Corte di Cassazione – sezione sesta penale – sentenza n. 25308 del 9 giugno 2015

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CONSIDERATO IN FATTO

  1. (Omissis) ha definito con richiesta di applicazione della pena, accolta con sentenza 2.2.04 del Tribunale di Roma, irrevocabile il 20.2.04, il processo a suo carico nel quale era imputato di concussione per avere, nella sua qualità di coadiutore del curatore del fallimento (Omissis), indotto (Omissis), consulente tecnico nominato dal giudice delegato, a dargli la somma di 30.000 euro minacciandolo che altrimenti non avrebbe potuto avere incarichi nella Sezione fallimentare del Tribunale di Roma.
  2. Ha quindi proposto istanza di revisione ai sensi dell’art. 630 lett. C) c.p.p., che la Corte d’appello di Perugia con ordinanza 27-30.5.13 ha dichiarato inammissibile.
  3. Il ricorso enuncia unico motivo che nell’epigrafe (p. 10 atto di impugnazione) reca il richiamo indistinto ai tre alternativi vizi della motivazione previsti dall’art. 606.1 lett. E) c.p.p.. Le dichiarazioni rese al difensore, ex artt. 391- bis e 391-ter c.p.p., dal Capo dell’Ispettorato del Ministero della giustizia (Omissis) sull’esito dell’ispezione amministrativa svolta presso la Sezione fallimentare del Tribunale romano, che aveva accertato anomalie patologiche nel sistema di assegnazione degli affari e attribuzione di incarichi, avrebbero invece introdotto elementi nuovi, conosciuti successivamente alla richiesta di ‘patteggiamento’, che comportavano una diversa ricostruzione dei fatti, idonea ad imporre pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p., in particolare perché tali patologie riguardavano anche proprio la persona del (Omissis), unica fonte d’accusa nel procedimento definito ex art. 444 c.p.p..
  4. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso, osservando che le nuove prove addotte si riferivano ad una situazione generalizzata senza elementi di coincidenza o contiguità al fatto specifico contestato al (Omissis).

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, perché il motivo è al tempo stesso generico e manifestamente infondato. Conseguente è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000, equa al caso, in favore della Cassa delle ammende.

5.1 La Corte umbra ha:

– prima sintetizzato la prospettazione difensiva: il dottor (Omissis) era risultato aver ricevuto molti incarichi dal medesimo magistrato che era giudice delegato del fallimento (Omissis), quello per il quale vi era stato il contatto tra il ricorrente e (Omissis) presupposto dell’imputazione ‘patteggiata’ dal primo; (Omissis) sarebbe invece stato estraneo al ‘giro’ degli incarichi; da qui la nuova prova dell’inverosimiglianza della narrazione e accusa di (Omissis) che aveva portato all’imputazione definita con il patteggiannento di (Omissis);

– poi negato rilievo alle prove preesistenti e osservato che, comunque, le nuove prove dovevano essere valutate secondo il medesimo parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., unico che, secondo la volontà del Legislatore quale concretizzatasi nell’art. 444 c.p.p., in tale rito impone (e consente) il proscioglimento, anche d’ufficio;

– quindi spiegato che l’eventuale coinvolgimento di (Omissis) nella gestione non corretta dell’assegnazione degli incarichi di curatore nella Sezione fallimentare romana, nei termini ‘adombrati’ da (Omissis), aveva un rilievo al più solo indiretto nella specifica vicenda del particolare incarico assegnato a (Omissis) e che aveva dato origine al fatto specifico per cui (Omissis) aveva ‘patteggiato’, del tutto inidoneo (anche nel caso in cui quanto adombrato da (Omissis) fosse risultato processualmente provato) a fondare una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. su quel fatto specifico, tenuto tra l’altro conto che a carico dell’odierno ricorrente non vi erano affatto solo le dichiarazioni di (Omissis) ma anche quelle di un altro teste ed accertamenti bancari coerenti, richiamati nella originaria sentenza ex art. 444 c.p.p..

5.2 Il percorso logico-giuridico della Corte di Perugia è immune da alcuno dei vizi genericamente prospettati nell’epigrafe dell’unico motivo di ricorso (con il solo rilievo dell’erroneità del richiamo iniziale alle prove preesistenti, tuttavia irrilevante nell’economia del ragionamento che ha condotto alla deliberazione, incentrato sull’inidoneità della prova anche nuova sola introdotta a costituire, se poi risultata conforme alle allegazioni, parametro per apprezzamento ex art. 129 c.p.p.). Motivo che si rivela appunto insuperabilmente generico laddove all’evidenza, in primo luogo, attribuisce alle dichiarazioni di (Omissis) il valore di unica prova, senza alcuna deduzione specifica sul diverso rilievo della Corte d’appello appena sopra ricordato e, in secondo luogo, cerca di contrastare lo specifico argomento della non riconducibilità ai parametri dell’art. 129 c.p.p. del contenuto delle dichiarazioni rese da (Omissis) al difensore, nel contesto probatorio complessivo e nella specifica vicenda ‘patteggiata’, solo in termini assertivi. Quando invece, in ordine al secondo aspetto, proprio la non obiettiva sovrapposizione dei due piani (gestione anomala degli incarichi, specifica vicenda (Omissis/Omissis) avrebbe imposto almeno in termini di allegazione una peculiare specificità delle ragioni che avrebbero dovuto condurre, in termini di evidenza probatoria allo stato degli atti, integrati dalla nuova prova, all’immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

In ordine a quest’ultimo parametro la Sezione condivide l’insegnamento articolato proposto con la propria sentenza 31374/11, ribadito, tra le altre, con la sentenza 10299/14, della quale appare opportuno ricordare i passaggi di motivazione essenziali sul punto: Preliminarmente si rileva che “la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, sicché le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., si come applicabile nel patteggiamento” (in questo senso, Sez. 6^, 24 maggio 2011, n. 31374, C). Tale differenza rispetto ai parametri utilizzati nella revisione delle sentenze “ordinarie” trova la sua spiegazione nella peculiarità della pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in cui il controllo giudiziale è appunto limitato ad escludere la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.. Ebbene, tale presupposto ritorna anche nell’ipotesi della revisione, la cui richiesta si fonda sulla volontà unilaterale di recedere, per fatti sopravvenuti, dall’accordo, con la conseguenza che si stabilisce un rapporto diretto tra accordo, già vagliato dal giudice, e richiesta di revisione con il suo corredo dimostrativo. Del resto la giurisprudenza di questa Corte ha messo in evidenza come l’estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, ad opera della L. n. 234 del 2003, risulti notevolmente più contratta rispetto alla revisione ordinaria, in quanto nel caso delle pronunce ex art. 444 c.p.p., il giudice viene chiamato a stabilire se le prove sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di letture radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il patteggiamento, atti che di per sè non erano tali da reclamare l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (cfr., Sez. 6^, 4 dicembre 2006, Tambaro). In caso contrario, “la revisione cesserebbe di essere un mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Sez. 6″, 24 maggio 2011, n. 31374, C)». Insegnamento comune anche ad altre Sezioni di questa Corte, sì da risultare del tutto consolidato (Sez. 3 sent. 13032/14 e 23050/13; sez. 4 sent. 26000/13).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9.6.2015

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