Documenti nuovi in appello e principio di non dispersione della prova

Download PDF

L’art.345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, terzo comma, cod. proc. civ., se pur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n. 24639 del 3 dicembre 2015

Il caso

Documenti nuovi in appello e principio di non dispersione della prova

Documenti nuovi in appello e principio di non dispersione della prova

 

Due eredi convenivano in giudizio il legale del loro de cuius chiedendo che questi fosse condannato a corrispondere a ciascuna di esse la quota parte rispettivamente spettante, incassato dal predetto avvocato su mandato della cliente a conclusione del procedimento per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento curato dal legale.

Nel frattempo, il legale, non avendo ricevuto il pagamento delle prestazioni professionali fruite dalla cliente, chiedeva ed otteneva due distinti decreti ingiuntivi nei confronti delle due eredi, le quali proponevano opposizione. I giudizi venivano riuniti ed il giudice di primo grado condannava il legale a restituire l’importo di euro 19.000,00 a ciascuna delle opponenti.

L’appello.

Il legale proponeva appello, allegando al ricorso in appello i fascicoli dei procedimenti monitori nei quali erano contenuti la documentazione dell’attività professionale svolta in favore della de cuius ed anche le raccomandate con le quali aveva invitato le sorelle, eredi della cliente, a ritirare le somme di rispettiva pertinenza, ed a saldare la parcella per le sue competenze professionali.

La sentenza di appello

La corte d’appello disponeva lo stralcio dei documenti prodotti dall’appellante per la prima volta in appello ritenendo la produzione documentale inammissibile ex art. 345 c.p.c. e confermava la sentenza di primo grado. Da qui il ricorso per cassazione del legale articolato in due motivi.

Il primo motivo del ricorso

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e\ o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.

Segnala che la corte d’appello, pur richiamando alcuni precedenti di legittimità che hanno affermato la possibilità di produrre per la prima volta in appello i documenti prodotti nella fase monitoria ma non nel giudizio di primo grado senza andare incontro al divieto dei nova in appello fissato dall’art. 345 c.p.c., se ne è discostata motivando sul punto, ritenendo non convincentemente delineato da tali pronunce il concetto della indispensabilità di nuove prove.

Il motivo viene ritenuto fondato.

Sui limiti della ammissibilità della produzione documentale in appello si è pronunciata come è noto Cass. S.U. n. 8203 del 2005 secondo la quale “Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo comma, cod.proc.civ. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova <nuovi> – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito ordinano, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti”).

Gli allegati al ricorso per decreto ingiuntivo

Per quanto concerne in particolare il procedimento monitorio, però, la Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo e si chiude con la notifica del decreto stesso non è autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione di cui all’art. 645 cod. proc. civ._ Di conseguenza, nel giudizio di opposizione, ove la parte opposta non abbia allegato al fascicolo nel termine di cui all’art 184 cod. proc. civ., la documentazione posta a fondamento del ricorso monitorio, tale documentazione possa essere utilmente prodotta nel giudizio di appello, non potendosi considerare come nuova (Cass. n. 11817 del 2011).

L’intervento delle sezioni unite.

Poiché la questione della conciliabilità o meno della possibilità di produrre per la prima volta in appello il fascicolo di parte della fase monitoria e i documenti ivi contenuti con il divieto di produzione di nuove prove in appello continuava ad avere soluzioni non perfettamente coincidenti nella giurisprudenza di legittimità, la questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite che hanno recentemente composto il contrasto in relazione a questa specifico aspetto della più generale questione della ammissibilità di nuove prove in appello, affermando che “L’art.345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, terzo comma, cod. proc. civ., se pur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili” (Cass. S.U. n. 14475 del 2015).

Da qui l’accoglimento del motivo del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa anche per la decisione sulle spese alla Corte d’Appello.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna si pone sul solco tracciato dalle sezioni unite della Suprema Corte di cassazione (decisione 14475/2015).

Di particolare interesse è il principio di non dispersione delle prove al quale fa riferimento la sentenza.

Secondo la Corte regolatrice, sul piano sistematico, i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. In altri termini, tali prove non devono essere disperse, e ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice.

Il principio di non dispersione della prova acquista poi una valenza peculiare con specifico riferimento al procedimento per decreto ingiuntivo. I documenti allegati al ricorso, in base ai quali sia stato emesso il decreto, devono rimanere nella sfera di cognizione del giudice anche nella, eventuale, fase di opposizione, che completa il giudizio di primo grado.

La Corte regolatrice a sezioni unite, sempre con riferimento al giudizio monitorio ed alla successiva fase di opposizione, ha affermato che le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio, come ha, da ultimo, sottolineato, con riferimento ad altro giudizio di primo grado bifasico in cui l’opposizione costituisce prosecuzione del giudizio di primo grado, Corte cost. 78/2015, occupandosi del problema della possibile identità fisica del giudice delle due fasi, ritenuta costituzionalmente legittima e “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della ragionevole durata”.

In disparte, non può però non osservarsi come proprio l’attuazione del principio del giusto processo e di ragionevole durata imporrebbero una “sanzione processuale” alla parte che, col proprio comportamento (consistente nel non aver prodotto i documenti del monitorio nel giudizio di opposizione), ha causato l’allungamento dei tempi di giudizio.

In tale prospettiva, a ben vedere, il principio di non dispersione della prova stride con il principio del giusto processo e di ragionevole durata del giudizio.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

Download PDF