L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita integra una eccezione in senso lato

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L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita, ai sensi dell’art. 1494, l° comma c.c., costituisce il fatto che, superando la presunzione di colpa che grava sul venditore, impedisce il sorgere del credito risarcitorio. La circostanza che il relativo onere probatorio gravi sul venditore, in conformità, del resto, alla regola generale di riparto dell’art. 2697 c.c., non esclude che l’ignoranza incolpevole integri, altresì, un’eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio pur in difetto dell’allegazione del fatto ad opera della parte interessata a farlo emergere.

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 21524 del 22 ottobre 2015

L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita integra una eccezione in senso lato

L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita integra una eccezione in senso lato

Il caso

Una società acquistava da altra società mediante leasing contratto con società di leasing, un capannone industriale al grezzo per l’importo di lire 245.000.000. Durante i successivi lavori di completamento fatti eseguire dall’acquirente, emergevano gravi ed estese fessurazioni  delle travi di copertura dell’immobile. Pertanto quest’ultima società, insieme con la società di leasing, convenivano in giudizio la società venditrice innanzi al Tribunale per la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno.

Tale iniziativa dava luogo ad una serie di successive chiamate in garanzia da parte della società venditrice ad un precedente venditore, che a quest’ultima aveva venduto l’immobile, e alla società costruttrice; dal precedente venditore al soggetto che aveva commissionato progetti e collaudo dell’opera finita, nonché ad una società di assicurazioni.

La sentenza del Tribunale

Sulle modificate conclusioni della parte attrice, che aveva chiesto il solo accertamento dei vizi del capannone per inferirne il diritto al risarcimento del danno ex art. 1494 c.c., quantificato in €.588.685,35 o nella diversa somma di ritenuta di giustizia, il Tribunale con sentenza non definitiva del 5.1.2007, dichiarate ammissibili le domande riformulate dalla società acquirente e dalla società di leasing, accertava l’esistenza del vizio denunciato e quantificava in varia percentuale le rispettive concorrenti responsabilità del convenuto e dei chiamati.

L’appello

Sull’appello principale del dante causa della società venditrice ed incidentale di quest’ultima nonché degli altri soggetti originariamente chiamati, la Corte d’appello, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di risarcimento del danno ex art. 1494 c.c. proposta dalla società acquirente e dalla società di leasing e compensava integralmente le spese fra tutte le parti.

La sentenza di appello

Accolta la censura di extrapetizione sollevata da tutti gli appellanti, che avevano lamentato l’estensione d’ufficio ai chiamati della domanda proposta dalla società acquirente, la Corte territoriale rigettava l’eccezione di novità della domanda così come riformulata in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, in quanto la domanda di risarcimento del danno per responsabilità della società venditrice ai sensi dell’art. 1494 c.c. era già contenuta nell’atto di citazione. Nel merito della domanda principale, escludeva la colpa della società venditrice, non ravvisando a carico di quest’ultima un difetto di diligenza nel verificare l’esistenza o meno di vizi del capannone prima della vendita. Ciò in quanto la società venditrice aveva avuto il possesso del capannone solo per pochi mesi, tra la fine del luglio del 1999, allorché l’aveva a sua volta acquistato dal suo dante causa, ed il mese di dicembre dello stesso anno, e prima di tale acquisto essa aveva preteso ed ottenuto dal medesimo dante causa il certificato di collaudo. Il non corretto posizionamento delle travi non poteva rilevarsi, proseguiva la Corte, nemmeno con la più corretta ispezione tecnica, mentre il sintomo di tale vizio costruttivo, cioè le infiltrazioni d’acqua piovana, avrebbe potuto allertare l’uomo di media diligenza solo dopo il completamento dei lavori con la realizzazione dei serramenti e non prima. Pertanto, non vi era alcun sintomo del vizio costruttivo che un medio commerciante di immobili avrebbe potuto rilevare, anche all’esito di un’ispezione tecnica. Occorreva, invece – prosegue la Corte territoriale – un intervento mirato con rimozioni di parti d’intonaco e di cemento per poter apprezzare la presenza di ristagno d’acqua nel tetto, causata dall’errato posizionamento delle travi del soffitto. Da qui il ricorso per cassazione.

Il primo motivo di ricorso

Col primo motivo di ricorso principale, la società acquirente e la società di leasing deducono la violazione dell’art. 1494 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. In particolare evidenziano che nonostante nelle sue difese la società venditrice avesse dedotto che i vizi dell’immobile non le erano imputabili e che gli stessi erano noti o comunque conoscibili, la Corte territoriale ha statuito che la venditrice li aveva incolpevolmente ignorati.

Il secondo motivo di ricorso

Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. in quanto la Corte distrettuale avrebbe operato la valutazione della diligenza della società venditrice nel verificare l’esistenza di vizi dell’immobile, in mancanza di elementi di prova contraria alla presunzione di colpa.

Il terzo motivo di ricorso

Il terzo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 (rectius, 4) c.p.c., in quanto nel rigettare la domanda principale la Corte triestina avrebbe utilizzato una tesi difensiva che la società venditrice non aveva mai sostenuto e sulla quale, pertanto, gli attori non hanno avuto possibilità di esplicare la loro difesa.

Il quarto motivo di ricorso.

Col quarto motivo si sostiene che la motivazione della sentenza impugnata si rivelerebbe omessa o insufficiente li dove non spiega perché quei vizi, mai negati dalla società venditrice, ed anzi più volte ritenuti riconoscibili, non potevano essere riconosciuti da quest’ultima, atteso che l’asserita non conoscibilità degli stessi collide con la tesi difensiva della società venditrice.

Tutti i motivi vengono dichiarati infondati

L’onere di contestazione riguarda i fatti storici

Sostengono gli Ermellini che l’onere di contestazione previsto dall’art. 115, 1°  comma c.p.c., in base al quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita sono posti a base della decisione, riguarda i fatti storici tematizzati dall’attore. Se intende contestarli, la parte convenuta, come si ricava dall’art. 167, 1°  comma c.p.c., deve narrarli nella comparsa di costituzione in maniera chiara e alternativa alla deduzione avversaria. Funzionali all’editio actionis, tematizzazione e narrazione riguardano i fatti costitutivi della domanda e ne rappresentano l’ossatura. Necessariamente correlata a questa, ed espressione dei principi di autoresponsabilità e di affidamento processuale, la contestazione specifica. Operata la quale, il fatto rientra nel thema probandum; diversamente, in quello decidendum.

L’onere di contestazione non riguarda le mere difese o i fatti estintivi, impeditivi o modificativi, siano o non rilevabili di ufficio

Proseguono i giudici di piazza Cavour che gli effetti ammissivi di cui all’art. 115 c.p.c, non possono prodursi, invece, con riguardo alle mere difese e ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi, siano o non rilevabili d’ufficio. Il convenuto – proseguono i giudici di legittimità – può ammetterne o meno l’inesistenza in maniera esplicita o implicita, spontanea o provocata, ma non per questo egli è tenuto a prendere posizione su di essi. Di conseguenza, non operando la dinamica allegazione/contestazione, l’ammissione di fatti non dedotti dall’attore ma sfavorevoli al convenuto dipende unicamente dal tenore delle difese di quest’ultimo, che devono essere svolte in maniera del tutto incompatibile con una volontà diversa da quella ammissiva. Ma allora, si è al di fuori dell’automatismo dell’art. 115 c.p.c. e dalla selezione tematica orientata dall’attore.

L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita integra una eccezione in senso lato.

Secondo i giudici di piazza Cavour, l’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita, ai sensi dell’art. 1494, l° comma c.c., costituisce il fatto che, superando la presunzione di colpa che grava sul venditore, impedisce il sorgere del credito risarcitorio. La circostanza che il relativo onere probatorio gravi sul venditore, in conformità, del resto, alla regola generale di riparto dell’art. 2697 c.c., non esclude che l’ignoranza incolpevole integri, altresì, un’eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio pur in difetto dell’allegazione del fatto ad opera della parte interessata a farlo emergere.

Il regime delle eccezioni in senso lato

Ricordano gli Ermellini che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (v. Cass. S.U. n. 10531/13; conforme, Cass. n. 4548/14).

Il regime delle eccezioni in senso stretto

Infatti – proseguono i giudici della Corte di legittimità – nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale) (così, Cass. n. 18602/13; v. anche Cass. n. 21482/13, secondo cui tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l’effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo deve essere compiuta, di norma, ex officio, in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi).

Il valore della “contra se declaratio del venditore”

Per gli Ermellini neanche la contra se declaratio del venditore stesso, ove irriducibilmente contraria alle emergenze processuali, sarebbe idonea a impedire che il giudice ricostruisca altrimenti la verità storica dei fatti, essendo in gioco, infatti, interessi di carattere generale (la giustizia stessa della decisione) di cui nessuna delle parti può disporre.

E poiché nello specifico è risultato escluso che la parte venditrice abbia ammesso la conoscenza del difetto costruttivo dell’immobile, dato il generale contesto difensivo che nega il fondamento della domanda e, segnatamente, l’esistenza stessa del vizio, la prova del quale la società venditrice aveva espressamente ritenuto non fornita, il ricorso principale viene rigettato, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna offre interessanti spunti di approfondimento in tema di vizi della cosa venduta ed in particolare in tema di riparto dell’onere probatorio e regime di rilevabilità della ignoranza incolpevole della esistenza dei vizi.

Come è noto, l’articolo 1494 – 1° comma – del codice civile stabilisce che il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa.

Si tratta di un’inversione dell’onere della prova che viene posta (salvo prova contraria) a carico del venditore.

La Suprema Corte, però, con la sentenza in rassegna, evidenzia che se il venditore, su cui grava, ex art. 2697 c.c., il relativo onere probatorio, non alleghi il fatto (l’ignoranza incolpevole), ciò non esclude che possa essere il giudice a ritenerla integrata e quindi rilevarla d’ufficio ove comunque emergente dagli atti.

Un principio, in conclusione, che va ancor di più a restringere il perimetro di operatività dell’articolo 115 del codice di procedura civile.

In disparte, vi sarebbe poi da chiedersi, muovendo dalle stesse premesse della Suprema Corte, laddove afferma che  l’onere di contestazione ex art. 115 riguarda solo i fatti storici tematizzati dall’attore, perché mai la “non ignoranza incolpevole del vizio della res vendita” non possa essere considerata un “fatto storico” piuttosto che un fatto estintivo/modificato/impeditivo.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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