Corte Suprema di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n.12921 del 23 giugno 2015

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I FATTI

La (Omissis), società che svolge l’attività di lavorazione e produzione di prodotti alimentari, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna la (Omissis 2), società che gestiva la erogazione idrica nel territorio del Comune di (Omissis 3), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati dall’allagamento del proprio stabilimento industriale a causa della rottura di un tratto di condotta idrica facente parte dell’acquedotto pubblico, interrata nell’area prospiciente allo stabilimento, con interruzione della produzione per alcune ore ed inutilizzabilità del prodotto in lavorazione al momento dell’allagamento. Veniva chiamata in causa la compagnia di assicurazioni della (Omissis 2), (Omissis 4) Ass.ni s.p.a.

Il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento delle domande della (Omissis), dichiarava la (Omissis 2) responsabile dei danni e la condannava a versare all’attrice la somma di euro 12.891,00 equitativamente determinata.

La (Omissis 5), già (Omissis 2), proponeva appello chiedendo il rigetto di ogni domanda nei propri confronti, e la (Omissis) proponeva a sua volta appello incidentale ritenendo che il danno fosse stato liquidato in misura inferiore a quanto effettivamente subito.

La Corte d’Appello di Bologna emetteva dapprima una sentenza non definitiva, in cui respingeva l’appello principale della (Omissis 5), confermando che la responsabilità dell’allagamento nei locali della (Omissis) fosse da ascrivere alla società erogatrice dell’acqua nel Comune di Bologna e, dopo l’espletamento di una c.t.u., emetteva la seconda sentenza definitiva in cui rigettava l’appello incidentale della (Omissis) e poneva a carico di questa la refusione integrale delle spese legali di appello in favore sia della (Omissis 5) che della (Omissis 4).

(Omissis) propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi ed illustrato da memoria nei confronti di (Omissis 5) già (Omissis 2) e di (Omissis 4) per la riforma della sentenza n. XXXX del 2011 emessa dalla Corte d’Appello di Bologna 1’8 novembre 2011.

La (Omissis 4 ) e la (Omissis 5) resistono con controricorso.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente denuncia con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’ art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c. per non aver la corte pronunciato sulla istanza risarcitoria concernente il danno da mancata produzione.

Sostiene di aver proposto appello incidentale non soltanto perché la quantificazione del danno effettuata in prime cure era di troppo inferiore al danno effettivamente subito, ma anche perché, in particolare, non era stato affatto liquidata la voce di danno da mancata produzione e che di questo non si sia tenuto conto.

Il motivo è infondato.

Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia, in quanto la corte d’appello ha esaminato la domanda della ricorrente di liquidazione del maggior danno effettivamente subito per aver perduto la lavorazione in corso e l’ha rigettata ritenendo che l’effettivo ammontare del danno subito non fosse stato idoneamente provato con l’unico documento prodotto dalla società fin dal giudizio di primo grado, che è un prospetto riepilogativo proveniente dalla stessa attrice contenente le indicazioni delle ore di lavoro, delle materie prime e delle lavorazioni perdute.

Con il secondo motivo di ricorso, la (Omissis) deduce la sussistenza di un vizio di contraddittorietà della motivazione sullo stesso punto, laddove la corte d’appello ha dapprima ritenuto provata l’esistenza del danno (con la sentenza non definitiva) rimandandone solo la quantificazione alla consulenza tecnica, per poi discostarsi dalla consulenza tecnica e rigettare la domanda relativa alla liquidazione del danno da perdita della produzione.

Il motivo è infondato. Non c’è alcuna contraddittorietà della motivazione.

La corte d’appello ha deciso di non avvalersi delle risultanze della consulenza tecnica perché ne ha dichiarato la nullità, in quanto solo in sede di consulenza tecnica, in violazione sia dei termini per la produzione documentale che del principio del contraddittorio, la (Omissis) ha trasmesso direttamente al consulente una serie di documenti atti a comprovare i costi delle lavorazioni perdute ed i quantitativi, suscitando le immediate contestazioni della controparte. Alla pronuncia di nullità della consulenza non poteva che derivare l’inutilizzabilità di essa e di tutto il materiale irregolarmente acquisito dal consulente, la cui irregolare acquisizione ne aveva provocato la nullità.

Con il terzo motivo di ricorso, la (Omissis) denuncia la presenza di un error in procedendo per violazione degli artt. 184 e 194 c.p.c., per aver i giudici territoriali considerato mezzo di prova la c.t.u. e precluso al c.t.u. l’acquisizione di dati rilevanti. La ricorrente illustra che lo stesso ctu, non potendo elaborare una risposta ai quesiti sulla base della sola tabella riassuntiva prodotta dal pastificio, ha acquisito dalla (Omissis), nonostante l’opposizione delle difese delle altre parti, la documentazione necessaria per comprendere, elaborare e verificare l’esattezza del prospetto Sostiene la ricorrente che i giudici di Bologna, nel ritenere inutilizzabile la consulenza viziata da tale irrituale acquisizione documentale, avrebbero violato il principio di diritto più volte affermato da questa Corte secondo il quale al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari per svolgere l’accertamento affidatogli (Cass. n. 1901 del 2010 ed altre).

Il motivo è infondato, perché è errata l’interpretazione che la ricorrente dà al suddetto principio di diritto in ordine alla possibilità del consulente di acquisire aliunde la documentazione necessaria per elaborare la consulenza.

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che in tema di consulenza tecnica d’ufficio rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere “aliunde” notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del 2010).

E tuttavia occorre chiarire entro che limiti è legittimo l’esercizio di tale facoltà da parte del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde.

Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio.

Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al consulente sia necessario, per portare a termine l’indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l’indagine e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi, esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati per verificare che l’indennità di esproprio sia stata correttamente quantificata). Potrà anche, nel contraddittorio delle parti, acquisire documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo qualora ne emerga l’indispensabilità all’accertamento di una situazione di comune interesse ( quali atti di frazionamento per individuare il confine tra due fondi).

Può acquisire inoltre dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, e pur sempre deve indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire loro di verificarne l’esatto e pertinente prelievo.

Quindi l’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti.

Non è invece consentito al consulente sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa che non gli siano stati forniti, acquisendoli, come è avvenuto in questo caso, dalla parte che non li aveva tempestivamente prodotti, nonostante l’opposizione della controparte, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplite al carente espletamento dell’onere probatorio, in violazione sia dell’art. 2697 cc. che del principio del contraddittorio.

Anche col quarto motivo la ricorrente denuncia la presenza di un error in procedendo, per aver i giudici d’appello ritenuto di poter omettere la decisione sull’entità del danno risarcibile, perché gli stessi hanno giudicato nulla la c.t.u. disposta per la quantificazione del danno.

Non contesta in sé la dichiarata nullità della c.t.u., ma sostiene che dalla declaratoria di nullità della c.t.u. non si poteva far discendere il rigetto della domanda dell’appellante incidentale al risarcimento del danno effettivamente subito; al contrario, la consulenza nulla avrebbe dovuto essere rinnovata. Sostiene che in tal modo il diritto risarcitorio sia stato ingiustamente negato, senza neppure esaminare i documenti prodotti, solo asseritamente nuovi.

Anche il quarto motivo è infondato, per motivi che si collegano a quanto finora osservato.

Come già esposto in riferimento al secondo motivo, nessuna violazione delle norme processuali è stata commessa dalla corte d’appello che, dichiarata la nullità della consulenza tecnica, non ha tenuto in alcun conto l’elaborato del c.t.u.

La corte non ha poi provveduto a rinnovare la c.t.u., limitandosi a rigettare la domanda della società ricorrente, volta ad ottenere l’accertamento del danno effettivamente subito, perché la stessa società ricorrente non ha prodotto tempestivamente, nei termini previsti per le produzioni documentali in primo grado, la documentazione atta a provare l’ammontare effettivo dei danni subiti a seguito della interruzione della lavorazione per una giornata lavorativa, e quindi la documentazione attestante il numero di operai impiegati in azienda il giorno dell’allagamento, le produzioni in corso, il quantitativo di materie prime andati distrutti, gli ordini inevasi o evasi in ritardo a causa dell’allagamento, ma si è limitata a produrre un prospetto riepilogativo senza alcuna documentazione di supporto.

A fronte di tale situazione, il giudice di primo grado non ha dato ingresso alla consulenza ritenendola implicitamente esplorativa e, risultando comunque la prova dell’esistenza di un danno, perché gli impianti si erano fermati e certamente era stato necessario interrompere la produzione quanto meno per il tempo necessario a ripulirli dall’acqua, ha liquidato una somma contenuta a titolo di risarcimento equitativamente determinato del danno.

Il giudice di secondo grado ha invece dato ingresso alla consulenza, chiedendo al consulente se le cifre riportate nel prospetto fossero congrue.

Il consulente, non essendo in grado di formulare il giudizio di congruità richiestogli senza una verifica documentale sulle produzioni in corso, sui materiali impiegati, sul numero degli operai al lavoro etc., ha direttamente richiesto alla ricorrente la produzione documentale che questa non si era curata di predisporre e depositare tempestivamente, nonostante l’opposizione della controparte.

A fronte di ciò, la corte d’appello non ha potuto che dichiarare la nullità della consulenza (nullità che in questa sede non è stata neppure fatta oggetto di un motivo di ricorso) e ha ritenuto nella sua valutazione discrezionale che fosse inutile disporne la rinnovazione, non potendo più la parte fornire al consulente quei documenti senza i quali una stima effettiva dei danni non era praticabile. Così sfrondato il campo sia dalle risultanze della consulenza fondate su dati dei quali il consulente non avrebbe potuto disporre, che dalle documentazioni illegittimamente in quella sede prodotte, la corte d’appello non ha fatto altro che rigettare la domanda volta alla liquidazione del danno effettivamente subito per difetto di prova da parte dell’originaria attrice, in corretta applicazione dell’art. 2697 c.c.

Infine, con il quinto motivo di ricorso, la (Omissis) lamenta l’omessa pronuncia sulla richiesta condanna alle spese di (Omissis 5) e l’erronea condanna di (Omissis) al pagamento delle spese di lite della terza chiamata.

La ricorrente evidenzia che la corte d’appello ha sbagliato nella liquidazione delle spese, per due ordini di ragioni:

– perché non ha liquidato le spese conseguenti al rigetto dell’appello principale (in cui (Omissis 5) e la sua chiamata in causa erano soccombenti) ma ha tenuto conto solo della soccombenza della (Omissis) rispetto all’appello incidentale; e

– perché nel far ciò ha posto a carico di (Omissis) anche le spese sostenute dalla compagnia di assicurazioni di (Omissis 5), alla cui presenza in giudizio essa non aveva dato causa e nei cui confronti non aveva formulato alcuna domanda.

Il motivo di ricorso è fondato quanto al primo aspetto, infondato quanto al secondo.

Effettivamente la corte d’appello, nel liquidare unitariamente all’esito della seconda sentenza, quella definitiva, le spese del giudizio di appello, non ha considerato che l’appello principale di (Omissis 5), supportato dalla sua assicuratrice (Omissis 4) e volto a far cadere la sentenza di primo grado laddove conteneva la sua affermazione di responsabilità e la condanna equitativa al risarcimento del danno nella misura di 12.000,00 curo circa, era stato rigettato con la sentenza non definitiva, ed ha posto integralmente a carico della sola (Omissis), soccombente solo rispetto all’appello incidentale in ordine al quantum ma vincitrice in relazione all’appello principale in ordine all’an, le spese dell’intero giudizio di appello, laddove non avrebbe dovuto porre a suo carico anche le spese in relazione a quella parte della lite in cui era risultata vincitrice.

Quanto alla condanna della (Omissis), originaria attrice, a rifondere anche le spese di lite sostenute dalla compagnia di assicurazioni chiamata in causa dalla convenuta, essa è in sé corretta (nei limiti in cui (Omissis) deve essere condannata a pagare le spese di lite), in quanto si applica il principio di causalità della lite, per cui il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (in questo senso, tra le altre, Cass. n. 7431 del 2012).

In accoglimento parziale del quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata.

Poiché non è necessario un nuovo accertamento in fatto, su questo punto la Corte, ex art. 384 secondo comma c.p.c. può decidere la causa nel merito, senza necessità di rinviarla per una nuova decisione alla Corte d’Appello di Bologna.

Le spese di lite della fase di appello vanno pertanto riliquidate, in parziale accoglimento del quinto motivo e possono essere integralmente compensate, in ragione della soccombenza reciproca.

In ragione del parziale accoglimento del ricorso, anche le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso, accoglie in parte il quinto, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello.

Spese del giudizio di cassazione compensate.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 21 aprile 2015

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