Il decreto Balduzzi non esclude la responsabilità contrattuale in capo al sanitario.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 ottobre – 24 dicembre 2014, n. 27391
La responsabilità del sanitario e della struttura
Un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 14/06/2007, n. 13953; Cass. civ., Sez. III, 13/04/2007, n. 8826; Cass. civ., Sez. III, 19/04/2006, n. 9085; Cass. civ., Sez. III, 26/01/2006, n. 1698; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2005, n. 22894; Cass. civ., Sez. III, 28/05/2004, n.10297) ha avuto modo di chiarire come, l’accettazione del paziente all’interno di una struttura (pubblica o privata che sia) deputata a fornire assistenza sanitaria ospedaliera, comporti la conclusione di un contratto atipico a prestazioni corrispettive, qualificato ora come di spedalità, ora di assistenza sanitaria.
In forza di tale vincolo sinallagmatico la struttura medesima, a fronte del pagamento del corrispettivo, è tenuta non ad una prestazione semplice ma, al contrario, ad una prestazione complessa che non si esaurisce soltanto nell’erogazione di servizi, in senso lato, “alberghieri” ma comprende anche la messa a disposizione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (sia generali che specialistiche, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 della legge n. 132/1968) nonché del relativo personale medico e paramedico. Conseguentemente, anche in ragione di quel particolare contatto a cui il paziente si espone nei confronti del medico (e di cui parla, con orientamento consolidato, la giurisprudenza a partire dalla storica Cass. civ., sez. III, n. 589/1999), la struttura ospedaliera risponde ex contractu, in forza del disposto dell’art. 1228 c.c. (relativo, come noto, alla responsabilità per fatto dell’ausiliario e del preposto), per l’attività posta in essere – e per l’effetto per i danni cagionati – dai propri dipendenti.
Tale assunto è stato suggellato anche da Cass. civ., Sez. Unite, 11/01/2008, n. 577 che, expressis verbis, statuisce come «Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto […]. Per diverso tempo tale legame contrattuale è stato interpretato e disciplinato sulla base dell’applicazione analogica al rapporto paziente-struttura delle norme in materia di contratto di prestazione d’opera intellettuale vigenti nel rapporto medico-paziente, con il conseguente e riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico. Da ciò derivava che il presupposto per l’affermazione della responsabilità contrattuale della struttura fosse l’accertamento di un comportamento colposo del medico operante presso la stessa. Più recentemente, invece, dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c. […] Così ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di spedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall’art. 1218 c.c., e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l’individuazione del fondamento di responsabilità dell’ente nell’inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d’opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell’ente per fatto del dipendente sulla base dell’art. 1228 c.c..».
La richiamata pronuncia, (ormai bussola di orientamento, in subiecta materia), sulla scorta di Cass. S.U. 30/10/2001 n. 13533 in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento, chiarisce come, nella materia che ci occupa (responsabilità contrattuale della struttura sanitaria), ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, debba limitarsi a provare il contratto e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato sicché competerà a quest’ultimo dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Il cd. decreto Balduzzi.
Il cd. decreto Balduzzi, (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189), all’articolo 3 ha stabilito che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Si è discusso, all’indomani della entrata in vigore della norma, se tale disposizione abbia mutato la responsabilità del sanitario, inquadrandola nella responsabilità aquiliana.
La questione non era e non è solo di tipo terminologico o sistematico, ma riverbera conseguenze diverse a seconda che la responsabilità la si inquadri nell’una o nell’altra categoria.
Tra le conseguenze più rilevanti evidenziamo la prescrizione (10 anni in caso di responsabilità contrattuale e 5 anni in caso di responsabilità extracontrattuale) ed il riparto dell’onere probatorio (il danneggiato deve solo provare la sussistenza del contratto con il sanitario e di aver subito un danno senza necessità di provare la colpa in capo al sanitario nel caso di responsabilità contrattuale; viceversa, nel caso di responsabilità extracontrattuale, dovrà provare che il danno è conseguenza dell’agere colposo del sanitario).
La decisione della Corte di Cassazione.
Ora, con la decisione sopra riportata, la Suprema Corte, risolvendo sia pure incidentalmente altra questione relativa ad un regolamento di competenza, ha ribadito quanto già sostenuto da diversi giudici di merito e da altre pronunce della Suprema Corte, affermando il principio che “l’art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve, fermo restando, in tali casi, l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile, non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve”.
Dunque, la predetta decisione, anche se certamente non innovativa, contribuirà a delineare in maniera più chiara, la natura della responsabilità del sanitario dopo l’entrata in vigore del cd. decreto Balduzzi, e ciò rafforzando la tutela del soggetto che subisce un danno ad opera del sanitario.
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Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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