Effetti preclusivi del patteggiamento in appello

Download PDF

E’ inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, dall’art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado,  ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con ordinanza n 40282 depositata il 10 settembre 2018

Effetti preclusivi del patteggiamento in appello

Effetti preclusivi del patteggiamento in appello

Il caso 

Il difensore di un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. aveva rideterminato la pena inflitta all’imputato nella misura concordata di anni 5, mesi 6 di reclusione ed euro 26.667,00 per il reato di cui agli artt. 81, 110 cod. peri.- 73, commi 1 e 4. D.P.R 309/90 con la riduzione per il rito.

I motivi di ricorso

Ne chiedeva l’annullamento per mancato riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva.

Deduceva che la posizione dell’imputato era identica a quella di altri imputati, che tuttavia, avevano ottenuto un trattamento sanzionatorio più mite, e ciò solo in ragione della recidiva, reiterata specifica contestata e ritenuta solo in base ai precedenti penali, nonostante gli stessi risalissero al 2002.

Il giudice di appello avrebbe dovuto disapplicare la recidiva in relazione al tempo trascorso dall’ultimo reato ed avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione sul punto o quantomeno riconoscere le attenuanti prevalenti, in ragione del comportamento processuale.

Si evidenziava che, sebbene tale prevalenza sia vietata dall’art. 69, ultimo comma, cod. proc., la norma è stata oggetto di varie pronunce di incostituzionalità, anche in relazione all’art. 73, comma quinto, D.P.R. 309/90. Pertanto, si chiedeva in via principale l’annullamento della sentenza relativamente al profilo sanzionatorio, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 cod. pen, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva per contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza, poiché la norma impedisce al giudice di valutare tutti gli elementi concreti posti al suo esame, alterando l’equilibrio imposto a livello costituzionale tra dimensione oggettiva del fatto e dimensione soggettiva.

La Corte Suprema ritiene il ricorso inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.

Hanno chiarito i giudici di piazza Cavour che l’imputato ha chiesto ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. l’applicazione della pena concordata con il PG con contestuale rinuncia ai motivi di appello concernenti il merito. La pena è stata dunque applicata secondo l’accordo raggiunto, che prevedeva espressamente il riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con la recidiva contestata.

Il principio di diritto richiamato dalla Corte

Per gli Ermellini, considerato che ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dalla legge n.103/17, la rinuncia ai motivi di merito con concordato sulla pena, per l’effetto devolutivo dell’appello, limita la cognizione del giudice di appello ai motivi non rinunciati, è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, dall’art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258).

Da qui l’inammissibilità del ricorso, peraltro rilevabile senza formalità di procedura ai sensi dell’art.610, comma 5- bis, cod. proc. pen.

Una breve riflessione.

Nella fattispecie in esame la Suprema Corte “bacchetta” l’imputato non solo dichiarando inammissibile il suo ricorso, ma condannandolo anche al pagamento di una somma di €. 4.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Per i giudici di Piazza Cavour, allorchè l’imputato scelga di concordare una pena con il Procuratore Generale in appello, e detta pena viene “fatta propria” dalla Corte, tale scelta equivale a rinuncia all’impugnazione con conseguente preclusione sull’intero svolgimento del processo, incluso il giudizio di legittimità. Non può dunque l’imputato dolersi del mancato riconoscimento di circostanze generiche o dell’erroneo o ingiusto bilanciamento delle aggravanti e delle attenuanti.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (vvvv.clouvell.com)

Download PDF