Costituzione di parte civile, prescrizione del reato e prescrizione della successiva domanda restitutoria in sede civile

Download PDF

La costituzione di parte civile nel processo penale tendente ad ottenere il risarcimento dei danni da reato include, implicitamente, la domanda volta ad ottenere le restituzioni a norma delle leggi civili in forza dell’articolo 185 c.p. Di conseguenza, la costituzione di parte civile ha effetto interruttivo della prescrizione non solo relativamente alla domanda di risarcimento, ma anche relativamente alla domanda diretta ad ottenere le restituzioni a norma delle leggi civili. Pertanto, dichiarata la prescrizione del reato e proposta la domanda alle restituzioni in sede civile, quest’ultima non può essere dichiarata prescritta per non essere stata espressamente inserita nella costituzione di parte civile (massima redazionale).

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 22100 del 29 ottobre 2015

Costituzione di parte civile, prescrizione del reato e prescrizione della successiva domanda restitutoria in sede civile

Costituzione di parte civile, prescrizione del reato e prescrizione della successiva domanda restitutoria in sede civile

Il caso

Un erede universale esponeva: (a) di essere, per l’appunto, erede universale del proprio de cuius in forza di testamento pubblico; (b) che il de cuius aveva presentato denuncia-querela nei confronti del nipote per sottrazione di danaro, libretti, titoli ed altri valori, e si era, quindi, costituito parte civile nel procedimento aperto a seguito di tale denuncia; (c) che, deceduto il de cuius, esso erede si era, a sua volta, costituito parte civile; (d) che nel corso del procedimento penale a carico del nipote, era stata espletata una consulenza tecnica contabile, che aveva accertato che quest’ultimo, contitolare con il defunto di un conto corrente bancario, aveva versato la sola somma di lire 3.500.000, prelevando poi complessivamente la somma di lire 294.045.643, sottraendo così al de cuius la somma di lire 290.545.643; (e) che il procedimento a carico del nipote si era concluso con decreto di archiviazione, con il quale era stata dichiara l’intervenuta prescrizione del reato; (f) che il Tribunale, con provvedimento in data 27 marzo 1997, accogliendo il ricorso di esso esponente, presentato in data 1° marzo 1997, lo aveva autorizzato a procedere al sequestro conservativo sui beni del (nipote Omissis) sino a concorrenza di lire 400.000.000.

Tanto premesso, l’erede universale conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale il nipote del de cuius chiedendone la condanna alla restituzione della somma di lire 290.545.643, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

La sentenza di primo grado

Il Tribunale di Savona accoglieva la domanda e condannava il nipote del de cuius a corrispondere all’attore la somma di euro 150.054,30 (pari a lire 290.545.643), nonché a rifondere le spese processuali.

La motivazione della sentenza di primo grado

Il primo giudice rilevava in particolare che era infondata l’eccezione di prescrizione, essendo pacifico in giurisprudenza che la costituzione di parte civile, avvenuta, nel caso in esame, il 10 novembre 1988, produceva un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione, che cominciava nuovamente a decorrere dalla data del provvedimento con il quale il giudice penale aveva dichiarato l’estinzione del reato. Il Tribunale ricordava che la Cassazione aveva affermato che, nel caso di fatto illecito considerato dalla legge come reato, qualora con sentenza penale irrevocabile sia stata dichiarata l’estinzione per prescrizione, il diritto al risarcimento del danno é soggetto al termine di prescrizione quinquennale, decorrente dalla data di irrevocabilità della sentenza.

La sentenza di appello

Con sentenza depositata l’11 dicembre 2009, la Corte d’appello di Genova, in accoglimento del gravame ed in totale riforma della pronuncia gravata, rigettava la domanda attorea per intervenuta prescrizione, compensando integralmente tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

La motivazione della sentenza di appello

La Corte d’appello ha così motivato l’accoglimento del gravame:

«Premesso che nel caso in esame la prescrizione del reato non ha durata maggiore di quella dell’azione civile, cioè cinque anni, si osserva che è pur vero, come afferma l’appellato, che la costituzione di parte civile ha effetto interruttivo permanente, come la costante giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato, anche richiamando il disposto dell’art.2945, secondo comma, cod. civ.; tuttavia, qualora l’azione penale non venga esercitata, non si può verificare la permanenza dell’effetto interruttivo. Infatti, se con il codice previgente la scelta del danneggiato di tutelare i propri diritti in sede penale non era più revocabile, per cui una volta effettuata, il danneggiato perdeva ogni possibilità di dare impulso al giudizio, con il nuovo codice e l’affermata autonomia dei due giudizi, il danneggiato, una volta prossimo allo spirare dei termini di prescrizione del reato, che, comunque, impedisce all’autorità penale di procedere, nell’inerzia del titolare dell’azione penale, può agire in sede civile nel termine di prescrizione del suo diritto. Per tali considerazioni, dal momento che la parte non era più priva del potere d’impulso processuale, la sua inerzia non può essere trascurata e deve subire le conseguenze previste dall’ordinamento con l’istituto della prescrizione. In conclusione, se, nel caso in cui venga esercitata dal suo titolare l’azione penale, la costituzione di parte civile impedisce che la decorrenza della prescrizione per far valere il diritto al risarcimento del danno avvenga dal fatto, avendo effetto interruttivo permanente, nel caso in cui l’azione penale non venga promossa, la prescrizione dell’azione civile ricomincia a decorrere dalla costituzione di parte civile, che ha effetto interruttivo, anche se non permanente, per la sede civile, non essendo più la parte sottomessa all’impulso processuale d’ufficio proprio della sede penale ed essendo prevedibile che con il compimento del termine di prescrizione del reato, si ha la cessazione del potere decisionale da parte dell’autorità giudiziaria. Nel caso in esame, non vi è stata neppure la contestazione del reato ed al di là della perizia contabile volta proprio al fine di verificare l’esistenza degli estremi del reato, si è avuta la totale inerzia da parte dell’autorità penale. In sede penale è intervenuto (senza che venisse esercitata l’azione) un provvedimento di archiviazione emesso dal GIP su richiesta del P.M., né, d’altra parte, appare possibile equiparare il decreto di archiviazione ad una sentenza irrevocabile, perché “a differenza di quest’ultima presuppone la mancanza di un processo, non determina preclusioni di nessun genere né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata” (Cass., 1346/2009). Ancora sullo stesso argomento la Cassazione ha affermato che “In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito avente rilevanza penale, il più lungo termine di prescrizione del reato, che, ai sensi del terzo coma dell’art. 2947 cod. civ., si applica anche al diritto al risarcimento del danno, decorre, ove dal giudice penale sia stato emesso decreto di archiviazione, dalla data dell’illecito, potendo essere la data di tale provvedimento rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione solo allorché il decreto di archiviazione, emesso dopo il compimento di una vera istruttoria, integri sostanzialmente una sentenza di proscioglimento.”. Pertanto, poiché i fatti de quibus, di rilevanza penale, avvennero come ben ha affermato il P.M. tra il 1982 ed il 22 febbraio 1984, data di estinzione del libretto, la prescrizione del reato è avvenuta il 22 febbraio 1989, mentre, per effetto dell’interruzione conseguente alla costituzione di parte civile avvenuta nel 1988, si può spostare in avanti il termine di prescrizione dell’azione civile fino ad un nuovo decorso del quinquennio dalla data dell’atto interruttivo, e, quindi, l’azione volta al risarcimento dei danni si è prescritta nel 1993, non essendo intervenuti altri atti interruttivi. Tuttavia, nel caso in esame, l’azione promossa appare configurabile come restitutoria, poiché la domanda è espressamente volta ad ottenere la restituzione della somma che si assume sottratta al (de cuius Omissis). La Corte di cassazione ha con chiarezza affermato che la prescrizione breve di cui all’art. 2947 cod. civ. colpisce unicamente il diritto al risarcimento del danno, mentre tutte le altre azioni che possono essere promosse in conseguenza del fatto illecito restano soggette ai termini di prescrizione loro applicabili. (…) La ripetizione di indebito soggiace effettivamente alla prescrizione decennale, ciononostante l’azione civile proposta nel 1997 non è tempestiva. Infatti, tenuto conto che i fatti, come già detto, avvennero tra il 1982 ed il 22 novembre 1984 e per l’azione in questione non può considerarsi l’effetto interruttivo conseguente alla costituzione di parte civile poiché essa era volta ad ottenere il risarcimento dei danni, l’azione in questione si è prescritta il 22 novembre 1994».Da qui il ricorso per cassazione dell’erede universale

Il primo motivo di ricorso

Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 533 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), il ricorrente in via principale lamenta che la ricostruzione della Corte d’appello sarebbe viziata da un’errata qualificazione della domanda giudiziale proposta dal ricorrente. La domanda – si sostiene – andrebbe qualificata in termini di petizione di eredità di cui all’art. 533 cod. civ. Infatti, la petizione di eredità – sostiene il ricorrente – ben può avere per oggetto il credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro soggetto per le somme da questo illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte. E l’azione di petizione di eredità – ricorda il ricorrente – è, per espressa previsione normativa (secondo comma del citato art. 533 cod. civ.), imprescrittibile.

L’imprescrittibilità dell’azione di petizione di eredità va tenuta distinta dai singoli diritti.

Evidenziano gli Ermellini, che ritengono infondato il motivo, che l’imprescrittibilità dell’azione di petizione di eredità non altera l’ordinario regime di prescrizione dei diritti compresi nell’asse ereditario. E poiché il diritto di credito compreso nell’asse ereditario si estingue per la decorrenza del termine di prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge, l’estinzione del singolo diritto di credito – proseguono i giudici di piazza Cavour – impedisce alla petizione di eredità di operare come strumento di tutela con riguardo a quel diritto, determinando il rigetto della relativa domanda, restando sempre possibile l’esercizio dell’azione ereditaria in relazione ad altri beni o diritti inclusi nell’eredità.

E’ pertanto erronea – concludono sul punto i giudici della Suprema Corte – la premessa interpretativa da cui muove il ricorrente, che dalla imprescrittibilità della hereditatis petitito vorrebbe far discendere l’imprescrittibilità, altresì, del diritto di credito facente parte dell’eredità.

Il secondo motivo di ricorso

Con il secondo mezzo, prospettato in via subordinata, il ricorrente in via principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Poiché la costituzione di parte civile nel processo penale è una domanda giudiziale e rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione considerati dall’art. 2943 cod. civ., la Corte d’appello – assume il ricorrente – avrebbe dovuto considerare che, con tale costituzione, il de cuius, prima, ed il suo erede, poi, avevano domandato l’integrale risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta di appropriazione indebita aggravata posta in essere dal nipote. Una siffatta domanda – si fa presente – dovrebbe essere ritenuta comprensiva dell’istanza intesa ad ottenere la restituzione delle somme che avevano costituito l’oggetto dell’appropriazione indebita.

Il motivo viene ritenuto fondato

Chiariscono i giudici di legittimità che la Corte d’appello, qualificata l’azione proposta come restitutoria, soggetta alla prescrizione decennale, ne ha tratto la conseguenza che quando è iniziato il giudizio civile, dopo l’archiviazione in sede per prescrizione del reato, con citazione notificata il 24 aprile 1997, il diritto alla restituzione era già prescritto, essendo trascorsi più di dieci anni dal 22 febbraio 1984, data di estinzione del conto cointestato.

Pur dando atto che il de cuius si era costituito parte civile e questa costituzione era stata rinnovata dall’erede in data 10 novembre 1988, la Corte territoriale ha ritenuto – proseguono gli Ermellini – che la costituzione di parte civile non era idonea a interrompere la prescrizione, perché essa era volta ad ottenere il risarcimento dei danni nascenti dal reato, non, specificamente, la restituzione delle somme che avevano costituito oggetto della appropriazione indebita.

Il principio di diritto dal quale si è discostata la Corte territoriale

Così decidendo – affermano i giudici di piazza Cavour – la sentenza impugnata si è discostata dal principio secondo cui in caso di costituzione di parte civile in un procedimento penale (nella specie, per appropriazione indebita), poi definito per prescrizione del reato, nel successivo giudizio promosso in sede civile per la restituzione delle somme illegittimamente prelevate la pregressa costituzione ha valore interruttivo della prescrizione in quanto, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., ogni reato obbliga, oltre che al risarcimento, alle restituzioni, sicché l’esperimento della azione civile nel processo penale è di per sé idonea ad identificare il petitum della domanda, senza che occorrano ulteriori enunciazioni formali rispetto a quella del legame eziologico che collega la pretesa stessa al fatto-reato (Cass., Sez. 111, 29 luglio 2014, n. 17226).

L’articolo 185 cod. pen.

Di conseguenza – concludono gli Ermellini – ha errato la Corte territoriale a non considerare che la costituzione di parte civile da parte dell’erede in sede penale, in virtù della connessione con il reato di appropriazione indebita, era idonea ad interrompere la prescrizione delle azioni di restituzione o di risarcimento del danno che l’art. 185 cod. pen. lega alla commissione del fatto reato. Da qui la cassazione della sentenza ed il rinvio ad altra sezione della Corte di appello.

Una breve riflessione

Singolare vicenda, quella sottoposta al vaglio della Suprema Corte, che ha visto dapprima il ribaltamento dell’originario verdetto da parte della Corte territoriale e, adesso, l’annullamento del verdetto emesso dalla Corte territoriale.

Nodo della questione è, alla fine, la qualificazione della domanda, o, forse più correttamente, la individuazione della domanda.

La Corte territoriale ritiene che la domanda di restituzione delle somme, azionata in sede civile, sia diversa da quella risarcitoria contenuta nella costituzione di parte civile. La Suprema Corte, al contrario, ritiene che, in forza del disposto di cui all’articolo 185 c.p., la domanda restitutoria connessa ad un reato è già inclusa nella domanda risarcitoria formulata in sede penale.

Difatti, con sentenza n.17226/2014, la Suprema Corte ha chiarito che mentre in sede civile il rapporto processuale viene istituito esclusivamente attraverso la domanda giudiziale, il cui contenuto rappresenta pertanto l’unica fonte d’individuazione della pretesa, l’esperimento dell’azione civile nel processo penale si avvale della sua connessione necessaria con la fattispecie concreta descritta nell’imputazione; ragion per cui, fuori dai casi in cui la pretesa restitutoria e/o risarcitoria sia legata anche a fattori eccedenti i limiti della contestazione penale, è formalistico pretendere che venga giustificata con enunciazioni ulteriori rispetto a quella del legame eziologico che la collega al fatto reato (cfr. Cass pen. sez. 2, sentenza n. 13815 del 1999).

In definitiva, qualora la domanda in sede civile faccia seguito ad una pregressa costituzione di parte civile, caducata per effetto dell’intervenuta pronuncia di prescrizione del reato nel corso del giudizio di primo grado (giacchè ove intervenisse in grado di appello rimarrebbero ferme le statuizioni di carattere civile), occorre considerare il disposto dell’articolo 185 c.p. in forza del quale  “Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.

Dunque, la costituzione di parte civile tendente ad ottenere il risarcimento include, implicitamente, la domanda volta ad ottenere le restituzioni a norma delle leggi civili.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF