza dell’aggravante, dovendosi avere riguardo, in assenza di specifici parametri quantitativi, dei criteri elaborati dalla precedente giurisprudenza di legittimità e dovendosi tener conto dell’intervenuto nuovo assetto normativo conseguente alla sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale.

La decisione in esito al giudizio di rinvio

La Corte di appello di Catania, terza sezione penale, decidendo in sede di rinvio, confermava la sentenza di condanna resa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante, condannando gli imputati al pagamento delle spese processuali di fase.

Il (nuovo) ricorso per cassazione.

Avverso la predetta sentenza della Corte di appello di Catania proponevano ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori, due imputati.

I motivi del primo ricorso

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’asserita sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 80 T.U. stup.. lamentandosi che nella sentenza impugnata si è ritenuto di colmare le lacune probatorie conseguenti all’assenza di sequestri di sostanza stupefacente mediante una limitata attività di osservazione da parte della polizia, gli esiti di alcune intercettazioni captate all’interno del carcere e le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia e non si è tenuto conto del nuovo assetto normativo che si è venuto a creare a seguito della sentenza n. 32/2014 per effetto della legge n. 79/2014, come invece indicato dalla Corte regolatrice nella citata sentenza di annullamento.

Lamenta inoltre il ricorrente che l’impugnata sentenza ha fatto riferimento a criteri preesistenti sanciti dalla giurisprudenza di legittimità prima della sentenza n. 36258/2012 delle Sezioni Unite, cioè a criteri che (quali l’elemento ponderale, sia pure non specificatamente predeterminato, la quantità di principio attivo, la quantità dello stupefacente e gli effetti negativi causati agli assuntori) non si armonizzano al caso di specie, caratterizzato dalla totale mancanza di dati certi provenienti da sequestri di sostanza in capo agli imputati.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’aumento per la continuazione tra i reati contestati. Al riguardo il ricorrente – premesso che, a suo dire, la Corte regolatrice, nell’annullare la sentenza, ha disposto che doveva essere ricalibrato il trattamento sanzionatorio alla luce della nuova disciplina dell’art. 73 T.U. stup. – osserva che nella impugnata sentenza è stato affermato che l’aumento di pena irrogato, a titolo di continuazione per il reato di spaccio, è pari ad anni 1, mentre in realtà è pari ad anni 3 e mesi 4, aumento questo significativamente più alto rispetto a quello applicato agli altri imputati, senza che di ciò ne sia stata data alcuna motivazione.

Il motivo (unico) del secondo ricorso

Il ricorso, presentato nell’interesse del secondo imputato ricorrente è affidato ad un solo motivo con il quale si denuncia la manifesta illogicità e carenza di motivazione. In particolare, secondo il ricorrente la Corte di rinvio sarebbe caduta in manifesta contraddittorietà laddove, da un lato, ha riconosciuto che il criterio quantitativo, anche se non matematicamente accertabile in assenza di sequestri di stupefacente, non può essere utilizzato per l’accertamento della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80; e, dall’altro, ha ritenuto la sussistenza della suddetta aggravante sulla base di due conversazioni ambientali e delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, cioè sugli base degli stessi dati processuali sui quali la prima Corte di appello aveva fondato il proprio convincimento e che tuttavia, a suo dire, non avrebbero convinto la Corte regolatrice.

Aggiunge che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia non sono state confermate dagli altri collaboratori di giustizia sentiti nel corso del processo di merito in punto di preteso acquisto da parte dell’imputato di 20 chili di marijuana e che, d’altronde, in nessuno degli episodi riferiti è stato mai menzionato il nome del ricorrente.

Rileva infine che la Corte di rinvio si è limitata ad affermare la ricorrenza dell’aggravante avuto riguardo ad uno spaccio parlato, senza che sia dato comprendere se si aveva avuto riguardo all’attività svolta dal ricorrente e se il riferimento sia stato alle cessioni operate personalmente da quest’ultimo ovvero anche alle cessioni dei concorrenti e, in quest’ultimo caso, se in ragione di una sommatoria delle diverse frazioni o se per avere individuato un comune complessivo quantitativo ingente.

La Corte di Cassazione accoglie entrambi i ricorsi

I limiti del giudizio di rinvio ed il giudicato progressivo

La Corte regolatrice precisa che il giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., rappresenta una ulteriore fase del giudizio di merito, vincolata alla sentenza di annullamento nei limiti da questa determinati.

Il giudice di rinvio, in altri termini, decide con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, limitatamente ai punti che hanno formato oggetto dell’annullamento o che siano in connessione essenziale con la parte annullata. Egli deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa e non può attrarre alla sua sfera di cognizione statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle devolutegli.

In particolare, il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento, fermo restando il suo obbligo a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento (cfr. Sez. 1, sent. n. 40386 del 16/09/2004, Fagan, Rv. 230620).

In sintesi, il giudizio di rinvio rappresenta un’autonoma fase di merito, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto, essendo coperta ogni altra questione dal giudicato progressivo.

E poiché nella specie il giudice di rinvio non si attenuto a tali principi, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio per nuovo esame in punto di sussistenza della contestata aggravante dell’ingente quantità, in punto di applicazione della contestata recidiva, e in punto di determinazione dell’aumento della pena per la contestata continuazione (tra l’imputazione di cui al capo a e l’imputazione di cui al capo b, nonché interna allo stesso capo b).

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna fissa un principio interessante in quanto chiarisce quale deve essere l’ampiezza del perimetro decisionale in sede di giudizio di rinvio.

Si tratta di un delicato equilibrio tra autonomia decisionale e vincolo derivante dalla sentenza della Corte di cassazione: da un lato il giudice di rinvio è libero di apprezzare liberamente il merito della vicenda processuale analizzando i dati probatori e la situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell’annullamento; dall’altro lato, però, tale convincimento, sia pur libero, è vincolato allo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento.

In questa ottica, l’autonomia decisionale del giudice di rinvio viene compressa dal giudicato progressivo.

Il che val quanto dire che il giudice di rinvio ha gli stessi poteri decisionali che aveva il giudice della sentenza annullata, sia pur limitatamente ai punti che hanno formato oggetto dell’annullamento o che siano in connessione essenziale con la parte annullata, ma non può attrarre alla sua sfera di cognizione statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle devolutegli.

In disparte va evidenziato che il confine tra autonomia e vincolo derivante dal devolutum, a volte, può non essere netto e deciso. E se il giudice elude o non si attiene allo schema della sentenza di annullamento, il rischio è che la sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio possa subire nuovamente un annullamento.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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