Insinuazione al passivo di saldo negativo di conto corrente

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Nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l’onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con ordinanza n. 22209 depositata il 12 settembre 2018

Insinuazione al passivo di saldo negativo di conto corrente

Insinuazione al passivo di saldo negativo di conto corrente

Il caso 

Il Giudice delegato al fallimento di una società non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da un Istituto di Credito in relazione a un mutuo chirografario, due conti correnti e due conti anticipi, ritenendo che l’insinuazione non fosse adeguatamente suffragata in via documentale, dato che i contratti erano privi di data certa e non erano accompagnati dagli estratti conto relativi all’intera durata del rapporto e dalla documentazione giustificativa delle singole annotazioni.

Il provvedimento emesso in esito alla opposizione.

Il Tribunale, nel rigettare l’opposizione proposta da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. con decreto depositato in data 17 ottobre 2013, riteneva – una volta accertato che i fatti allegati dall’opponente erano idonei a stabilire la certezza della data dei contratti azionati, con esclusione del mutuo chirografario e del conto corrente – che l’istituto di credito non avesse adeguatamente assolto l’onere probatorio a cui era tenuto, avendo prodotto rispetto al contratto di conto corrente solo gli estratti conto, inopponibili alla curatela senza la documentazione relativa allo svolgimento del rapporto; quanto ai conti anticipi mancava la prova dell’effettiva erogazione degli importi in favore del correntista, la cui dimostrazione non poteva essere evinta dalle risultanze del conto corrente su cui le somme erano state girate, stante la loro inopponibilità alla curatela. Da qui il ricorso per cassazione da parte della Banca.

Il primo motivo di ricorso

II primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99 legge fall. e 91 cod. proc. civ.: il Tribunale avrebbe ritenuto rituale la costituzione tardiva della curatela non sanzionandola con una declaratoria di inammissibilità e condannando ciò nonostante la banca alla rifusione delle spese di lite in suo favore.

Il motivo viene ritenuto infondato

Per gli Ermellini, il disposto dell’ art. 99 legge fall. ripercorre la disciplina prevista dall’art. 18 legge fall. e, più in generale, dagli artt. 166 e 167 cod. proc. civ., prevedendo un espresso termine perentorio per la costituzione delle parti resistenti e il necessario inserimento all’interno della memoria difensiva, a pena di decadenza, delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e della specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

L’espressa conseguenza prevista dal legislatore per il mancato rispetto di questa disciplina – proseguono i giudici di legittimità – individuata non in termini di inammissibilità della costituzione ma di decadenza dal diritto di sollevare eccezioni non rilevabili d’ufficio e provvedere alla prova, induce a ritenere, in parallelo con quanto avviene in sede di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento e nel procedimento ordinario, che la costituzione della parte resistente sia del tutto ammissibile anche se tardiva e abiliti alla partecipazione attiva al processo nei limiti delle difese consentite dai termini in cui la stessa è avvenuta.

Dunque nel giudizio di opposizione, come disciplinato dagli artt. 98 e 99 legge fall., il termine per la costituzione della parte opposta è perentorio, nel senso espressamente previsto dall’art. 99, comma 7, legge fall., senza che tuttavia il suo mancato rispetto implichi decadenza della parte che vi sia incorsa dal diritto di opporsi all’accoglimento delle pretese avversarie, potendo dunque essa intervenire nel relativo procedimento con le limitazioni che la tardività comporta per la formulazione di determinate difese (si vedano in questo senso, per quanto attiene il giudizio di reclamo avverso una sentenza dichiarativa di fallimento, Cass., 30/1/2017 n. 2235, Cass. 5/6/2009 n. 12986).

Il secondo motivo di ricorso

Il secondo mezzo lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1832, 1857 e 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.: il Tribunale, in dissonanza con la giurisprudenza di legittimità, avrebbe omesso ogni valutazione in merito alla completezza e all’esaustività delle schede integrali prodotte in relazione al conto corrente e alla mancanza di contestazioni sulle poste ivi annotate.

Il terzo motivo di ricorso

Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1832, 1857, 2697, 2710 e 2729 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. nonché per l’omesso esame di un fatto decisivo già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale avrebbe erroneamente negato valenza probatoria agli estratti integrali del conto corrente apprezzandoli in modo avulso dagli altri documenti prodotti e dalla condotta processuale del curatore, poiché le risultanze degli estratti di conto corrente, costituenti quanto meno prove atipiche, potevano essere disattese soltanto in presenza di circostanziate contestazioni specificamente dirette contro determinate annotazioni, mai effettuate nel caso di specie dal curatore; la dimostrazione del credito della banca in sede di insinuazione al passivo doveva invece essere fornita mediante la produzione del contratto e dei relativi estratti integrali del conto, salvo approfondimenti istruttori in presenza di contestazioni di singole operazioni da parte del curatore o del giudice delegato.

I motivi secondo e terzo vengono ritenuti fondati.

Per i giudici di piazza Cavour “vero è che secondo la giurisprudenza di questa Corte la banca, ove prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo il relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 cod. civ. attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni (Cass. 9/5/2001 n. 6465, Cass. 26/1/2006 n. 1543). Tale principio trova fondamento nella posizione di terzietà assunta dal curatore. Ciò tuttavia non significa che in ambito di insinuazione al passivo l’estratto conto debba essere considerato in via generalizzata come privo di qualsiasi valore probatorio”.

Per gli Ermellini, fermo il principio per cui l’istituto di credito ha l’onere di dare piena prova del suo credito, assolvendo lo stesso attraverso la produzione della documentazione relativa allo svolgimento del conto, il collegio dell’opposizione tuttavia non può prescindere “dalla valutazione, doverosa e necessaria, circa la completezza ed esaustività delle schede integrali prodotte dalla creditrice, che rappresenta(va) la premessa logica indispensabile per procedere al successivo consequenziale apprezzamento della ulteriore produzione documentale. E del resto non può trascurarsi di osservare che l’ammissibilità di prove atipiche, che proprio con riguardo al caso di specie è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza di merito oltre che in dottrina, imponeva all’organo giudicante di tenerne conto, in considerazione dell’assoluta mancanza di contestazioni provenienti dalla curatela fallimentare” (Cass. 8/8/2013 n. 19028).

La natura di procedimento di rendicontazione del procedimento di insinuazione e opposizione.

Per i giudici di legittimità, “sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all’art. 1832 cod. civ., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungano da procedimento di rendicontazione al fine dell’individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscano a fornire all’estratto conto che rappresenti l’intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell’istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo”.

In linea generale – prosegue la Suprema Corte – ogni qual volta sia necessario rendere un conto il sistema (si pensi al meccanismo previsto dagli artt. 1832 cod. civ., 119 T.U.B. e, più in generale, 263 e ss. cod. proc. civ.) prevede che la parte onerata proceda alla rendicontazione tramite la precisa indicazione dell’evoluzione storica del rapporto, mentre la controparte ha l’onere entro un determinato termine di sollevare contestazioni, specificando le partite che intende porre in contestazione.

Un simile meccanismo vale, tramite lo sviluppo del procedimento di verifica delle insinuazioni al passivo, anche nei confronti della procedura fallimentare, a cui la banca, a prescindere dagli estratti inviati al fallito ed eventualmente approvati prima dell’apertura del concorso, è tenuta a dare conto dell’esistenza e dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto nella loro completa consistenza.

Il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto

A fronte di questa produzione – affermano gli Ermellini – non si può trascurare di considerare che sul curatore incombe il dovere di procedere a una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell’estratto conto secondo le risultanze in suo possesso. Ed è proprio la pregnanza di questo obbligo di verificazione che consente il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto e la valorizzazione dell’estratto conto integrale prodotto, così analizzato, quale prova.

Gli obblighi di contestazione ed il riparto dell’onere probatorio.

A un simile, puntuale, controllo farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro. In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l’istituto di credito avrà l’onere, ex art. 95, comma 2, legge fall. o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione. Per contro ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato nè potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa.

Il provvedimento impugnato – proseguono i giudici di legittimità –  non si è attenuto a questi principi limitandosi a constatare l’inidoneità degli estratti conto prodotti a fornire la prova dell’evoluzione del rapporto e dell’esistenza del credito finale e ha così addossato al creditore istante un onere di integrazione del materiale istruttorio già depositato non correlato al contenuto di rilievi compiuti dal curatore rispetto alle risultanze degli estratti conto messi a disposizione della procedura.

Il principio di diritto affermato.

La Suprema Corte afferma dunque il seguente principio: nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l’onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.

Da qui la cassazione del provvedimento impugnato.

Una breve riflessione

Una sentenza davvero interessante quella in rassegna perché focalizza la propria attenzione sull’onere incombente sul creditore in sede di insinuazione al passivo fallimentare e su quello, correlato, incombente sul curatore.

In assenza di specifiche contestazioni, il Tribunale ha l’obbligo di esaminare la documentazione offerta dal creditore purchè questi dia conto dell’intera evoluzione del rapporto; così come, a fronte di specifiche contestazioni da parte del curatore, il creditore ha l’onere di integrare la documentazione o la prova del credito relativamente alle contestazioni sollevate.

Anche in siffatta materia, pertanto, il principio di non contestazione viene ad attenuare l’opposto principio “onus probandi incumbit ei qui dicit”, e ciò in quanto la applicazione rigida di tale ultimo principio potrebbe rendere eccessivamente gravoso, per il creditore, fornire la prova del proprio diritto.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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