Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda civile – sentenza n. 22100 del 29 ottobre 2015

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Ritenuto in fatto

1. – Con atto di citazione notificato in data 24 aprile 1997, (erede universale Omissis) esponeva: (a) di essere erede universale di (de cuius Omissis), deceduto in (Omissis) il (Omissis), in forza di testamento pubblico 9 aprile _____ registrato il 28 gennaio ____; (b) che il (de cuius Omissis), il 19 luglio ____, aveva presentato denuncia-querela nei confronti del nipote (nipote Omissis), per sottrazione di danaro, libretti, titoli ed altri valori, e si era, quindi, costituito parte civile nel procedimento aperto a seguito di tale denuncia; (c) che, deceduto il (de cuius Omissis), esso (erede universale Omissis), in data 10 novembre ____, si era, a sua volta, costituito parte civile; (d) che nel corso del procedimento penale a carico del (nipote Omissis), era stata espletata una consulenza tecnica contabile, che aveva accertato che il (nipote Omissis), contitolare con il defunto di un conto corrente bancario presso l’agenzia della Banca popolare di Novara, agenzia di Vado Ligure, aveva versato la sola somma di lire 3.500.000, prelevando poi complessivamente la somma di lire 294.045.643, sottraendo così al (de cuius Omissis) la somma di lire 290.545.643; (e) che il procedimento a carico del (nipote Omissis) si era concluso con decreto di archiviazione in data 11 febbraio 1997, con il quale era stata dichiara l’intervenuta prescrizione del reato; (f) che il Tribunale di (Omissis), con provvedimento in data 27 marzo ____, accogliendo il ricorso di esso esponente, presentato in data l° marzo ____, lo aveva autorizzato a procedere al sequestro conservativo sui beni del (nipote Omissis) sino a concorrenza di lire 400.000.000.

Tanto premesso, (erede universale Omissis) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Savona (nipote Omissis), chiedendone la condanna alla restituzione della somma di lire 290.545.643, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Si costituiva il convenuto, resistendo ed eccependo, tra l’altro, la prescrizione dell’azione.

2. – Il Tribunale di Savona, con sentenza resa pubblica in data 22 dicembre 2004, accoglieva la domanda e condannava (nipote Omissis) a corrispondere all’attore la somma di euro 150.054,30 (pari a lire 290.545.643), nonché a rifondere le spese processuali.

2.1. – Il primo giudice rilevava in particolare che era infondata l’eccezione di prescrizione, essendo pacifico in giurisprudenza che la costituzione di parte civile, avvenuta, nel caso in esame, il 10 novembre 1988, produceva un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione, che cominciava nuovamente a decorrere dalla data del provvedimento con il quale il giudice penale aveva dichiarato l’estinzione del reato. Il Tribunale ricordava che la Cassazione aveva affermato che, nel caso di fatto illecito considerato dalla legge come reato, qualora con sentenza penale irrevocabile sia stata dichiarata l’estinzione per prescrizione, il diritto al risarcimento del danno é soggetto al termine di prescrizione quinquennale, decorrente dalla data di irrevocabilità della sentenza.

3. – Con sentenza depositata l’11 dicembre 2009, la Corte d’appello di Genova, in accoglimento del gravame ed in totale riforma della pronuncia gravata, ha rigettato la domanda attorea per intervenuta prescrizione, compensando integralmente tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

3.1. – La Corte d’appello ha così motivato l’accoglimento del gravame:

«Premesso che nel caso in esame la prescrizione del reato non ha durata maggiore di quella dell’azione civile, cioè cinque anni, si osserva che è pur vero, come afferma l’appellato, che la costituzione di parte civile ha effetto interruttivo permanente, come la costante giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato, anche richiamando il disposto dell’art.2945, secondo comma, cod. civ.; tuttavia, qualora l’azione penale non venga esercitata, non si può verificare la permanenza dell’effetto interruttivo. Infatti, se con il codice previgente la scelta del danneggiato di tutelare i propri diritti in sede penale non era più revocabile, per cui una volta effettuata, il danneggiato perdeva ogni possibilità di dare impulso al giudizio, con il nuovo codice e l’affermata autonomia dei due giudizi, il danneggiato, una volta prossimo allo spirare dei termini di prescrizione del reato, che, comunque, impedisce all’autorità penale di procedere, nell’inerzia del titolare dell’azione penale, può agire in sede civile nel termine di prescrizione del suo diritto. Per tali considerazioni, dal momento che la parte non era più priva del potere d’impulso processuale, la sua inerzia non può essere trascurata e deve subire le conseguenze previste dall’ordinamento con l’istituto della prescrizione. In conclusione, se, nel caso in cui venga esercitata dal suo titolare l’azione penale, la costituzione di parte civile impedisce che la decorrenza della prescrizione per far valere il diritto al risarcimento del danno avvenga dal fatto, avendo effetto interruttivo permanente, nel caso in cui l’azione penale non venga promossa, la prescrizione dell’azione civile ricomincia a decorrere dalla costituzione di parte civile, che ha effetto interruttivo, anche se non permanente, per la sede civile, non essendo più la parte sottomessa all’impulso processuale d’ufficio proprio della sede penale ed essendo prevedibile che con il compimento del termine di prescrizione del reato, si ha la cessazione del potere decisionale da parte dell’autorità giudiziaria.

Nel caso in esame, non vi è stata neppure la contestazione del reato ed al di là della perizia contabile volta proprio al fine di verificare l’esistenza degli estremi del reato, si è avuta la totale inerzia da parte dell’autorità penale. In sede penale è intervenuto (senza che venisse esercitata l’azione) un provvedimento di archiviazione emesso dal GIP su richiesta del P.M., né, d’altra parte, appare possibile equiparare il decreto di archiviazione ad una sentenza irrevocabile, perché “a differenza di quest’ultima presuppone la mancanza di un processo, non determina preclusioni di nessun genere né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata” (Cass., 1346/2009).

Ancora sullo stesso argomento la Cassazione ha affermato che “In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito avente rilevanza penale, il più lungo termine di prescrizione del reato, che, ai sensi del terzo coma dell’art. 2947 cod. civ., si applica anche al diritto al risarcimento del danno, decorre, ove dal giudice penale sia stato emesso decreto di archiviazione, dalla data dell’illecito, potendo essere la data di tale provvedimento rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione solo allorché il decreto di archiviazione, emesso dopo il compimento di una vera istruttoria, integri sostanzialmente una sentenza di proscioglimento.”.

Pertanto, poiché i fatti de quibus, di rilevanza penale, avvennero come ben ha affermato il P.M. tra il 1982 ed il 22 febbraio 1984, data di estinzione del libretto, la prescrizione del reato è avvenuta il 22 febbraio 1989, mentre, per effetto dell’interruzione conseguente alla costituzione di parte civile avvenuta nel 1988, si può spostare in avanti il termine di prescrizione dell’azione civile fino ad un nuovo decorso del quinquennio dalla data dell’atto interruttivo, e, quindi, l’azione volta al risarcimento dei danni si è prescritta nel 1993, non essendo intervenuti altri atti interruttivi.

Tuttavia, nel caso in esame, l’azione promossa appare configurabile come restitutoria, poiché la domanda è espressamente volta ad ottenere la restituzione della somma che si assume sottratta al (de cuius Omissis). La Corte di cassazione ha con chiarezza affermato che la prescrizione breve di cui all’art. 2947 cod. civ. colpisce unicamente il diritto al risarcimento del danno, mentre tutte le altre azioni che possono essere promosse in conseguenza del fatto illecito restano soggette ai termini di prescrizione loro applicabili.

(…) La ripetizione di indebito soggiace effettivamente alla prescrizione decennale, ciononostante l’azione civile proposta nel 1997 non è tempestiva. Infatti, tenuto conto che i fatti, come già detto, avvennero tra il 1982 ed il 22 novembre 1984 e per l’azione in questione non può considerarsi l’effetto interruttivo conseguente alla costituzione di parte civile poiché essa era volta ad ottenere il risarcimento dei danni, l’azione in questione si è prescritta il 22 novembre 1994».

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il (erede universale Omissis) ha proposto ricorso, con atto notificato il 24 gennaio 2011, sulla base di due motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un mezzo.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 533 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), il ricorrente in via principale lamenta che la ricostruzione della Corte d’appello sarebbe viziata da un’errata qualificazione della domanda giudiziale proposta dal ricorrente. La domanda – si sostiene – andrebbe qualificata in termini di petizione di eredità di cui all’art. 533 cod. civ. Infatti, la petizione di eredità ben può avere per oggetto il credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro soggetto per le somme da questo illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte. E l’azione di petizione di eredità – ricorda il ricorrente – è, per espressa previsione normativa (secondo comma del citato art. 533 cod. civ.), imprescrittibile.

1.1. – Il motivo – a prescindere da ogni valutazione in ordine alla novità o meno della questione con esso veicolato – è all’evidenza infondato, perché agli effetti della prescrizione non giova al ricorrente, ed è pertanto inconferente, la qualificazione dell’azione proposta in termini di petizione di eredità.

Infatti, l’imprescrittibilità dell’azione di petizione di eredità non altera l’ordinario regime di prescrizione dei diritti compresi nell’asse ereditario.

E poiché il diritto di credito compreso nell’asse ereditario si estingue per la decorrenza del termine di prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge, l’estinzione del singolo diritto di credito impedisce alla petizione di eredità di operare come strumento di tutela con riguardo a quel diritto, determinando il rigetto della relativa domanda, restando sempre possibile l’esercizio dell’azione ereditaria in relazione ad altri beni o diritti inclusi nell’eredità.

E’ pertanto erronea la premessa interpretativa da cui muove il ricorrente, che dalla imprescrittibilità della hereditatis petitito vorrebbe far discendere l’imprescrittibilità, altresì, del diritto di credito facente parte dell’eredità.

2. – Con il secondo mezzo, prospettato in via subordinata, il ricorrente in via principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Poiché la costituzione di parte civile nel processo penale è una domanda giudiziale e rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione considerati dall’art. 2943 cod. civ., la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare che, con tale costituzione, (de cuius Omissis), prima, ed il suo erede, (erede universale Omissis), poi, avevano domandato l’integrale risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta di appropriazione indebita aggravata posta in essere da (nipote Omissis). Una siffatta domanda – si fa presente – dovrebbe essere ritenuta comprensiva dell’istanza intesa ad ottenere la restituzione delle somme che avevano costituito l’oggetto dell’appropriazione indebita.

2.1. – Il motivo – scrutinabile nel merito, essendo formulato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 cod. proc. civ., dovendo così disattendersi l’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dalla difesa del controricorrente – è fondato.

La Corte d’appello, qualificata l’azione proposta come restitutoria, soggetta alla prescrizione decennale, ne ha tratto la conseguenza che quando è iniziato il giudizio civile, dopo l’archiviazione in sede per prescrizione del reato, con citazione notificata il 24 aprile 1997, il diritto alla restituzione era già prescritto, essendo trascorsi più di dieci anni dal 22 febbraio 1984, data di estinzione del conto cointestato.

Pur dando atto che il de cuius si era costituito parte civile e questa costituzione era stata rinnovata dall’erede (erede universale Omissis) in data 10 novembre 1988, la Corte territoriale ha ritenuto che la costituzione di parte civile non era idonea a interrompere la prescrizione, perché essa era volta ad ottenere il risarcimento dei danni nascenti dal reato, non, specificamente, la restituzione delle somme che avevano costituito oggetto della appropriazione indebita.

Così decidendo, la sentenza impugnata si è discostata dal principio secondo cui in caso di costituzione di parte civile in un procedimento penale (nella specie, per appropriazione indebita), poi definito per prescrizione del reato, nel successivo giudizio promosso in sede civile per la restituzione delle somme illegittimamente prelevate la pregressa costituzione ha valore interruttivo della prescrizione in quanto, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., ogni reato obbliga, oltre che al risarcimento, alle restituzioni, sicché l’esperimento della azione civile nel processo penale è di per sé idonea ad identificare il petitum della domanda, senza che occorrano ulteriori enunciazioni formali rispetto a quella del legame eziologico che collega la pretesa stessa al fatto-reato (Cass., Sez. III, 29 luglio 2014, n. 17226).

Di conseguenza, ha errato la Corte di Genova a non considerare che la costituzione di parte civile da parte del (erede universale Omissis) in sede penale, in virtù della connessione con il reato di appropriazione indebita, era idonea ad interrompere la prescrizione delle azioni di restituzione o di risarcimento del danno che l’art. 185 cod. pen. lega alla commissione del fatto reato.

3. – Per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale resta assorbito l’esame dell’unico motivo (violazione di legge ex art. 92 cod. proc. civ.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) del ricorso incidentale, con cui si censura che la motivazione posta a base della decisione della compensazione delle spese sia più un richiamo ad una clausola di stile che ad una vera e propria indicazione delle ragioni giustificative.

4. – La sentenza impugnata è cassata per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito l’esame del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione

 

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