La revisione della sentenza di patteggiamento

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La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, sicché le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., si come applicabile nel patteggiamento. Tale differenza rispetto ai parametri utilizzati nella revisione delle sentenze “ordinarie” trova la sua spiegazione nella peculiarità della pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in cui il controllo giudiziale è appunto limitato ad escludere la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 25308 del 9 giugno 2015

La revisione della sentenza di patteggiamento

La revisione della sentenza di patteggiamento

Il caso

Un Tizio ha definito con richiesta di applicazione della pena, accolta con sentenza 2.2.04 del Tribunale di Roma, irrevocabile il 20.2.04, il processo a suo carico nel quale era imputato di concussione per avere, nella sua qualità di coadiutore del curatore del fallimento, indotto consulente tecnico nominato dal giudice delegato a dargli la somma di 30.000 euro minacciandolo che altrimenti non avrebbe potuto avere incarichi nella Sezione fallimentare del Tribunale di Roma.

Ha quindi proposto istanza di revisione ai sensi dell’art. 630 lett. C) c.p.p., che la Corte d’appello di Perugia con ordinanza 27-30.5.13 ha dichiarato inammissibile.

I motivi di ricorso

Il ricorso enuncia unico motivo che nell’epigrafe (p. 10 atto di impugnazione) reca il richiamo indistinto ai tre alternativi vizi della motivazione previsti dall’art. 606.1 lett. E) c.p.p.. Le dichiarazioni rese al difensore, ex artt. 391- bis e 391-ter c.p.p., dal Capo dell’Ispettorato del Ministero della giustizia sull’esito dell’ispezione amministrativa svolta presso la Sezione fallimentare del Tribunale romano, che aveva accertato anomalie patologiche nel sistema di assegnazione degli affari e attribuzione di incarichi, avrebbero invece introdotto elementi nuovi, conosciuti successivamente alla richiesta di ‘patteggiamento’, che comportavano una diversa ricostruzione dei fatti, idonea ad imporre pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p., in particolare perché tali patologie riguardavano anche proprio l’unica fonte d’accusa nel procedimento definito ex art. 444 c.p.p..

La posizione del procuratore generale.

Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso, osservando che le nuove prove addotte si riferivano ad una situazione generalizzata senza elementi di coincidenza o contiguità al fatto specifico contestato all’imputato

Le argomentazioni della Corte di Cassazione

Per i giudici di legittimità, il percorso logico-giuridico della Corte di Perugia è immune da alcuno dei vizi genericamente prospettati nell’unico motivo di ricorso. Motivo che si rivela appunto insuperabilmente generico laddove all’evidenza, in primo luogo, attribuisce alle dichiarazioni del teste il valore di unica prova, senza alcuna deduzione specifica sul diverso rilievo della Corte d’appello e, in secondo luogo, cerca di contrastare lo specifico argomento della non riconducibilità ai parametri dell’art. 129 c.p.p. del contenuto delle dichiarazioni rese dal teste al difensore, nel contesto probatorio complessivo e nella specifica vicenda ‘patteggiata’, solo in termini assertivi. Quando invece, in ordine al secondo aspetto, proprio la non obiettiva sovrapposizione dei due piani (gestione anomala degli incarichi, specifica vicenda avrebbe imposto almeno in termini di allegazione una peculiare specificità delle ragioni che avrebbero dovuto condurre, in termini di evidenza probatoria allo stato degli atti, integrati dalla nuova prova, all’immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

Il principio di diritto ribadito dalla Suprema Corte

Per gli Ermellini, che si rifanno alla sentenza 31374/11 ed alla sentenza 10299/14 della Suprema Corte, la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, sicché le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., si come applicabile nel patteggiamento.

La ratio della differenza rispetto alla revisione nelle sentenze ordinarie

Tale differenza rispetto ai parametri utilizzati nella revisione delle sentenze “ordinarie” – prosegue la Suprema Corte – trova la sua spiegazione nella peculiarità della pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in cui il controllo giudiziale è appunto limitato ad escludere la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Ebbene, tale presupposto ritorna anche nell’ipotesi della revisione, la cui richiesta si fonda sulla volontà unilaterale di recedere, per fatti sopravvenuti, dall’accordo, con la conseguenza che si stabilisce un rapporto diretto tra accordo, già vagliato dal giudice, e richiesta di revisione con il suo corredo dimostrativo.

Il rimedio straordinario e la sentenza di patteggiamento.

Per i giudici di piazza Cavour, l’estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, ad opera della L. n. 234 del 2003, risulta notevolmente più contratta rispetto alla revisione ordinaria, in quanto nel caso delle pronunce ex art. 444 c.p.p., il giudice viene chiamato a stabilire se le prove sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di letture radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il patteggiamento, atti che di per sè non erano tali da reclamare l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

In caso contrario, – conclude la Corte – “la revisione cesserebbe di essere un mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Sez. 6, 24 maggio 2011, n. 31374; Sez. 3 sent. 13032/14 e 23050/13; sez. 4 sent. 26000/13).

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna, rifacendosi e quindi ribadendo un consolidato principio giurisprudenziale, è pur sempre di interesse per il giurista in quanto segna il confine tra le sentenze ordinarie e le sentenze di patteggiamento a proposito dell’istituto della revisione.

Con il principio ribadito, la Suprema Corte vuole in sostanza evitare che l’imputato, dopo aver concordato con la Procura la pena per una sentenza di patteggiamento, possa rimettere in discussione il provvedimento giurisdizionale e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità alla luce di prove successivamente rinvenute.

Ma la Suprema Corte non afferma che chi ha patteggiato non possa ricorrere all’istituto della revisione, ma solo che tale rimedio, in relazione alle sentenze ex art. 444 c.p.p., risulta più contratto rispetto alla revisione ordinaria, in quanto nel caso delle pronunce di patteggiamento il giudice viene chiamato a stabilire se le prove sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di lettura radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il patteggiamento, atti che di per sè non erano tali da reclamare l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Come dire che la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, e dunque le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p.

Si noterà bene come, in applicazione di tale principio, il rimedio della revisione, rimedio di carattere straordinario, riguardo le sentenze di patteggiamento, risulti molto “compresso” perché il giudice chiamato a decidere sulla revisione della sentenza ex art. 444 c.p.p. dovrà limitarsi a valutare le prove sopravvenute alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, sicché le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p. e ciò si spiega in forza del fatto che la richiesta si fonda sulla volontà unilaterale di recedere, per fatti sopravvenuti, dall’accordo.

In definitiva, chi patteggia incontrerà non poche difficoltà ad ottenere una pronuncia di revisione della sentenza di patteggiamento da lui stesso concordata. Solo prove talmente “eclatanti” che, ove presenti, avrebbero indotto il giudice a pronunziare il proscioglimento ex art. 129 cp.p. anche a fronte di un accordo sulla pena saranno sufficienti a travolgere la sentenza di patteggiamento.

Al contempo, però, non può non osservarsi, come, da altra prospettiva, l’orientamento della Suprema Corte appare contrario al principio del favor rei. Se il giudice, pur a fronte di un accordo, può pronunziare sentenza ex art. 129 c.p.p., non si comprende perchè mai dovrebbe essere negato un approfondimento istruttorio (o, se si preferisce, una revisione istruttoria) che potrebbe condurre, in forza dei criteri applicati dai giudici alle sentenze ordinarie, ad una pronunzia assolutoria piena.

In altre parole, il limite del citato orientamento, a parere di chi scrive, è che non tiene conto del fatto che l’imputato, se avesse conosciuto ex ante le prove rinvenute successivamente, probabilmente, avrebbe potuto non optare per il rito alternativo ex art. 444 c.p.p.

Dunque, il rinvenimento di nuove prove dovrebbe poter travolgere anche il rito adottato e riaprire una rivisitazione, senza limitazione alcuna, del materiale probatorio a favore del diritto di libertà dell’imputato ed in ossequio ai canoni del giusto processo.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

 

 

 

 

 

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