Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda civile – sentenza n. 21524 del 22 ottobre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La (Società acquirente Omissis) acquistava dalla (società venditrice Omissis) mediante leasing contratto con la (società di leasing Omissis), un capannone industriale al grezzo sito in Cordovado, per l’importo di 245.000.000 del vecchio conio. Durante i successivi lavori di completamento fatti eseguire dalla (società acquirente Omissis), emergevano gravi ed estese fessurazioni  delle travi di copertura dell’immobile. Pertanto quest’ultima società, insieme con la (società di leasing Omissis), convenivano in giudizio la (società venditrice Omissis), innanzi al Tribunale di Pordenone, per la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno.

Tale iniziativa dava luogo ad una serie di successive chiamate in garanzia dalla (società venditrice Omissis) ad (precedente venditore Omissis), che a quest’ultima aveva venduto l’immobile, e alla (società costruttrice Omissis); dal (precedente venditore Omissis) a (Omissis) e (Omissis), cui il primo aveva commissionato progetti e collaudo dell’opera finita; dalla (Omissis) alla (Omissis), sua assicuratrice.

Tutti i chiamati si costituivano e resistevano in giudizio.

Sulle modificate conclusioni della parte attrice, che aveva chiesto il solo accertamento dei vizi del capannone per inferirne il diritto al risarcimento del danno ex art. 1494 c.c., quantificato in €.588.685,35 o nella diversa somma di ritenuta di giustizia, il Tribunale con sentenza non definitiva del 5.1.2007, dichiarate ammissibili le domande riformulate dalla (società acquirente Omissis) e dalla (società di leasing), accertava l’esistenza del vizio denunciato e quantificava in varia percentuale le rispettive concorrenti responsabilità del convenuto e dei chiamati, estromettendo dalla causa (Omissis).

Sull’appello principale di (precedente venditore Omissis) e incidentale della (società venditrice Omissis), della (Omissis), della (Omissis) e di (Omissis), in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore (Omissis), nonché di (Omissis) e (Omissis), eredi tutti di (Omissis), la Corte d’appello di Trieste, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di risarcimento del danno ex art. 1494 c.c. proposta dalla (società acquirente Omissis) e dalla (società di leasing Omissis) e compensava integralmente le spese fra tutte le parti.

Accolta la censura di extrapetizione sollevata da tutti gli appellanti, che avevano lamentato l’estensione d’ufficio ai chiamati della domanda proposta dalla (società acquirente Omissis), la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, rigettava l’eccezione di novità della domanda così come riformulata in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, in quanto la domanda di risarcimento del danno per responsabilità della società venditrice ai sensi dell’art. 1494 c.c. era già contenuta nell’atto di citazione.

Nel merito della domanda principale, escludeva la colpa della (società venditrice Omissis), non ravvisando a carico di quest’ultima un difetto di diligenza nel verificare l’esistenza o meno di vizi del capannone prima della vendita. Ciò in quanto la (società venditrice Omissis) aveva avuto il possesso del capannone solo per pochi mesi, tra la fine del luglio del 1999, allorché l’aveva a sua volta acquistato dal (precedente acquirente Omissis), ed il mese di dicembre dello stesso anno, e prima di tale acquisto essa aveva preteso ed ottenuto dal (precedente acquirente Omissis) il certificato di collaudo. Il non corretto posizionamento delle travi non poteva rilevarsi, proseguiva la Corte, nemmeno con la più corretta ispezione tecnica, mentre il sintomo di tale vizio costruttivo, cioè le infiltrazioni d’acqua piovana, avrebbe potuto allertare l’uomo di media diligenza solo dopo il completamento dei lavori con la realizzazione dei serramenti e non prima. Pertanto, non vi era alcun sintomo del vizio costruttivo che un medio commerciante di immobili avrebbe potuto rilevare, anche all’esito di un’ispezione tecnica. Occorreva, invece, un intervento mirato con rimozioni di parti d’intonaco e di cemento per poter apprezzare la presenza di ristagno d’acqua nel tetto, causata dall’errato posizionamento delle travi del soffitto.

Per la cassazione di tale sentenza la (società acquirente Omissis) e la (società di leasing Omissis) propongono ricorso, affidato a quattro motivi.

Resistono con controricorso la (società venditrice Omissis), che propone altresì impugnazione incidentale condizionata, nonché (Omissis), la (Omissis) e la  (Omissis).

(Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis) sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

– Col primo motivo di ricorso principale, assistito come gli altri da idoneo quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, la (società acquirente Omissis) e la (società di leasing) deducono la violazione dell’art. 1494 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Nonostante nelle sue difese la (società venditrice Omissis) avesse dedotto che i vizi dell’immobile non le erano imputabili e che gli stessi erano noti o comunque conoscibili, la Corte territoriale ha statuito che la venditrice li aveva incolpevolmente ignorati.

– Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. in quanto la Corte distrettuale ha operato la valutazione della diligenza della (società venditrice Omissis)  nel verificare l’esistenza di vizi dell’immobile, in mancanza di elementi di prova contraria alla presunzione di colpa.

– Il terzo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 (rectius, 4) c.p.c., in quanto nel rigettare la domanda principale la Corte triestina ha utilizzato una tesi difensiva che la (società venditrice Omissis) non aveva mai sostenuto e sulla quale, pertanto, gli attori non hanno avuto possibilità di esplicare la loro difesa.

– Il quarto motivo ripete la medesima doglianza dei primi tre, veicolandola sotto il diverso profilo del vizio motivazionale, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. La motivazione della sentenza impugnata, si sostiene, si rivela omessa o insufficiente li dove non spiega perché quei vizi, mai negati dalla (società venditrice Omissis), ed anzi più volte ritenuti riconoscibili, non potevano essere riconosciuti da quest’ultima, atteso che l’asserita non conoscibilità degli stessi collide con la tesi difensiva della società venditrice.

– I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perché espressivi di censure strettamente connesse tra loro e incentrate su di una medesima questione, sono infondati.

L’onere di contestazione previsto dall’art. 115, 1°  comma c.p.c., in base al quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita sono posti a base della decisione, riguarda i fatti storici tematizzati dall’attore. Se intende contestarli, la parte convenuta, come si ricava dall’art. 167, 1°  comma c.p.c., deve narrarli nella comparsa di costituzione in maniera chiara e alternativa alla deduzione avversaria. Funzionali all’editio actionis, tematizzazione e narrazione riguardano i fatti costitutivi della domanda e ne rappresentano l’ossatura. Necessariamente correlata a questa, ed espressione dei principi di autoresponsabilità e di affidamento processuale, la contestazione specifica.

Operata la quale, il fatto rientra nel thema probandum; diversamente, in quello decidendum.

Gli effetti ammissivi di cui all’art. 115 c.p.c, non possono prodursi, invece, con riguardo alle mere difese e ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi, siano o non rilevabili d’ufficio. Il convenuto può ammetterne o meno l’inesistenza in maniera esplicita o implicita, spontanea o provocata, ma non per questo egli è tenuto a prendere posizione su di essi. Di conseguenza, non operando la dinamica allegazione/contestazione, l’ammissione di fatti non dedotti dall’attore ma sfavorevoli al convenuto dipende unicamente dal tenore delle difese di quest’ultimo, che devono essere svolte in maniera del tutto incompatibile con una volontà diversa da quella ammissiva. Ma allora, si è al di fuori dell’automatismo dell’art. 115 c.p.c. e dalla selezione tematica orientata dall’attore.

5.1. – L’ignoranza incolpevole del vizio della res vendita, ai sensi dell’art. 1494, l° comma c.c., costituisce il fatto che, superando la presunzione di colpa che grava sul venditore, impedisce il sorgere del credito risarcitorio. La circostanza che il relativo onere probatorio gravi sul venditore, in conformità, del resto, alla regola generale di riparto dell’art. 2697 c.c., non esclude che l’ignoranza incolpevole integri, altresì, un’eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio pur in difetto dell’allegazione del fatto ad opera della parte interessata a farlo emergere. E’ ormai acquisito nella più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (v. Cass. S.U. n. 10531/13; conforme, Cass. n. 4548/14). Infatti, nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale) (così, Cass. n. 18602/13; v. anche Cass. n. 21482/13, secondo cui tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l’effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo deve essere compiuta, di norma, ex officio, in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi).

Vi si oppone solo la contra se declaratio del venditore stesso, con il limite che neppure quest’ultima, ove irriducibilmente contraria alle emergenze processuali, è idonea a impedire che il giudice ricostruisca altrimenti la verità storica dei fatti. Sono in gioco, infatti, interessi di carattere generale (la giustizia stessa della decisione) di cui nessuna delle parti può disporre.

5.1.1. – Nello specifico, è escluso (stando all’esame diretto degli atti, consentito dalla natura processuale della questione sottoposta) che la parte venditrice abbia ammesso la conoscenza del difetto costruttivo dell’immobile, dato il generale contesto difensivo che nega il fondamento della domanda e, segnatamente, l’esistenza stessa del vizio, la prova del quale la (società venditrice Omissis) aveva espressamente ritenuto non fornita. Le ulteriori difese della medesima (società venditrice Omissis) sulla facile riconoscibilità del vizio non mutano il senso complessivo di tale  linea difensiva, esprimendo un’ipotesi implicitamente subordinata che non è lecito estrapolare in funzione contraria alla logica dichiarativa seguita dalla parte.

5.1.2. – Ciò posto, la Corte territoriale ha fornito una congrua e logica motivazione delle ragioni per cui il difetto dell’immobile non potesse essere conosciuto dalla (società venditrice Omissis), atteso che: a) quest’ultima aveva avuto il possesso del capannone solo per pochi mesi, tra la fine del luglio del 1999, allorché l’aveva a sua volta acquistato dal (precedente proprietario Omissis), ed il mese di dicembre dello stesso anno;

b) prima di tale acquisto essa aveva preteso ed ottenuto dal (precedente proprietario Omissis) il certificato di collaudo;

c) il non corretto posizionamento delle travi non poteva rilevarsi nemmeno con la più corretta ispezione tecnica;

d) il sintomo di tale vizio costruttivo, cioè le infiltrazioni d’acqua piovana, avrebbe potuto allertare il venditore di media diligenza solo dopo il completamento dei lavori con la realizzazione dei serramenti, e non prima;

e) occorreva, invece, un intervento mirato con rimozioni di parti d’intonaco e di cemento per poter apprezzare la presenza di ristagno d’acqua nel tetto, causata dall’errato posizionamento delle travi del soffitto.

– La reiezione del ricorso principale assorbe l’esame del ricorso incidentale, che la (società venditrice Omissis) ha espressamente condizionato all’accoglimento di quello principale.

– Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e condanna le parti ricorrenti, in solido fra loro, alle spese, che liquida in favore della (società venditrice Omissis), di (Omissis), e della (Omissis). in € 6.200,00 per ciascuna parte, e in favore di (precedente proprietario Omissis) e della (Omissis) in € 4.200,00 per ciascuno, il tutto oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24.6.2015.

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