Opposizione a decreto ingiuntivo e introduzione di domande nuove da parte dell’opposto

Download PDF

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile l’introduzione, da parte dell’opposto, di un’azione nuova e diversa rispetto a quella di adempimento, per petitum e causa petendi, e la relativa questione risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti e ricondotta pienamente al rilievo officioso del giudice, in virtù dei perseguimento di esigenze di concentrazione e speditezza corrispondenti ad un interesse pubblico, a nulla rilevando, in contrario, l’eventuale accettazione del contraddittorio della controparte. L’unica eccezione riguarda allorchè la domanda nuova dell’opposto consista in una reconventio reconventionis, oppure si iscriva nell’alveo di un thema decidendum già esteso dallo stesso opponente.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 23811 del 20 novembre 2015

Il caso

Opposizione a decreto ingiuntivo e introduzione di domande nuove da parte dell’opposto

Opposizione a decreto ingiuntivo e introduzione di domande nuove da parte dell’opposto

Su ricorso di due architetti, il Tribunale di Pavia ingiungeva, con ricorso emesso il 14 febbraio 2001  alla società committente il pagamento del saldo del compenso dovuto per la prestazione professionale di progettazione della nuova sede in Pavia.

L’opposizione a decreto ingiuntivo

Avverso il provvedimento, la committente proponeva opposizione con atto di citazione eccependo l’invalidità ed inefficacia del contratto, stipulato senza la preventiva deliberazione del Comitato provinciale di Pavia e la successiva ratifica del Comitato centrale: con la conseguenza che gli impegni di spesa dovevano ritenersi assunti in proprio dai sottoscrittori degli atti di conferimento.

La tesi dei professionisti

Costituendosi ritualmente, gli architetti replicavano che l’incarico era stato loro conferito dal Comitato provinciale di Pavia, per un compenso correlato alle tariffe professionali, ed era stato regolarmente assolto con la redazione di un progetto esecutivo, completo di computo metrico estimativo, consegnato al Comitato provinciale della committente così da consentirne l’esame anche al Comitato centrale. Deducevano altresì che nel corso del rapporto erano state liquidate varie fatture, con emissione dei relativi mandati di pagamento, ma successivamente si era palesata una carenza finanziaria che aveva impedito la realizzazione dei lavori.

La sentenza di primo grado

Con sentenza 28 giugno 2005 il Tribunale di Pavia revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente (committente) al pagamento della somma di euro 39.041,62, a titolo di indebito arricchimento, oltre interessi legali e compensazione delle spese di giudizio.

La sentenza di appello

In accoglimento del successivo gravame proposto dalla committente, la Corte d’appello di Milano dichiarava invece inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, perché nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, con compensazione delle spese di giudizio, e rigettava l’appello incidentale, volto ad ottenere la conferma del decreto ingiuntivo e di riconoscimento della rivalutazione monetaria ed interessi compensativi. Da qui il ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso per cassazione

1) carenza di motivazione e  violazione dell’ad. 23, commi 3 e 4, del decreto-legge 2 marzo 1989 n.66, convertito in legge n.144/1989;

2) violazione degli articoli 183 e 184 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2041 cod. civile.

Il primo motivo del ricorso è infondato.

Sostengono gli Ermellini che la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello consiste nell’affermazione – già espressa nella decisione di primo grado – che “la corretta volontà della committente avrebbe dovuto essere espressa dal Consiglio del Comitato Provinciale di Pavia, con ratifica del Comitato Centrale”; e che tale procedimento non era stato rispettato. In questo senso – proseguono i giudici di piazza Cavour -, la statuizione non si pone in contrasto con la copiosa giurisprudenza di legittimità, citata dai ricorrenti, e  secondo cui i vizi della delibera propedeutica ai contratti di diritto privato stipulati dagli enti pubblici hanno rilevo esclusivo nell’ambito interno alla loro organizzazione, senza infirmare la validità del contratto stipulato con il privato (cfr., ex plurimis, Cass., sez.3, 20 novembre 2002 n.16345): giacché le eventuali irregolarità, ed anche nullità, verificatesi nella fattispecie a formazione progressiva di diritto amministrativo – irrilevanti, una volta conclusosi l’iter procedurale prodromico alla conclusione del contratto – restano vizio diverso dalla carenza di legittimazione dell’organo stipulante.

Anche il secondo motivo è infondato.

Per i giudici di legittimità, anche il secondo motivo è infondato dal momento che nella disciplina processuale innovata con legge 26 novembre 1990 n. 353 l’eventuale accettazione del contraddittorio non sana l’inammissibilità della domanda tardivamente proposta: quale, nella specie, la domanda riconvenzionale di arricchimento senza causa svolta, in via gradata, con la comparsa di risposta dagli opposti attori sostanziali.

Nell’opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile l’introduzione, da parte dell’opposto, di una domanda nuova e diversa rispetto a quella di adempimento

Per i giudici di legittimità nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile, infatti, l’introduzione, da parte dell’opposto, di un’azione nuova e diversa rispetto a quella di adempimento, per petitum e causa petendi; e , stante il regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli articoli 183 e 184 cod. proc. civile, la relativa questione risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti e ricondotta pienamente al rilievo officioso del giudice, in virtù dei perseguimento di esigenze di concentrazione e speditezza corrispondenti ad un interesse pubblico: a nulla rilevando, in contrario, l’eventuale accettazione del contraddittorio della controparte (Cass., sez.1, 30 ottobre 2013 n.24486; Cass., sez.2, 30 novembre 2011 n.25598; Cass., sez.1, 13 dicembre 2006 n.26691).

Le eccezioni: la reconventio reconventionis o la previa estensione del thema decidendum

Per gli Ermellini, non pertinente appare il richiamo, in sede di memoria ex art.378 cod. proc. civile, all’apparentemente difforme dictum di Cass., sez. unite, 27 dicembre 2010 n.26128, la cui apertura possibilista è limitata all’ipotesi che la domanda nuova dell’opposto consista in una reconventio reconventionis, oppure si iscriva nell’alveo di un thema decidendum già esteso, dallo stesso opponente, all’ipotesi di un arricchimento senza causa: sia pure – com’è ovvio – ad excludendum (nel caso all’esame delle Sezioni unite era stata infatti proprio la parte opponente che, oltre a confutare l’altrui azione contrattuale, aveva pure prefigurato l’eventuale prospettazione di un indebito arricchimento, per contestarne, in prevenzione, la configurabilità). Da qui il rigetto del ricorso

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna è di interesse per il giurista perché affronta sostanzialmente due tematiche: una è quella della possibilità di introdurre domande nuove da parte dell’opposto a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo; l’altra è quella del rilievo da attribuire alla accettazione del contraddittorio rispetto a tale domanda nuova.

I giudici di legittimità sono molto perentori nell’affermare che non è ammissibile l’introduzione di una domanda nuova da parte dell’opposto, fatta eccezione per la reconventio reconventionis oppure qualora il thema decidendum sia stato già esteso dall’opponente.

Al di fuori di tali ipotesi, dunque, non è possibile introdurre domande nuove; e se ciò avviene, a nulla rileva che la controparte abbia accettato il contraddittorio, atteso che il potere officioso del giudice è idoneo a rilevare la inammissibilità della domanda. Ciò che è sostanzialmente accaduto nella fattispecie in esame.

In disparte, viene comunque spontaneo chiedersi perché l’opposto non possa introdurre domande nuove che siano correlate alla domanda monitoria. Si eviterebbe, in tal modo, la proposizione di un nuovo e separato giudizio e, anche se ciò contrastasse con il perseguimento di esigenze di concentrazione e speditezza dei processi, dall’altro lato si eviterebbe una inutile duplicazione di giudizi.

Semmai, si potrebbe rimettere la scelta alle parti processuali evitando che il giudice possa rilevare la inammissibilità ex officio in grado di appello e porre nel nulla tutta la relativa attività difensiva fino a quel momento svolta.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

Download PDF