Erroneità o genericità della eccezione di prescrizione, in materia civile, ritualmente proposta

Download PDF

In tema di prescrizione estintiva, l’elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, mentre la determinazione della durata della predetta inerzia, al pari delle norme che la disciplinano, rappresenta una mera “quaestio juris”, la cui identificazione spetta al potere dovere del giudice. Pertanto, allorché l’intento della parte di avvalersi della prescrizione sia stato manifestato mediante l’apposita eccezione, la genericità e l’errore relativamente al periodo di tempo che dovrebbe intendersi coperto dalla stessa nonché alla individuazione del termine iniziale o di quello finale non incide sul potere-dovere del giudice di esaminare l’eccezione medesima e di stabilire in concreto ed autonomamente -in base agli elementi di fatto ritualmente acquisiti al giudizio- se essa sia fondata in tutto o in parte, determinando il periodo colpito dalla prescrizione e la decorrenza di esso in termini eventualmente diversi da quelli prospettati dalla parte medesima.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 20493 del 13 ottobre 2015

Erroneità o genericità della eccezione di prescrizione in materia civile ritualmente proposta

Erroneità o genericità della eccezione di prescrizione in materia civile ritualmente proposta

Il caso

Una società conveniva dinanzi al Tribunale, nell’anno 2001, due promissari acquirenti per sentir dichiarare risolto per inadempimento di questi ultimi il contratto preliminare di compravendita stipulato con scritture del 12-1-1981 e 6-3-1981, con il quale i convenuti si erano obbligati ad acquistare dall’attrice, per il prezzo di lire 55.000.000 più IVA, un’unità immobiliare. L’attrice chiedeva, inoltre, la condanna dei convenuti alla restituzione dell’immobile ed al risarcimento dei danni, con condanna generica dei medesimi al rimborso delle spese occorrenti per il ripristino.

L’eccezione di prescrizione sollevata da convenuti

Nel costituirsi, i convenuti eccepivano la prescrizione decennale di tutte le domande nascenti dal contratto preliminare stipulato il 12-1-1981 e della relativa integrazione del 6-3-1981; in via subordinata, contestavano la fondatezza delle avverse pretese risarcitorie.

La sentenza di primo grado

Con sentenza in data 30-4-2008 il Tribunale dichiarava il contratto preliminare di vendita stipulato dalle parti risolto per inadempimento dei convenuti, condannando questi ultimi al rilascio dell’immobile ed al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 232.200,00, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni per il mancato godimento del bene, nonché al rimborso delle spese di rimessione in pristino, da liquidarsi in separato giudizio.

L’appello.

Avverso la predetta decisione proponevano appello entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto di tutte le avverse richieste per prescrizione.

La sentenza di appello.

Con sentenza in data 6-11-2009 la Corte di Appello rigettava il gravame, ritenendo inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello, l’eccezione di prescrizione della domanda di risoluzione. Da qui il ricorso per cassazione dei promissari acquirenti.

Il motivo del ricorso per cassazione.

Con l’unico motivo i ricorrenti, denunciando la violazione dell’art. 345 c.p.c. e degli artt. 2934 e 2946 c.c., sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, la locuzione “tutte le domande sorgenti dal contratto sono coperte dall’ordinaria prescrizione decennale”, usata nella comparsa di primo grado dai convenuti, andava riferita a tutte le domande relative al rapporto contrattuale controverso proposte in giudizio dall’attrice, e cioè all’azione di risoluzione per inadempimento ed a quelle, consequenziali, di restituzione, ripristino e risarcimento danni.

Sostengono, pertanto, che la Corte di Appello ha violato il disposto dell’art. 345 c.p.c., nel qualificare come eccezione nuova rispetto a quella proposta in primo grado la richiesta degli appellanti di dichiarare “prescritto ogni diritto ed azione avversariamente proposta con il rigetto delle avverse richieste”.

La Corte Suprema ritiene fondato il motivo.

Per i giudici di legittimità, la Corte di Appello ha ritenuto che la generica eccezione di prescrizione sollevata in primo grado dai convenuti non poteva intendersi riferita alla prescrizione ordinaria decennale del “diritto potestativo della società istante di promuovere, nei loro confronti, l’azione generale di risoluzione del contratto per inadempimento e non quella dei diritti di credito che la stessa affermava inadempiuti; e ciò sul rilievo che “non solo i convenuti individuano nella stipulazione del contratto anziché nel dedotto inadempimento il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale ed eccepiscono la prescrizione estintiva di “tutte le domande sorgenti” dal contratto, laddove l’azione generale di risoluzione, al contrario di quella con la quale si fa valere la clausola risolutiva espressa, non nasce dal contratto ma dal suo inadempimento, ma soprattutto perché deducono l’inesistenza di validi atti interruttivi della prescrizione, il che mal si concilia con un’eccezione avente ad oggetto un diritto potestativo, per il quale non valgono le norme generali in materia di interruzione della prescrizione”. Di qui la conclusione secondo cui “la deduzione, in grado di appello, che l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado si riferiva al diritto potestativo di chiedere (e ottenere) sentenza (costitutiva) di risoluzione dello stesso per inadempimento, integra un’eccezione nuova, non proponibile per la prima volta in grado di appello (art. 345 c.p.c., nella formulazione successiva alla riforma del 1990)”.

Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice di appello non vengono condivise dai giudici di legittimità.

Secondo gli Ermellini, con la comparsa di costituzione di primo grado i convenuti avevano eccepito, “in via pregiudiziale”, “l’intervenuta prescrizione delle domande dell’attrice”, rilevando, nella parte espositiva, che “decorsi venti anni dalla stipulazione del contratto, alla data della notifica dell’atto di citazione, tutte le domande sorgenti dal medesimo sono coperte dalla prescrizione ordinaria decennale”, e chiedendo, nelle conclusioni, “in via principale pregiudiziale, rigettare le domande avverse, in quanto prescritte”.

Alla luce dell’inequivoco dato testuale del predetto atto difensivo – proseguono i giudici di piazza Cavour – non par dubbio che l’eccezione di prescrizione formulata dagli odierni ricorrenti si riferisse a tutte le domande proposte dall’attrice e, quindi, sia a quella di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, sia a quelle consequenziali di restituzione, di ripristino del bene e di risarcimento danni.

Di conseguenza, ad avviso degli Ermellini, ha errato la Corte di Appello nel ritenere che l’eccezione proposta in primo grado dai convenuti non potesse intendersi riferita all’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, bensì ai “diritti di credito che essa affermava inadempiuti”; e ciò per la semplice considerazione che nel giudizio in questione l’attrice ha proposto domanda di risoluzione, e non di pagamento di crediti rimasti inadempiuti. E’ del tutto illogico, di conseguenza, ipotizzare che l’eccezione in parola fosse diretta a paralizzare una domanda mai proposta dalla controparte.

Il principio di diritto.

Ricordano i giudici di piazza Cavour che in tema di prescrizione estintiva, l’elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, mentre la determinazione della durata della predetta inerzia, al pari delle norme che la disciplinano, rappresenta una mera “quaestio juris”, la cui identificazione spetta al potere dovere del giudice (Cass. 22-10-2010 n. 21752; Cass. 22-5-2007 n. 11843). Pertanto, allorché l’intento della parte di avvalersi della prescrizione sia stato manifestato mediante l’apposita eccezione, la genericità e l’errore relativamente al periodo di tempo che dovrebbe intendersi coperto dalla stessa nonché alla individuazione del termine iniziale o di quello finale non incide sul potere-dovere del giudice di esaminare l’eccezione medesima e di stabilire in concreto ed autonomamente -in base agli elementi di fatto ritualmente acquisiti al giudizio- se essa sia fondata in tutto o in parte, determinando il periodo colpito dalla prescrizione e la decorrenza di esso in termini eventualmente diversi da quelli prospettati dalla parte medesima (Cass. 22 – 5 -2007 n. 11843; Cass. 24-3-1999 n. 2789; Cass. 25-11-1992 n. 12539).

L’interruzione della prescrizione dell’azione di risoluzione contrattuale.

Infine, per i giudici di legittimità, la natura costitutiva dall’azione di risoluzione contrattuale comporta che la relativa prescrizione possa essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione di domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora. E poiché, dunque, l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado dai convenuti si riferiva all’avversa domanda di risoluzione per inadempimento e a quelle consequenziali, il giudice del gravame, nel ritenere inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello, l’eccezione di prescrizione di tale domanda, è incorso nella violazione dell’art. 345 c.p.c.

Le eccezioni nuove, inammissibili in appello.

La Suprema Corte ribadisce il principio secondo cui costituiscono eccezioni nuove, inammissibili ex art. 345 c.p.c. (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990), la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, la deduzione di nuovi fatti, l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di decisione, l’alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della controversia, in modo da dar luogo ad una allegazione difensiva diversa da quella sviluppata ed esplorata in primo grado (Cass. 16-7-2004 n. 13253; Cass. 27-12-2004 n. 24024).

Non costituisce – proseguono i giudici di legittimità – eccezione nuova, la cui proposizione è preclusa in appello dal citato art. 345 c.p.c., quella che, come nel caso in esame, non comporti l’allegazione di alcun fatto nuovo o diverso rispetto a quanto dedotto in primo grado.

Da qui l’accoglimento del ricorso con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari.

Una breve riflessione.

La sentenza in argomento ribadisce un principio di fondamentale importanza in materia di prescrizione, e segnatamente in ordine alla erroneità o genericità della eccezione di prescrizione in materia civile ritualmente proposta

Va premesso che l’eccezione di prescrizione rientra fra le eccezioni in senso stretto, in quanto tale non rilevabili d’ufficio, per espressa disposizione di cui all’art. 2938 c.c. In particolare, l’eccezione di prescrizione rientra tra le eccezioni di merito non rilevabili di ufficio.

Non solo la prescrizione deve essere eccepita dalla parte che ne ha interesse, ma essa deve essere eccepita nel termine di costituzione previsto ex lege.

Difatti, la giurisprudenza ha sul punto stabilito che in caso di deposito tardivo della memoria di costituzione contenente un’eccezione di prescrizione, il mancato rispetto del termine di costituzione comporta la preclusione, per decadenza, di tale eccezione. Ciò in quanto l’eccezione di prescrizione, come sopra detto, è da annoverare fra le eccezioni in senso stretto, da proporsi nel rispetto del termine di decadenza previsto dall’art. 166 del c.p.c., e non costituisce una mera difesa, che il giudice ha il potere-dovere di conoscere anche d’ufficio, in quanto investe questioni attinenti al fondamento della pretesa che si aziona in giudizio, ed, al tempo stesso, che il regime della decadenza ha carattere assoluto ed inderogabile e la relativa preclusione va, pertanto, rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dal silenzio dell’attore o dalla circostanza che il medesimo si sia difeso sostenendo l’infondatezza, nel merito, delle eccezioni tardivamente proposte dal convenuto (ex plurimis Cassazione Sezione VI n. 6914 del 20 marzo 2009).

Ciò detto, va però rilevato che, una volta sollevata tempestivamente la eccezione di prescrizione, il giudice ha ampi poteri officiosi per determinarne i limiti e quindi la fondatezza.

In altre parole, se chi eccepisce la prescrizione indica, per errore, una durata diversa da quella prevista per legge, ovvero eccepisce la prescrizione in termini assolutamente generici, ovvero ancora erra nell’indicare il termine iniziale o quello finale, il giudice ha comunque il potere-dovere di esaminare l’eccezione medesima e di stabilire in concreto ed autonomamente -in base agli elementi di fatto ritualmente acquisiti al giudizio- se essa sia fondata in tutto o in parte, determinando il periodo colpito dalla prescrizione e la decorrenza di esso in termini eventualmente diversi da quelli prospettati dalla parte medesima.

Come dire, ciò che la parte interessata ha l’onere di proporre (se intende avvalersene) è l’eccezione di prescrizione. Una volta proposta, è compito del giudice valutare la sussistenza di tutti i presupposti di legge, ovviamente sulla base delle legittime risultanze processuali.

A ben vedere, il principio ribadito dalla Suprema Corte si pone in linea con il diverso regime che caratterizza la distinzione tra l’eccezione di prescrizione e la controeccezione di prescrizione: la prima è una eccezione in senso stretto; la seconda è una eccezione in senso lato, come tale  rilevabile di ufficio.

L’eccezione di prescrizione è una eccezione in senso stretto. Ma una volta eccepita, ogni altra questione consequenziale è rilevabile dal giudice.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

Download PDF