FORO DEL CONSUMATORE: QUANDO IL MALATO “GIOCA” IN CASA

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Chi abbia usufruito di prestazioni sanitarie può avvalersi del foro del consumatore qualora il rapporto fra lui e la struttura sanitaria del S.s.n. (o convenzionata) “abbia corso con l’espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia posto direttamente a carico dell’utente e non del Servizio sanitario nazionale”.

In particolare, nel caso di “esecuzione di un intervento operatorio espletata da un medico della struttura sanitaria in regime intramurario, con addebito all’utente dei costi della sua prestazione e di altri medici nonché di quelli della struttura, sulla base di un vero e proprio contratto intervenuto fra l’utente e la struttura del S.s.n., salvo per una parte minore che rappresenti il costo aziendale normalmente a carico del S.s.n”., trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall’esecuzione della prestazione, introdotta dall’utente contro la struttura, l’art. 33, comma 2, lett. m), d.lg. n. 205 del 2006, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria (nella specie un’azienda Ospedaliera Universitaria del S.s.n.) si è posta direttamente nei confronti dell’utente come professionista”.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione civile – sez. VI – con sentenza 24/12/2014 n°27391.

La Suprema Corte è pervenuta a tale decisione esaminando, nella controversia in esame, un documento proveniente dall’Azienda Ospedaliera, intestato “preventivo di spesa” ed indirizzato al paziente. In detto documento erano distintamente indicate le seguenti voci di spesa: “compenso del professionista o equipe”, “compenso dell’anestesista”, “altro personale di sala operatoria”, “costi sostenuti dall’azienda”, “imposte tasse e contributi”, “camera a un letto”. Era quindi indicato l’importo complessivo al lordo di un importo di Euro 11,00 per i.v.a. su quello della camera da letto, il tutto per Euro 3.106,76. Era, quindi, indicata la “quota costi aziendali Servizio Sanitario Regionale in sottrazione da detto importo per Euro 2.411.61 nonchè l’acconto da versare”.

Si prevedeva la esclusione di ogni onere a carico dell’aderente “quando, in seguito all’insorgere di complicazioni del quadro clinico, il medesimo debba essere trasferito in rianimazione ecc, ovvero necessiti di sostanziali prestazioni non preventivate”; si prevedeva che venissero “addebitati gli eventuali costi derivanti dai consumi dei pasti per accompagnatore e le spese telefoniche” e che il paziente chiedesse che il trattamento sanitario in costanza di ricovero gli venisse erogato in regime di libera professione intramuraria dal professionista da lui scelto.

A parte della Suprema Corte, “il tenore del preventivo, che, a seguito dell’accettazione determinò la conclusione di un vero e proprio contratto è tale, per ammissione espressa contenuta in esso, che la prestazione convenuta risulta pattuita come prestazione al di fuori delle procedure del Servizio Sanitario Nazionale, essendosi trattato di prestazione eseguita dal medico scelto dal paziente e destinato ad intervenire come libero professionista, sebbene nell’espletamento di attività intramuraria, come tale riferibile sempre all’azienda ospedaliera e con l’avvalimento della sua struttura”.

Pertanto – prosegue la Corte “l’espressa pattuizione della prestazione in regime di esclusione dalle normali procedure del S.S.N. collocò il rapporto su un piano che lo connotò come rapporto nel quale la posizione del paziente si configurò come quella di un consumatore e quella dell’Azienda Ospedaliera ricorrente come quella di un esercente una vera e propria attività di “professionista” secondo la disciplina di tutela del consumatore”.

Le conclusioni

“In base alle considerazioni svolte dev’essere affermata l’operatività nella controversia del foro del consumatore di cui al D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, lett. u), sulla base del seguente principio di diritto: Qualora il rapporto fra l’utente e la struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) abbia corso con l’espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia posto direttamente a carico dell’utente e non del Servizio Sanitario Nazionale ed anzi con l’espressa esclusione dell’operatività delle procedure del S.S.N., come nel caso (di cui alla specie) di esecuzione di un intervento operatorio espletata da un medico della struttura sanitaria in regime intramurario, con addebito all’utente dei costi della sua prestazione e di altri medici nonchè di quelli della struttura, sulla base di un vero e proprio contratto intervento fra l’utente e la struttura del S.S.N., salvo per una parte minore che rappresenti il costo aziendale normalmente a carico del S.S.N., trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall’esecuzione della prestazione, introdotta dall’utente contro la struttura, il D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 2, lett. m), in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria (nella specie un’Azienda Ospedaliera Universitaria del S.S.N.) si è posta direttamente nei confronti dell’utente come “professionista”.

L’opposto orientamento.

I principi opposti affermati dalla suprema Corte sono invece ricavabili dalla ordinanza n. 8093 del 2009 secondo cui “La disposizione di cui all’art. 101, comma 1, del codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) non sottrae i diritti dell’utente dal servizio pubblico al suo operare ove, in relazione alla specifica modalità del rapporto di utenza, le norme di tale codice risultino applicabili, ma consente solo allo Stato e alla Regione, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarità del singolo servizio pubblico e delle modalità di espletamento dello stesso.”. E ancora “La disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. u), concernente il foro del luogo di residenza del consumatore, è inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale: sia perchè, pur essendo l’organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l’assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicchè se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la “ratio” dell’art. 33 cit.; sia perchè la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come “imprenditore” o “professionista”.

Principi che rimangono, dunque, perfettamente validi, ma non saranno più applicabili indistintamente come avveniva per il passato.

Occorrerà di volta in volta interpretare il contenuto del contratto al fine di comprendere se si possa invocare il Foro del consumatore nei rapporti tra paziente e servizio sanitario.

Per vedere il testo integrale della sentenza clicca qui

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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