Corte Suprema di Cassazione – sezione prima civile – sentenza n. 20871 del 15 ottobre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Attore Omissis) convenne in giudizio il Comune di (Omissis), e, premettendo di aver eseguito il primo lotto dei lavori di costruzione di un edificio scolastico, di aver, poi, eseguito, in base ad apposito contratto, i successivi lavori di completamento, espose che il relativo saldo, pari a £ 310.101.702, non gli era stato corrisposto dal convenuto, che aveva annullato gli atti relativi all’appalto, compreso il contratto, perché affidato a trattativa privata. Deducendo di aver impugnato in sede giurisdizionale amministrativa la delibera d’annullamento, con esito negativo, il (attore Omissis) chiese la condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, nonché al risarcimento ex artt. 1337 e 1338 cc. Il Tribunale adito dichiarò improponibile la domanda ex art. 2041 cc, per esser pendente il giudizio sulla domanda contrattuale, e rigettò quella risarcitoria. La decisione, su gravame del (attore Omissis), fu confermata dalla Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, secondo cui: a) la proposta azione contrattuale non era stata respinta prima della proposizione della domanda d’indebito arricchimento, che, per il suo carattere residuale, era in conseguenza preclusa; b) la  circostanza che il contratto era nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 12 della L n. 1 del 1978, escludeva che il (attore Omissis) potesse, senza sua colpa, confidare sulla validità del contratto.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il (attore Omissis), affidato a quattro mezzi, illustrati da memoria. Il Comune ha depositato comparsa al fine di partecipare all’udienza di discussione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo, ex art. 360, 1° co, n. 3 cpc, la violazione dell’art. 2042 cc, in relazione alla statuizione sub a) di parte narrativa, il ricorrente lamenta che la Corte napoletana ha ritenuto improponibile la domanda d’indebito arricchimento, senza considerare, da una parte, che tale azione può proporsi, in via subordinata, in concorrenza o in pendenza di quella c.d. primaria, e, dall’altra, che il principio della sussidiarietà postula, semplicemente, che non sia prevista dall’ordinamento altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, e cioè che sia carente ab origine qualsiasi altra azione.

2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 189, 190 e 306 cpc, in riferimento all’art. 360, 1° co, n. 4 cpc, evidenziando che “la comparsa conclusionale poteva evidenziare un’implicità rinuncia all’azione ex artt. 1337 e 1338 cc, ma, in concreto, tale rinuncia non vi è mai stata”, sicchè l’inciso, contenuto nell’impugnata sentenza, di una presunta rinuncia doveva considerarsi erroneo.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 cpc, non avendo la Corte d’Appello trattato della responsabilità ex art. 1337 cc, tenuto conto che era stato dedotto che il Comune aveva agito in mala fede nella predisposizione degli atti propedeutici al contratto, e che su tale questione la sentenza aveva taciuto, avendo, piuttosto, motivato in riferimento alla disposizione di cui all’art. 1338 cc.

4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 1338 cc, tenuto conto che l’inosservanza dell’art. 12 della L n. 1 del 1978 era dovuta “ad un atto propedeutico, nel quale risulta riportato un quadro economico che secondo il Giudice Amministrativo nascondeva un artifizio contabile inficiante l’atto medesimo”, artificio che non era stato portato a sua conoscenza, ma eccepito dal Comune dopo la realizzazione della scuola ed allo scopo di sottrarsi al pagamento.

5. Il primo motivo, al limite dell’inammissibilità per l’inadeguatezza del quesito, è, comunque, infondato.

5.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20141 del 2007; Cass. 11067 del 2003; Cass. 16340 del 2002), l’azione generale di arricchimento ha natura complementare e sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un’azione nei confronti dell’arricchito, o di altre persone, che trovi titolo in un contratto o nella legge, talché si differenzia da ogni altra azione sia per presupposti che per limiti oggettivi ed integra un’azione autonoma per diversità di petitum e causa petendi rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale o di altro genere.

5.2. E’, bensì, vero, poi, che il danneggiato può proporla, in via subordinata, quando l’azione tipica, avanzata in via principale, abbia avuto esito negativo per carenza del titolo posto a suo fondamento (Cass. n. 4492 del 2010; n. 6295 del 2013); ma tale principio, invocato dal ricorrente, non opera nè quando la domanda ordinaria, fondata su un titolo contrattuale, è stata rigettata per l’assenza di prove sufficienti all’accoglimento, nè quando tale domanda, dopo essere stata proposta, non è stata più coltivata dall’interessato (Cass. n. 8020 del 2009; n. 6295 del 2013), dato che in tali ipotesi il titolo specifico, fonte del credito azionato, in tesi sussiste (ma è infondato), o avrebbe potuto esser positivamente accertato, sol che il creditore avesse utilmente proseguito il relativo giudizio.

5.3. Il caso ricorre nella specie, tenuto conto che, com’è incontroverso, il ricorrente aveva proposto la domanda contrattuale (volta a conseguire il saldo dei lavori eseguiti) il cui giudizio, sospeso in pendenza del procedimento giurisdizionale amministrativo (in relazione al quale vi è un assoluto difetto di autosufficienza, non essendo chiarito nè cosa abbia annullato la delibera comunale, né cosa abbia impugnato l’impresa, né gli esatti termini della statuizione giurisdizionale amministrativa, tenuto conto che l’appalto aveva avuto compiuta esecuzione), non è stato riassunto dal ricorrente, come da lui riferito; sicchè era da considerarsi pendente alla data della proposizione della domanda d’ingiustificato arricchimento e non consta esser mai stato esitato.

Il secondo motivo è inammissibile per difetto d’interesse: l’impugnata sentenza pur dando atto, sia in narrativa che in parte motiva, che il ricorrente aveva insistito nella domanda risarcitoria ex artt. 1337 e 1338 cc ed affermando, al contempo – in comparsa conclusionale- di avervi rinunciato, ha, comunque, valutato nel merito tale domanda, mostrando di interpretare gli atti nel senso voluto dal ricorrente, il quale, peraltro, riconosce l’ambiguità delle difese, da lui svolte in sede di merito (“E’ vero che questa difesa aveva dedotto che la comparsa conclusionale poteva evidenziare un’implicita rinuncia all’azione ex artt. 1337 e 1338 cc, ma in concreto, tale rinuncia non vi è mai stata”).

L’omessa pronuncia dedotta col terzo motivo è infondata, avendo la Corte d’Appello espressamente rigettato la domanda risarcitoria da responsabilità precontrattuale. Se dunque la questione della relativa motivazione (che il ricorrente asserisce inerire piuttosto al caso regolato dall’art. 1338 cc) avrebbe dovuto esser censurata mediante deduzione dell’afferente vizio, non può non rilevarsi che il motivo è generico, tenuto conto che la responsabilità precontrattuale della P.A. è responsabilità da comportamento e non da provvedimento (cfr. Cass. n. 9636 del 2015) e che il ricorrente, non solo, omette del tutto di specificare la condotta contraria a buona fede, in tesi, posta in essere dal Comune, ma indica a tal fine la predisposizione di “atti propedeutici al contratto”.

Il quarto motivo è inammissibile. Esso muove dal presupposto che il vizio invadidante il contratto sia connesso ad un “atto propedeutico”, ma tale presupposto non trova rispondenza nell’impugnata sentenza, che è pervenuta al suo convincimento sulla scorta del giudicato amministrativo, sicchè la censura, da una parte, maschera la richiesta di riesame dei dati fattuali dedotti a sostegno della domanda risarcitoria, e, dall’altra, è priva di autosufficienza, non essendo neppure indicati gli atti propedeutici che avrebbero dato causa all’invalidità del contratto, né, come si è detto, trascritta, neppure in parte, la sentenza amministrativa, che ha sancito la legittimità della delibera di annullamento emessa dal Comune.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 7.800,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2015

 

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