Provvedimenti impugnabili con ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione

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Un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio – requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cast. – quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonché della definitività – in quanto non altrimenti modificabile – può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost

Lo ha ribadito la Suprema di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 22122 depositata il giorno 11 settembre 2018

Provvedimenti impugnabili con ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione

Provvedimenti impugnabili con ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione

Il caso 

È proposto ricorso contro il decreto del Tribunale di Catania del 28 dicembre 2012, che ha respinto il reclamo ex art. 26 l.fall. avverso il provvedimento del giudice delegato al concordato preventivo, il quale, a sua volta, aveva rigettato l’istanza di restituzione delle somme portate da due libretti di deposito bancario, a suo tempo accantonate per il pagamento di fornitori e dipendenti irrepetibili, proposta da una società.

Le motivazioni addotte dal Tribunale

Il tribunale ha ritenuto che non spetti il diritto alla restituzione di dette somme, in quanto: a) l’art. 180, comma 6, l.fall. non si applica alla vicenda, essendo ad essa successivo e, comunque, nel prevedere che il tribunale «fissa le condizioni e le modalità per lo svincolo» delle somme non ne impone la restituzione all’imprenditore, ma unicamente attribuisce il potere di devolverle all’erario, in modo similare a quanto dispone l’art. 117, comma 4, l.fall. per la procedura di fallimento; b) ai sensi dell’art. 12, comma 2, preleggi, deve applicarsi l’art. 117, comma 4, cit., data la mancanza di differenza sostanziale tra creditori ammessi al passivo del fallimento e poi rivelatisi irreperibili, e creditori aventi titolo ai pagamenti in virtù dell’ammissione del debitore al concordato e rivelatisi irreperibili; onde, trattandosi di applicazione analogica di tale norma, non si verifica nessun arricchimento senza causa per lo Stato; c) la devoluzione all’erario delle somme giacenti sui libretti non determina un riparto suppletivo ai creditori, onde non ha pregio la censura di alterazione delle condizioni della proposta. Da qui il ricorso per cassazione.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12 preleggi, 117, comma 4, 180 l.fall., non potendo nella specie applicarsi la regola della devoluzione allo Stato delle somme non riscosse dagli irreperibili entro il termine di cinque anni, essendo la norma dettata in materia di fallimento e del tutto estranea alla ratio della procedura di concordato preventivo, mentre l’art. 185 l.fall. rinvia alle norme sul concordato fallimentare, e, quindi, anche all’art. 136, comma 3, secondo cui, accertata la esecuzione del concordato, il giudice delegato «ordina lo svincolo delle cauzioni e la cancellazione delle ipoteche»; il legislatore ha poi disposto, nel nuovo art. 180, comma 6, che le somme in questione sono depositate come stabilito dal tribunale, il quale fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo. E questo termine – per la ricorrente – significa letteralmente «eliminazione dei vincoli», onde è univoco nel prevedere che il provvedimento sia diretto al soggetto che quel vincolo aveva subìto, quindi al debitore; laddove l’art. 117, comma 4, l.fall. parla, invece, di «versamento» al bilancio statale. A ciò, va aggiunto il favor del legislatore per l’imprenditore ormai in bonis.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’illegittimità del decreto impugnato, per contrasto con le condizioni della proposta concordataria ammessa, dato che ha correttamente adempiuto a tutte le condizioni ed ha diritto alla restituzione degli importi residuati, pena altresì un arricchimento indebito del soggetto beneficiato.

Il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Per i giudici di piazza Cavour, presupposto del ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. è che si tratti di «sentenze». Orbene – proseguono gli Ermellini – portato di tale locuzione stia nella capacità al giudicato: la norma è stata così oggetto di una lettura estensiva, la quale si riassume in ciò, che il ricorso straordinario è dato non già avverso le sole sentenze, intendendo con ciò i provvedimenti ai quali il legislatore attribuisce detta forma, bensì contro tutti i provvedimenti, ivi compresi le ordinanze ed i decreti, simultaneamente caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (c.d. sentenze in senso sostanziale).

Il principio di diritto richiamato

I giudici della Suprema Corte richiamano il principio costante in forza del quale «un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio – requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cast. – quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonché della definitività – in quanto non altrimenti modificabile – può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.» (così Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 1914; cfr. altresì Cass. 25 ottobre 2016, n. 21522).

Il duplice requisito della decisorietà e della definitività

I requisiti richiesti ai fini del ricorso straordinario sono, dunque, la decisorietà e la definitività dei provvedimenti: decisorietà, nel senso che incidano su diritti o status; definitività, in quanto viga all’esito la regola del giudicato, quale situazione ex art. 2909 c.c. in cui l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione in nessun modo e a nessuna condizione, o, più in generale, quando manchi un rimedio impugnatorio e il provvedimento non sia modificabile/revocabile ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso.

Il giudicato – concludono i giudici di piazza Cavour – sancisce il limite ultimo di regolamentazione della situazione giuridica; accertamento intangibile, al punto che neppure successivi mutamenti della normativa di riferimento, o l’abrogazione della norma ad opera della Corte costituzionale per contrasto con i principi della Costituzione, oppure la scoperta della falsità del giuramento (salvi solo i casi di revocazione straordinaria, che per l’appunto è tale) possono rimetterlo in discussione. “L’istituto del giudicato costituisce la scelta legislativa che opera il bilanciamento tra le opposte esigenze ed una delle principali espressioni del valore della certezza del diritto (cfr., tra le altre, Cass. 13 novembre 2013, n. 25508; Cass. 10 dicembre 2003, n. 18339).

La natura dei provvedimenti di c.d. giurisdizione camerale o volontaria o non contenziosa

I provvedimenti di c.d. giurisdizione camerale o volontaria o non contenziosa, secondo i giudici della corte di Cassazione, mirano ad adeguare costantemente la realtà giuridica a quella di fatto, in aderenza al mutamento delle condizioni concrete, ed al fine di operare un regolamento degli interessi quanto più aderente alle esigenze materiali, l’ordinamento in taluni casi consentendo la riconsiderazione della situazione, ad opera dello stesso giudice che abbia provveduto o di un giudice superiore.

L’articolo 136 comma 3 legge fallimentare non ha carattere decisorio

Orbene, la Suprema Corte ha già affermato che il provvedimento di cui all’art. 136, comma 3, l.fall., con il quale il giudice delegato, accertata la completa esecuzione del concordato, ordina lo svincolo della cauzione e la cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia, non ha carattere decisorio ed il provvedimento – stante la sua natura di volontaria giurisdizione – può, sia su richiesta della stessa parte che ha proposto l’istanza, sia d’ufficio, essere modificato e revocato in ogni tempo (Cass. 11 giugno 1997, n. 5242; v. pure Cass. 2 aprile 1985, n. 2251; Cass. 9 aprile 1984, n. 2272).

Il solo requisito della decisorietà non legittima la proposizione del ricorso straordinario

Più di recente, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito che “decisorietà è in sé non sufficiente, ove il provvedimento sia modificabile e revocabile per una nuova e diversa valutazione delle circostanze precedenti, ovvero per il sopravvenire di nuove circostanze, oppure per motivi di legittimità, poiché in queste ipotesi manca una statuizione definitiva ed un pregiudizio irreparabile ai diritti che vi sono coinvolti” (Cass. 18 giugno 2008, n. 16598, che richiama a sua volta Cass. S.U. n. 11026 del 2003 e n. 6220 del 1986).

Da qui l’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. proposto avverso il decreto con cui il tribunale, in sede di reclamo, abbia confermato il provvedimento del giudice delegato di rigetto della domanda di svincolo delle somme accantonate.

Una breve riflessione

I giudici della Suprema Corte, con la sentenza in rassegna, aderiscono all’orientamento ormai consolidato che richiede, al contempo, il requisito della decisorietà e quello della definitività per la proposizione del ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione.

Ciò sul rilievo che allorchè un provvedimento, ancorchè di contenuto decisorio sia revocabile, non vi è motivo di proporre ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.

Non deve, dunque, necessariamente trattarsi di “sentenze”, come recita l’articolo 111 Costituzione, purchè il provvedimento sia dotato contemporaneamente dei richiamati requisiti.

Ma che succede se chi chiede la revoca o la modifica del provvedimento in forza di una diversa valutazione delle circostanze precedenti ottiene un identico provvedimento di diniego? Il giudice di merito potrebbe “sfruttare” tale limite per reiterare il proprio convincimento ancorchè, in ipotesi, si ponesse in violazione di legge.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvel.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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