Tribunale Firenze sez. II – 14 febbraio 2015 n. 4188

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza del Tribunale di Firenze sez. II – 14 febbraio 2015 n. 4188

                          REPUBBLICA ITALIANA                                              IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                                         TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE                                           Seconda sezione CIVILE                       Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. L. Minniti             ha pronunciato la seguente                                                                           SENTENZA                             nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 13538/2011 promossa da:D. S. G. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio dell’avv. RONCHI UGO elettivamentedomiciliato in VIALE SPARTACO LAVAGNINI 41 FIRENZE presso lo studio  dell’avv. ALVARO FRANCESCO                                                                                                          ATTORE                                  Contro                             – DOTT. L. P. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio dell’avv. Alessandro Leonui e Tommaso Pratovecchi elettivamente domiciliati in Giambolognan.9 FIRENZE presso il loro studio                                    – ISTITUTO FIORENTINO DI CURA E ASSISTENZA S.p.a. – Casa di Cura “Ulivellae Glicini” (C.F. OMISSIS), in persona del legale rappresentante p.t. con il patrocinio degli avv. BALDUINI MARIA ESTER e VOLPINI MAURIZIO,elettivamente domiciliata in via Frusa 41 FIRENZE presso lo studio   dell’avv. VOLPINI MAURIZIO                                                                                                       CONVENUTI                                   Contro                             – DOTT. S. Z. (C.F. OMISSIS) con il patrocinio degli avv. BACCI DONATAe BACCI FRANCESCO elettivamente domiciliata in VIA C CASTRACANE 2 FIRENZEpresso lo studio degli avv. BACCI DONATA e BACCI FRANCESCO            – GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A. (PIVA OMISSIS), in qualità disocietà che ha la rappresentanza di GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., conil patrocinio dell’avv. CALUSSI CRISTIANO elettivamente domiciliata  in VIA NINO BIXIO 2 FIRENZE presso lo studio dell’avv. CALUSSI CRISTIANO- FONDIARIA SAI ASSICURAZIONI S.P.A. (P. IVA OMISSIS), in persona dellegale rappresentante, con il patrocinio degli avv. P. PAOLO e PARIGIANTONIO elettivamente domiciliata in VIA XX SETTEMBRE 6 FIRENZE pressolo studio degli avv. P. PAOLO e PARIGI ANTONIO                       – GENERALI ITALIA S.P.A. (P.IVA OMISSIS), già Alleanza Toro AssicurazioniS.P.A. con il patrocinio dell’avv. CARLO NARDI domiciliata in VIA DE SERVI 28 FIRENZE presso lo studio dell’avv. CARLO NARDI                                                            TERZI CHIAMATI IN CAUSA

Fatto
Svolgimento del processo

La controversia ha ad oggetto la domanda di accertamento dell’inadempimento della prestazione sanitaria di ambito oculistico oggetto della prestazione pattuita tra la signora G. D. S. come paziente e il dott. L. P. e l’Istituto Fiorentino di cura e assistenza S.p.a. – Casa di Cura “Ulivella e glicini” prima ed il dott. S. Z. poi. Le domande conseguenti all’accertamento dell’inadempimento sono rivolte ad ottenere la risoluzione del contratto di cura , il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Il presente giudizio viene instaurato nel mese di settembre 2011 dalla sig.ra G. D. S., nata nel 1947, che conviene in giudizio il Dott. P. e l’Istituto Fiorentino di cura e assistenza S.p.a. – Casa di Cura “Ulivella e glicini” per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi. Nello specifico parte attrice riferisce che si sottoponeva nei mesi di aprile e settembre 1992 a trattamenti chirurgici a entrambi gli occhi presso l’Istituto Fiorentino. Medico oculista della struttura privata era Dott. L. P.. Il 10.4.1992 veniva impiantato nell’OMISSIS destro una lente intraoculare (IOL) in camera anteriore (CA) in OMISSIS chirurgica. Successivamente (settembre 1992) veniva fatto un identico intervento all’OMISSIS sinistro. Nel 2001 lo IOL applicato in OMISSIS sinistro si dislocava, ragion per cui a dicembre dello stesso anno si procedeva al reimpianto dello stesso con fissazione OMISSIS, intervento questo eseguito dal dott. Z. presso il Centro Life Cronos di Prato. Il 21.2.2002, a seguito di un distacco di OMISSIS, segue ulteriore intervento in OMISSIS sinistro (OMISSIS della congiuntiva; cerchiaggio con bancarella in silicone; vitreoctomia via parsplana; endolaser PDMS). Il 14.3.2002 OMISSIS sinistro manifestava un OMISSIS e delle OMISSIS. Pertanto il 17.4.2002 si procedeva a revisione vitreoctomia in PVR. Nel 2003 segue la rimozione del tampone in OMISSIS sinistro presso clinica oculistica di Siena. Nel 2003 si sottopone a visita del dott. D. V., oculista e medico legale, il quale accerta che “a seguito dell’impianto secondario di cristallino artificiale in camera anteriore a correzione dell’OMISSIS chirurgica bilaterale di cui era portatrice si è determinata in OMISSIS sinistro la perdita completa della capacità visiva mentre in OMISSIS destro quale danno futuro la possibilità concreta di uno scompenso corneale”. Nel 2005 la signora D. S. notificava (al dott. P. e all’Istituto Fiorentino) una prima contestazione per richiesta risarcimento danni, ove contestava in particolare al Dr. P. la decisione di impiantare in OMISSIS sinistro una IOL in camera anteriore ove si evidenziava una distrofia corneale di tipo guttato, poichè avrebbe costituito fatto che ha indotto la complicanza della dislocazione del cristallino. Nel 2006, sempre presso la clinica oculistica di Siena, veniva eseguita cheratoplastica perforante per scompenso corneale, e nel maggio 2009 intervento di riposizionamento della IOL in OMISSIS destro (unico OMISSIS vedente). Il 13.5.2010 la sig.ra D. S. si sottoponeva a visita oculistica dello specialista dott. A.: “…Le condizioni attuali della paziente evidenziano la presenza di uno scompenso corneale incipiente in OMISSIS destro , unico OMISSIS vedente, testimoniato dalla presenza di una conta cellulare endoteliale ridotta con distrofia endoteliale “OMISSIS”, di un edema corneale subclinico e dalla necessità di instillare glucosio per mantenere una sufficiente trasparenza corneale. In OMISSIS sinistro il visus ridotto 1/50 risulta legato alle notevoli alterazioni a livello del nervo ottico e della OMISSIS legata ai ripetuti interventi eseguiti…. Si evince che il fattore scatenante la catena di eventi che in ultima analisi hanno determinato la grave riduzione visiva in OMISSIS sinistro sia stato il dislocamento della IOL con conseguente scompenso corneale… In conclusione si può affermare che la decisione di impiantare una IOL in camera anteriore in entrambi gli occhi in una paziente giovane (all’epoca 42 anni), già affetta da uveiti ricorrenti e sottoposta in età ancora più precoce ad intervento per cataratta presso un centro chirurgico estero all’avanguardia(Lione) nel settore sia stata quanto meno non sufficientemente ponderata, alla luce delle conoscenze dell’epoca che già avevano evidenziato i limiti di tale metodica. Non è possibile altresì fare ipotesi sulla presenza o meno di una distrofia corneale endoteliale all’epoca degli interventi eseguiti dal dott. P.. Tale aspetto clinico ora ben evidente in OMISSIS destro e che avrebbe rappresentato una controindicazione assoluta all’intervento potrebbe anche essere secondario ai fatti patologici e jatrogeni verificatisi nel corso degli anni. Occorre inoltre sottolineare come in alternativa all’intervento di sostituzione della IOL eseguito nel 2001 fosse possibile eseguire un semplice riposizionamento della IOL (come quello eseguito recentemente in OMISSIS destro a Siena), associando una sutura parziale dell’OMISSIS allo scopo di evitare una recidiva dell’evento”. Su tali basi parte attrice evidenzia che la relazione di A. conferma che si è verificato quanto prospettato da D. V..

Precisa poi che nel 2010 aveva proceduto a proporre ricorso per ATP, stante il paventato pericolo di uno scompenso corneale anche in OMISSIS destro , unico OMISSIS vedente. Non essendovi documentazione in atti del procedimento per ATP, parte attrice riferisce che si costituivano in tale sede i convenuti Casa di cura “Ulivella e Glicini” e il dott. P., i quali eccepivano, in via preliminare, rispettivamente la prescrizione e la carenza dei presupposti dell’ATP. Interveniva la Fondiaria Sai Spa, assicuratore della Casa di Cura “Ulivella e Glicini”, che, oltre ad eccepire l’intervenuta prescrizione, rilevava che l’istituto fiorentino era da considerarsi estraneo all’errata valutazione del dott. P. circa l’opportunità di eseguire l’intervento in quanto avrebbe agito in libera professione, non essendo mai stato dipendente dell’istituto fiorentino convenuto. Il procedimento per ATP veniva istruito con CTU del Dott. S. del 25.1.2011, il quale così statuiva: “…la totale perdita della capacità visiva in OMISSIS sinistro ed in OMISSIS destro un glaucoma post chirurgico ed una distrofia corneale incipiente che potrà dare un futuribile scompenso corneale, come già accaduto in OMISSIS sinistro, è totalmente ascrivibile all’iter clinico chirurgico cui la stessa si è sottoposta, la correzione chirurgica effettuata dal dott. P….è stato il primum movens dello scompenso endoteliale, poi cronicizzato, che ha indotto la cheratoplastica perforante. Tale intervento non si è risolto con un recupero visivo, viste le complicazioni anatomopatologico retiniche e del nervo ottico intervenute. Il distacco retinico in OMISSIS sinistro è ascrivibile, come effetto collaterale, al reimpianto…questa situazione… potrà condurre in futuro anche ad altra cheratoplastica anche in OMISSIS destro ….ravvisare unicamente nell’operato del dott. P. la causa di tutte le problematiche anatomofunzionali successive all’iter clinico chirurgico e di tutte le conseguenze anatomopatologiche acquisite come invalidità permanente intorno al 34% (danno biologico)”. Il Dott. P. contestava la CTU S. poichè apodittica e contraddittoria, di conseguenza non veniva raggiunta una conciliazione.

Dopo tali premesse parte attrice, nell’odierno procedimento, affermava che la prescrizione decennale non sarebbe intervenuta, in quanto avrebbe avuto consapevolezza del danno solo nel 2001, quando si verificava la dislocazione dello IOL in OMISSIS sinistro e che il 21.12.2001 era stato effettuato l’intervento errato di reimpianto in OMISSIS sinistro di un nuovo IOL in sospensione OMISSIS, con conseguente distacco della OMISSIS fino a perdita completa della capacità visiva. Pertanto chiedeva di condannare in solido il dott. L. P. e la Casa di cura al risarcimento dei danni, precisando che entrambi i convenuti rispondevano nei confronti della paziente, a titolo contrattuale, benchè non sussistesse un rapporto di lavoro subordinato e vincolo di dipendenza, e, nello specifico, (rifacendosi a Cass. 6945/2007) la casa di cura risponde ex art. 1228 c.c. e il medico ex art. 1218 c.c.. A titolo di danno non patrimoniale per l’OMISSIS sinistro la richiesta ammontava ad Euro 253.603,75, comprensivo di danno biologico, della sua personalizzazione e del danno morale. Per l’OMISSIS destro chiedeva che il danno non patrimoniale futuro venisse valutato con giudizio probabilistico. Infine per il danno patrimoniale Euro 7.844,38.

Si costituiva la Casa di cura insistendo nell’eccezione di prescrizione e nella sua estraneità ai fatti per cui è causa, e in ogni caso asserendo che non poteva esservi sua responsabilità ex art. 1228 c.c.. Chiedeva di essere tenuta indenne e manlevata dal dott. P., in ogni caso precisando di non poter essere chiamata a rispondere dei danni derivati dagli interventi eseguiti dopo il 1992 al di fuori della Casa di cura stessa, presso altre strutture ospedaliere. Contestava la CTU S., il quantum debeatur richiesto da parte attrice, ed infine chiamava in causa la propria compagnia assicurativa Fondiaria Sai Assicurazioni SpA.

Si costituiva il dott. L. P. sollevando anch’egli, in via preliminare, l’eccezione di prescrizione. Eccepiva di seguito l’infondatezza della domanda attorea osservando che le considerazioni svolte dal CTU sarebbero state contraddittorie e non condivisibili poichè non avrebbero dato atto che l’intervento effettuato dal dott. Z. nel dicembre 2001 aveva preceduto la perdita totale del visus, evento che non si sarebbe verificato in OMISSIS destro , ove tale secondo intervento non era stato fatto, dovendosi perciò riconoscere che fatti sopravvenuti avevano contribuito al verificarsi dello stato di danno all’OMISSIS sinistro, entrando quindi in contraddizione con la conclusione che la sola condotta del dott. P. sarebbe stata la causa di tutte le problematiche. Nel merito produceva bibliografia del 1996 che considera l’impianto secondario di IOL come una sicura soluzione persino per i bambini se mal tolleranti gli occhiali o le lenti a contatto, proprio come era avvenuto nel caso di specie, dove la sig. D. S., a distanza di dieci anni da un intervento non risolutivo eseguito a Lione agli inizi degli anni 80, non riusciva più a portare occhiali o lenti a contatto. Eccepisce che il CTU non ha fatto riferimento a scelte terapeutiche alternative, quando invece: “Le problematiche sono insorte in OMISSIS sinistro solo dieci anni dopo e l’attuale stato dell’OMISSIS sinistro deve essere ricondotto al successivo intervento, del 2001, di reimpianto del cristallino, non eseguito dall’odierno convenuto”. Alla luce di tali considerazioni il dott. P. chiamava in causa il dott. Z. e la propria compagnia assicuratrice Le Generali a titolo di manleva. Infine contestava il quantum: il danno in OMISSIS destro sarebbe stato insussistente.

Si costituiva Fondiaria Sai Assicurazioni SpA , la quale escludeva una qualsiasi responsabilità del proprio assicurato Casa di Cura in quanto la paziente avrebbe concluso un contratto di prestazione d’opera intellettuale esclusivamente con il Dott. P., al quale infatti ha direttamente corrisposto l’onorario dovuto, operando questi in libera professione. Rilevava poi che l’attrice contestava esclusivamente la condotta del dott. P., ovvero l’inopportunità della scelta tecnica operatoria da lui adottata, mirando ad ottenere il solo accertamento della sua colpa per non aver adeguatamente valutato la “migliore tecnica” al momento conosciuta. Insisteva nel ritenere che la metodica, sbagliata, scelta dal dott. Z. – reimpianto IOL a sospensione OMISSIS in OMISSIS sinistro- aveva interrotto il nesso causale limitando (per la casa di cura) il danno dal 1992 al 2001. Si costituiva Generali eccependo in via preliminare la prescrizione. Si costituiva il dott. Z. chiamando in causa la propria assicurazione Alleanza Toro spa. Eccepiva la prescrizione della chiamata in causa in quanto l’intervento avente ad oggetto il distacco della OMISSIS è stato da lui effettuato nel dicembre 2001 mentre la notifica dell’atto di citazione per chiamata in causa di terzo è del 28 maggio 2012. Riteneva poi sproporzionata la percentuale di danno riconosciuto, anche alla luce del fatto che il danno è comunque dovuto da preesistente patologia che affliggeva la D. S. (uveite cronica che ha portato la D. S. ad operarsi a Lione nel 1983). Precisa poi che il dottor P., dopo aver operato nel 1992 la paziente, sottoponeva nel 2001 la stessa a valutazione del Dott. Z., il quale rilevava che “…la paziente presentava nell’OMISSIS in questione una lesione corneale dovuta ad un impianto di lente non correttamente dimensionato. La suddetta, inserita nel 1992 dal dott. P., si presentava sottodimensionata rispetto allo spazio che avrebbe dovuto impegnare”, con conseguente edema corneale. Il dott. Z. riferiva che, per evitare un trapianto di cornea (che ha una durata media di 10 anni e pertanto in pazienti giovani si cerca di rimandare il più in là possibile, anche perchè un successivo trapianto presenta maggiore rischio di rigetto, rischio elevatissimo in paziente affetta da uveiti), proponeva alla signora di togliere la lente per reimpiantarne un’altra con tecnica a sospensione OMISSIS allo scopo proprio di tenerla lontana dalla cornea. E aggiungeva che nel postoperatorio veniva poi seguita dal proprio medico di fiducia dott. P..

Si costituiva Alleanza Toro Spa eccependo, in via preliminare, la prescrizione della domanda attorea, nonchè la sua infondatezza nel merito in quanto l’intervento del dott. P. e del dott. Z. sono stati eseguiti in conformità alle “leges artis”.

Nelle more del giudizio (2012) viene eseguito a Siena, dal prof. Caporossi, un reimpianto a sospensione OMISSIS in OMISSIS destro . Il 25.2.2013 seguiva pertanto un’altra perizia del dott. A. per valutare l’intervento e i probabili esiti.

Seguiva lo scambio di memorie fra le parti in causa.

Parte attrice precisa le sue deduzioni e la domanda: il danno in OMISSIS sinistro (OMISSIS) e il rischio attuale di OMISSIS in OMISSIS destro (danno in fase di evoluzione) e la catena di eventi successivi, sono causati dagli interventi eseguiti nel 1992 dal dott. P., a causa della sua condotta errata (scelta di posizionare in una paziente affetta da uveite in OMISSIS sinistro e in OMISSIS destro una IOL in corrispondenza di una OMISSIS con relativo trauma cronico indotto dalla presenza di una lente in CA e susseguente danno a livello corneale, quale drastica diminuzione di cellule endoteliali che sono elementi perenni non in grado di riprodursi). Responsabilità degli scompensi corneali in entrambi gli occhi è ascrivibile unicamente al dott. P., mentre i successivi interventi, vuoi con riposizionamento, vuoi con reimpianto a sospensione OMISSIS, rientrano nella cura del danno e non nei fatti successivi tali da interrompere la sequenza causale così accertata. Si riportava al petitum dell’atto di costituzione chiedendo però che in ipotesi, nel caso di responsabilità concorrente o esclusiva del dott. Z., fosse condannato anche lui al risarcimento del danno. Pertanto chiedeva una CTU, volta ad accertare, fra le altre cose, se l’intervento del dott. Z. fosse improntato alla migliore pratica medica e se abbia interrotto il nesso causale tra la condotta del dott. P. e l’evento .

Il dott. P. nel sostenere la responsabilità del dott. Z. si domanda perchè identici interventi eseguiti dal P. in entrambi gli occhi nel 1992 hanno portato solo l’OMISSIS sinistro alla OMISSIS in seguito ad intervento nel 2001 con reimpianto a sospensione OMISSIS, mentre l’OMISSIS destro, correttamente trattato presso Siena nel 2009 con semplice riposizionamento ha mantenuto a lungo inalterata la sua capacità visiva.

Il dott. Z. per contro ribadiva le considerazioni svolte in comparsa di costituzione, aggiungendo che l’insorgenza di complicanza (distacco di OMISSIS) sarebbe stata compatibile con l’intervento eseguito.

All’udienza dell’11.12.13 il giudice, su istanza dell’avv. B., ordinava a parte attrice di produrre entro l’1.3.14 la documentazione medica relativa agli interventi precedenti (Lione).

La causa veniva istruita con CTU medico-legale della Dott.ssa M. P. di Genova depositata il 21.11.14, nella quale faceva presente che agli atti mancavano 1- documentazione medica relativa ai due ricoveri di Lione del 1982-1983 interventi per cataratta ad entrambi gli occhi (di cui non è possibile accertarne la causa). 2-referti esami diagnostici per interventi inserimento di IOL in entrambi gli occhi (OO) descritti nelle cartelle cliniche dell’istituto fiorentino necessari alla programmazione dei due interventi stessi (interventi aprile e settembre 1992). 3- certificati Dott. P. del 7.5.2002 e del 18.10.2002 citati in relazioni peritali del dott. D. V. e nell’elaborato peritale in ATP del dott. S.. Seguiva lo scambio delle comparse conclusionali.

Diritto
Motivi della decisione

La domanda attorea è infondata e va respinta per i motivi che seguono.

1- Sulla prescrizione dell’azione di risarcimento dei danni

La prescrizione decorre, ai sensi dell’art. 2935, “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” e quindi dal momento in cui l’evento dannoso viene ad esistenza o si appalesa come tale. Nell’ambito della responsabilità medica, in particolare, il computo del termine di prescrizione deve, di norma, cominciare dal giorno in cui si sia verificata la lesione (intervento chirurgico sbagliato, dimissione dall’ospedale con diagnosi errata ecc.). Non così però se il paziente non si sia accorto immediatamente del danno subito: in tal caso il tempo della prescrizione decorre dal giorno in cui i sintomi si rendono evidenti e collegabili a quella specifica prestazione medica.

Nel caso di specie il diritto posto a fondamento dell’azione di risarcimento danni esercitata da parte attrice nel 2011, nei confronti dei convenuti, Casa di Cura “Ulivella e glicini” e dott. P. non è da considerarsi prescritta. La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento sorga nel momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (C. 5913/2000; C. 7937/2000; C. 13/1993; oltre, come citata da parte attrice, Cassazione 9524/2007: “in tutti i casi in cui la manifestazione del danno non sia immediata ed evidente e possa apparire dubbia la sua ricollegabilità eziologica all’azione di un terzo, il momento iniziale dell’azione risarcitoria va ricollegato al momento in cui il danneggiato ha avuto la reale e concreta percezione dell’esistenza e della gravità del danno stesso, nonchè della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero dal momento in cui avrebbe potuto pervenire a una siffatta percezione usando la normale diligenza”). Nel caso di specie parte attrice individua tale momento nel 2001, quando la IOL in OMISSIS sinistro ha visto il dislocamento e dunque conseguente intervento di reimpianto, e afferma di aver interrotto così il decorso del termine prescrizionale con la notifica della citazione al nono anno dalla manifestazione del danno stesso. In ogni caso il termine decennale era stato interrotto nel 2005 con una prima richiesta di risarcimento danni in via stragiudiziale ai convenuti dott. P. e Casa di cura “Ulivella e glicini”, e in seguito con il ricorso ex art. 696 c.p.c. avente lo stesso oggetto.

2- Sulla responsabilità dell’Istituto Fiorentino

La domanda principale di condanna al risarcimento danni nei confronti dell’istituto fiorentino non può essere accolta.

Va preliminarmente chiarito che la controversa questione fra le parti in causa convenute (il dott. P. e la Casa di cura) in ordine alla natura del rapporto di lavoro tra loro intercorrente è irrilevante, posto che la più recente dottrina e giurisprudenza tendono a parificare il caso del medico che opera all’interno e quale dipendente di una struttura sanitaria pubblica con il caso del medico che opera, anche in libera professione, all’interno di una struttura sanitaria privata, indipendentemente, appunto, dal vincolo che lega i due soggetti giuridici, ponendo in ogni caso a carico delle predette strutture una responsabilità, in caso di inadempimento da parte del medico che causi un danno al paziente, di natura contrattuale. Nè vale dissertare se la paziente abbia concluso un contratto di ricovero con la struttura privata rivolgendosi direttamente ad essa o tramite il dott. P..

La giurisprudenza ha infatti assunto che la natura del rapporto contrattuale tra le parti e della conseguente responsabilità che ne deriva, non muta in base alle modalità di ricovero. Il paziente, infatti, sia se si rivolge direttamente alla struttura privata per l’esecuzione del contratto avente ad oggetto la prestazione di ricovero per assistenza terapeutica, sia se si rivolge indirettamente ad essa su consiglio del medico, sia se sceglie direttamente il medico quale professionista esecutore della prestazione medica anche al di fuori dell’organizzazione della struttura privata che provvede a concludere il contratto di ricovero con la struttura privata, stipula con quest’ultima sempre e comunque un contratto avente ad oggetto la prestazione di ricovero per assistenza terapeutica. La natura contrattuale della responsabilità della struttura privata deriva, quindi, dalla qualificazione del contratto, avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica, quale obbligazione soggettivamente complessa con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta. Il contratto avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica costituisce un negozio atipico: l’interesse del paziente (che è quello di farsi curare) non rimane appagato con l’apprestamento dei locali, l’erogazione dei servizi alberghieri e di assistenza e con la messa a disposizione degli strumenti e delle apparecchiature sanitarie, ma riceve integrale soddisfazione soltanto con la contestuale esecuzione della prestazione professionale del medico, anche se di fiducia del paziente e scelto al di fuori dell’organizzazione della struttura privata (Cass. 14/6/2007 n.13953).

Ciò su cui si deve porre attenzione è che la giurisprudenza afferma tale corresponsabilità della struttura privata insieme al medico che ivi opera (anche in libera professione) per sostenere che la responsabilità della struttura privata nei confronti del paziente ricoverato è sempre di natura contrattuale, ma soprattutto che può conseguire solo nelle due ipotesi che seguono: a) ai sensi dell’art. 1218 cc., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico quali, oltre a quelle di tipo lato sensu alberghiere, quelle di messa a disposizione di tutte le attrezzature necessarie all’intervento chirurgico richiesto, che devono essere idonee, adeguate e regolarmente funzionanti; b) ai sensi dell’art. 1228 cc., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dai sanitari e dal personale medico, quali suoi ausiliari necessari pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata (nei locali di sua proprietà) e la sua organizzazione aziendale, anche e non solo in relazione al mero utilizzo dei locali o delle attrezzature.

E’ evidente dunque come nel caso di specie non si rientri nelle due ipotesi ora citate, al ricorrere delle quali si può affermare la responsabilità della struttura sanitaria. La giurisprudenza riportata tuttavia non è calzante nel caso di specie. Nella presente causa non è contestato infatti da parte attrice nè una pericolosità, inadeguatezza, non funzionalità dei mezzi adoperati, nè la non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico (questa casomai viene contestata da Z., infatti è oggetto di CTU). Ciò che parte attrice contesta al dott. P., altro non è che una errata scelta operativa, ovvero l’inopportunità di impiantare una IOL in CA. Secondo parte attrice, dunque, l’errore di P. sta a monte, nella fase iniziale della sua attività di medico, ovvero nel momento in cui, dopo la visita e una conseguente diagnosi sulla paziente, va a valutare quale operazione sia meglio eseguire, fra le diverse alternative. La conferma si trova nella prima memoria di parte attrice quando rileva che nel merito della questione il dott. P. non contesta nè il fatto di aver operato la paziente, nè l’approccio terapeutico da lui seguito, nè le conseguenze attuali (perdita capacità visiva in OMISSIS sinistro, insorta nel 2001, e glaucoma post-chirurgico in OMISSIS destro ). Nessun riferimento vi è negli atti di parte attrice in ordine a una carenza o mal funzionamento di strumenti, nè a una negligenza, imperizia, imprudenza del dott. P. nell’esecuzione dell’impianto IOL. Ed ancora, nella comparsa conclusionale, parte attrice ravvisa la colpa del dott. P. esclusivamente nella scelta da lui stesso consigliata al paziente ed adottata: la difesa di parte attrice afferma che “alla luce delle osservazioni del dott. Caporossi circa le complicanze della IOL in CA e in CP la scelta ottimale per la p. sarebbe stata di non fare proprio niente”.

Ad avviso del giudicante non può infatti essere mosso alcun addebito alla struttura privata presso la quale opera il medico ogni qual volta un paziente non condivida, ex post, la scelta operativa del medico stesso presa ancor prima del contatto tra struttura e paziente nell’ambito di un rapporto esclusivo, negoziale e privato tra medico e paziente.

A meno che non vi sia stato una necessità di verifica di controllo da parte della struttura privata presso cui il medico va ad operare.

Se una scelta sbagliata in tal senso possa essere eventualmente accertata, nel senso che il medico, se avesse percorso una strada diversa ( quella di non operare od operare con diversa metodica) non avrebbe arrecato alcun danno al paziente, tale responsabilità non può che ricadere esclusivamente sul medico che tale scelta errata ha operato perchè è una scelta che prescinde in quanto precede cronologicamente ma anche logicamente il rapporto tra paziente e struttura sanitaria. Come sostiene anche parte attrice, nella sua prima memoria, “la scelta del percorso medico è riservata al sanitario”; ed è sempre parte attrice ad affermare che l’istituto fiorentino, in quanto struttura sanitaria che accoglie vari soggetti, fra cui i medici, “è corresponsabile in particolare quando accoglie un medico ad operare e questi opera male (ex art. 2049 c.c.)”. Ma ad avviso del giudicante questa delimitazione è certamente corretta ma porta ad escludere la responsabilità della struttura privata quando il medico nell’esclusivo rapporto con il paziente che si rivolge direttamente a lui nel suo studio privato e non alla e nella struttura sanitaria privata sceglie un percorso sanitario ( rivelatosi dannoso ) fra i differenti percorsi terapeutici alternativi. Già nella sentenza n. 3574/2014 pubblicata dal Tribunale di Firenze il 18/11/2014, a definizione della causa RG n. 20920/2009, questo giudice ha affermato che la Casa di Cura non può rispondere delle scelte che il chirurgo ha fatto prima dell’intervento, ( nelle specie si trattava di errata progettazione e controllo della protesi appositamente realizzata dalla casa di produzione ma risultata inadeguata, attività queste tutte ritenute nel caso specifico estranee a quelle svolte sotto la responsabilità della Casa di cura che pure ha ospitato l’operazione ).

C’è stata , in verità una contestazione in punto di colpa professionale operativa addebitata al dott. P., da parte del CTP di parte attrice dott. A., il quale, nel tentativo di trovare una “crepa” nelle considerazioni scritte nella relazione peritale della CTU Dott.ssa P. (svolte con argomentazioni di natura rigorosamente logica e mai contraddittorie) si “aggancia” alla contestazione mossa dal dott. Z. in ordine ad un eventuale sottodimensionamento della lente usata dal dott. P. per l’impianto di IOL.

Tuttavia di tale sottodimensionamento non vi è alcun riscontro obiettivo.

Si tratta di un’argomentazione difensiva proposta dal dott. Z. nei confronti del dott. P. che lo ha chiamato in causa e ripreso solo successivamente dalla difesa di parte attrice, senza che la circostanza abbia avuto riscontro probatorio.

3 – Sulla responsabilità medica del dott. P. e del dott. Z.

Una tale responsabilità non sussiste per entrambi.

La CTU mette chiaramente in luce la correttezza nell’esecuzione di tutti gli interventi eseguiti sulla paziente da parte tanto del dott. P. nel lontano 1992 che del dott. Z. nel 2001. Nessun rimprovero può essere mosso loro. Entrambi i medici si sono attenuti ai canoni della migliore scienza ed esperienza medica conoscibile all’epoca dei fatti.

“Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico – chirurgica, l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno. Ne consegue che se, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, tale incertezza ricade sul paziente e non sul medico” (Cass. civ. Sez. III, 26-02-2013, n. 4792).

I convenuti hanno dimostrato nel caso in esame la insussistenza del proprio inadempimento, come risultante dagli esiti della CTU che esclude analiticamente la negligenza, imperizia, imprudenza da parte di entrambi i medici in base ad una valutazione che contestualizza il fatto in relazione alla scienza ed alle tecniche mediche allora conosciute. E’ convincimento di questo giudice, alla luce di un’attenta valutazione degli atti di causa, fra cui la precisa, meticolosa ed esauriente, nonchè priva di vizi di logici, relazione peritale della CTU dott. P., che nel caso di specie le lesioni oggi riportate dalla sig. D. S. non siano causalmente riferibili alla condotta dei due medici, bensì alla catena di interventi eseguiti sugli occhi della stessa dal 1992 in poi e resi necessari da complicanze non evitabili. Nessun errore terapeutico è ravvisabile nelle scelte dei due medici per le ragioni che si espongono.

In particolare va detto che la collaborazione stretta tra CTU medico legale esperto in materia di responsabilità professionale e il medico specialista del settore ( dott. D. P. ) è presupposto indefettibile per pervenire ad una ricostruzione corretta degli elementi tecnici che integrano la fattispecie. In particolare per la ricostruzione delle regole di condotta cui sono obbligati gli operatori, per la individuazione delle condotte causalmente collegate all’evento dannoso, per la individuazione delle condotte che avrebbero evitato di produrre l’evento dannoso.

Per questo il fatto che all’interno del rapporto di collaborazione tra specialista ausiliario e ctu medico legale si siano ripartiti i compiti per poi far confluire in un unico elaborato l’analisi tecnico scientifica del caso è scelta meritoria che , il risultato lo evidenzia, ha prodotto un esito particolarmente apprezzabile.

Entrando nel merito la relazione del CTU evidenzia che il caso clinico della signora D. S. meritava particolare attenzione in considerazione della storia clinica oculistica, “piuttosto ricca di problematiche” come si legge a pag. 35 della relazione. In ordine alla scelta chirurgica effettuata dal dott. P. ( e dunque in ordine alle norme di comportamento comunemente adottate e conosciute al momento dei fatti per cui è causa e che gli operatori sanitari dovevano seguire) la CTU ha affermato che “ all’epoca in cui la paziente è stata visitata dal dott. P. era prassi normale proporre a tali soggetti l’introduzione di un cristallino artificiale anteriore , “trattandosi di un intervento tecnicamente facile e le cui complicanze si manifestavano solitamente molti anni dopo l’intervento” ( cfr. pag. 36 della relazione ).

La signora D. S. aveva subito intervento bilaterale di cateratta nei primi anni 80 era pertanto afachica in entrambi gli occhi a seguito di estrazione OMISSIS con asportazione del cristallino . L’intervento di impianto di IOL era all’epoca dei fatti una metodica “pratica comune e ampiamente preferita dai chirurghi “. Ed anche i dati di letteratura scrive il CTU sembrano indicare una migliore prognosi per le IOL impiantate in camera anteriore in soggetti , come la signora D. S., affetta da uveiti ricorrenti ( pag. 37 della relazione ). In ogni caso si trattava di un intervento eseguito per ovviare ai fastidi e ai disagi per l’antiesteticità del supporto di occhiali con lenti molto spesse, per l’aberrazione ottica che tali lenti possono causare, o più semplicemente nel caso di pazienti che non tollerano lenti a contatto (quali “motivazioni che spingevano i pazienti a sottoporvisi”), nonchè per la perdita estremamente marcata di acuità visiva, (quali “motivazione che spingeva i medici a proporre tale intervento”.

Vero è che agli oculisti era ben presente anche al tempo che l’intervento di impianto IOL andava inevitabilmente ad intaccare parti anatomiche di rilevante importanza funzionale dell’OMISSIS, e in generale della sua struttura, ma è altrettanto vero che tali conseguenze, con un bilanciamento dei pro e dei contro, venivano solitamente accettate, considerate come sopportabili, tanto da giustificare la frequenza, in quell’epoca (infatti “La chirurgia refrattiva ha visto solo negli ultimi anni un sostanziale miglioramento delle tecniche, specialmente quelle basate su impianto di IOL (miglioramento biomateriali e strumenti chirurgici sempre più perfezionati)”), di tale tipo di intervento nel campo dell’oculistica su pazienti affetti da problemi quali quelli riportati sulla sig. D. S..

Come si legge nella relazione del CTU “Nel contesto storico del caso de quo, l’applicazione delle lenti in camera anteriore era certamente pratica molto comune, operatività clinica più semplice e meno aggressiva, corroborata da maggior base di casi clinici a lungo termine, tanto da essere ancora la scelta chirurgica prevalente per interventi di impianto di IOL secondarie in soggetti afachici (Hahn et al, J. Catarct Refract Surg, 1992)” ( cfr relazione a pagina 42 ). E ancora: “All’epoca in cui la p. fu visitata dal dott. P. era prassi normale proporre a tali soggetti” (pazienti affetti da uveiti ricorrenti, anche dette iridocicliti) “l’introduzione di un cristallino artificiale in camera anteriore, trattandosi di un intervento tecnicamente facile e le cui complicanze si manifestavano solitamente molti anni dopo l’intervento” nonchè “pratica comune e ampiamente preferita dai chirurghi, perchè meglio codificata e caratterizzata da più solide basi di esperienza clinica ed anche perchè questo tipo di IOL era ed è di agevole rimozione, tenuto conto anche del fatto che la chirurgia degli anni ’80 aveva prodotto moltissimi pazienti afachici” come nel caso della D. S. che “nell’82-83 fu sottoposta a intervento di estrazione OMISSIS della cataratta, ossia estrazione in toto del cristallino catarattoso, senza introduzione del cristallino artificiale perchè non esisteva o era agli albori.”).

La CTU riferisce che la pregressa storia clinica di uveiti ricorrenti non costituiva e non costituisce controindicazione assoluta a tale tipo di intervento (“Verificata l’assenza di situazioni patologiche che costituiscono controindicazione assoluta ad un impianto di una IOL (nel contesto storico del caso de quo la negatività per diabete ed ipertensione”), anzi “Ex post, i dati di letteratura sembrano indicare una migliore prognosi per le IOL impiantate in camera anteriore in soggetti affetti da uveiti ricorrenti”, e in ogni caso “La stessa presenza di iridocicliti ricorrenti è un mero dato anamnestico privo di prova documentale, che non ci permette di stabilire quanti episodi si siano manifestati prima degli interventi di cataratta, con che frequenza e se essi si siano ripresentati anche dopo gli interventi stessi” (quelli eseguiti a Lione nell’82-83, cfr. pag. 53 della relazione del CTU, grassetto del giudice ). Secondo la relazione del CTU la scelta di impiantare IOL in camera anteriore, alla luce delle conoscenze dell’epoca, non è censurabile, infatti sebbene tale impianto possa essere seguito da una maggiore incidenza di complicanze, queste sono in massima parte reversibili, insorgono per lo più a distanza di diversi anni dall’impianto e le lenti possono essere agevolmente riposizionate o sostituite “e comunque pienamente accettabile in termini di calcolo del rapporto rischi/beneficio”. In essa si afferma in particolare che “la dislocazione della IOL di camera anteriore non può certamente essere classificata, come vorrebbe il Dott. A., tra “le complicanze potenzialmente devastanti” essendo possibile in questi casi reintervenire con diversi approcci (riposizionamento, sostituzione sempre in camera anteriore, sostituzione con sospensione OMISSIS, semplice rimozione della IOL) senza una significativa compromissione funzionale (come peraltro dimostra la stessa storia clinica della paziente in OMISSIS destro ) ed in molti casi senza alcun tipo di sequela anche biologica”.

Per quanto riguarda la possibile alternativa su cui poteva indirizzarsi il dott. P., ovvero impianto di IOL OMISSIS in camera posteriore, precisa la CTU che “era ancora uno sviluppo tecnologico di là da venire. In effetti, sebbene tale tipo di intervento fosse già stato descritto in alcune pubblicazioni scientifiche, le tecniche chirurgiche, i materiali, e le casistiche disponibili non erano ancora tali da poterne fare un intervento di routine”, insomma era una metodica ancora in fase embrionale. Come evidenziato dalla CTU ben oltre il 1992 la letteratura scientifica internazionale non era concorde nè univoca nell’indicare un netto vantaggio a favore di un approccio chirurgico o dell’altro nella soluzione di quadri clinici quali quelli della paziente, tanto che ancora attualmente tale dibattito trova spazio nelle riviste internazionali. E per finire, rileva che alla luce della situazione clinica in OMISSIS destro , che si è mantenuta più che buona per diverso tempo, ( venti anni ) nonostante i vari interventi su di esso subiti “non fa che confermare la correttezza delle scelte terapeutiche effettuate dal dott. P. nel 1992”.

Quanto all’età (quale controindicazione in presenza della quale il medico avrebbe dovuto sconsigliare di effettuare l’intervento) la CTU fa notare che letteratura si riferisce a soggetti di giovane età o prossimi all’età adulta (e non di mezza età come era la paziente, che, all’epoca dei fatti, aveva OMISSIS anni).

In ordine al dislocamento della IOL in OMISSIS sinistro (e dunque in ordine alla correttezza nell’esecuzione dell’intervento) la CTU sostiene che si tratta di complicanza che è possibile in questi interventi, e può dipendere da numerosi fattori: quelli dipendenti da un errore nella fase chirurgica (posizionamento errato, IOL troppo piccola o troppo grande, lesione dei tessuti nella sede di ancoraggio) o da difetti della lente (difetti strutturali del loop) hanno elevatissima probabilità di verificarsi precocemente, mentre quelli dipendenti da altre cause (traumatismi, sfregamento dell’OMISSIS, alterazioni tissutali nella sede di ancoraggio delle loop) hanno maggiore probabilità di verificarsi a maggiore distanza dall’intervento.

In letteratura la maggior incidenza degli eventi dislocativi tardivi si avrebbe a circa 8 anni e mezzo dall’impianto. Nel caso di specie il dislocamento della IOL in OMISSIS sinistro è avvenuto dopo 9 anni dall’intervento, quello in OMISSIS destro dopo 17 anni. Pertanto, considerato il lungo tempo trascorso dall’intervento, si ritiene siano da escludere quelli relativi ad errori chirurgici, a complicanze intraoperatorie, a difetti strutturali della lente (come un marcato errore di dimensionamento della IOL).

Sarebbe totalmente infondato ed irragionevole muovere un addebito nei confronti del dott. P. per aver effettuato una scelta negligente, imprudente, e soprattutto imperita (“Le scelte chirurgiche sono state corrette, il risultato degli interventi è stato funzionalmente valido, le complicanze insorte a distanza di 9 e 17 anni dagli interventi sono state trattate in accordo con le indicazioni della letteratura e le condizioni patologiche che ne hanno minato il risultato non erano evidenti nè conosciute quando si è manifestata la prima complicanza in OMISSIS sinistro”).

Visto che nel caso di specie una IOL si è dislocata a distanza di 9 anni, ciò dimostra che “il dott. P. ha lavorato come la media dei chirurghi oculisti che eseguivano lo stesso tipo di interventi” (“…gli interventi…furono eseguiti in modo corretto ed ebbero un esito favorevole”; “più probabile l’ipotesi che modificazioni tissutali in camera anteriore o eventi accidentali (traumi, sfregamento dell’OMISSIS) possano aver contribuito allo spostamento della lente per perdita di ancoraggio marginale (si ribadisce a tal fine che l’evento si è verificato in una linea temporale congruente con quella riportata dalla letteratura scientifica per tale tipo di lenti, non potendosi con ciò pensare che tutti i chirurghi oculisti inseriscano lenti sottodimensionate)”; ed ancora a conferma: “Al di là di tutto resta l’obiettiva constatazione che, dopo l’intervento eseguito dal dott. P., l’insorgenza di una mobilizzazione della IOL a 17 anni di distanza dall’inserimento, il suo riposizionamento e la sua successiva sostituzione con IOL a sospensione OMISSIS (interventi eseguiti a Siena), il visus in OMISSIS destro è attualmente buono e certamente migliore di quello rilevato prima dell’intervento del dott. P.. L’attuale situazione di OMISSIS destro dipende principalmente dalla presenza di una patologia degenerativa che si è manifestata ben dopo l’intervento del dott. P. e che quindi lo stesso non poteva prevedere mentre la presenza di glaucoma non può essere ricondotta all’operato del dott. P..”).

In ordine alla scelta chirurgica operata dal dott. Z. la CTU precisa che, considerate le condizione dell’OMISSIS sinistro (presenza di sofferenza endoteliale), il semplice riposizionamento della IOL in CA o la sua sostituzione con un’altra in identica posizione non erano soluzioni percorribili a causa dell’elevato impatto di questo tipo di lenti sulla componente endoteliale. Non percorribile era anche l’ipotesi di rimuovere la IOL e non sostituirla; questo avrebbe comportato rinunciare alla funzione di OMISSIS sinistro poichè la differenza dimensionale delle immagini fornite dalla IOL in OMISSIS destro non poteva venir corretta nè con un occhiale nè con una lente a contatto. “L’unica soluzione percorribile, come peraltro conferma quanto avvenuto in OMISSIS destro , era quella di sostituire la IOL con una a sospensione OMISSIS in camera posteriore, sebbene tale intervento fosse tecnicamente più complesso e non scevro di complicanze tra cui il distacco di OMISSIS ed il glaucoma”. Pertanto la scelta del dott. Z. non è censurabile, infatti “in cartella clinica è registrata la presenza di edema corneale e risentimento endoteliale; in questi casi la rotazione della lente e l’applicazione di una sutura per ridurre le dimensioni dell’iridectomia sarebbe certamente stato un intervento meno traumatico ma la presenza della patologia corneale era certamente un’indicazione ad agire diversamente”.

In ordine alle complicanze (distacco di OMISSIS) intervenute (e dunque in ordine alla correttezza nell’esecuzione del reimpianto IOL a sospensione OMISSIS) la dott.ssa P. precisa: “Gli eventi verificatisi dopo il primo intervento del dott. Z. sono descritti dalla letteratura internazionale fra le possibili e principali complicanze di questo tipo di interventi e la loro insorgenza non può essere considerata evidenza di un errore professionale. Ciascuno degli interventi…era indicato…le procedure operatorie descritte nelle cartelle cliniche sono conformi alle procedure operative standard in questi casi. Il fallimento degli interventi, in assenza di evidenze di errori tecnici compiuti dal chirurgo, non può essere considerato profilo di colpa professionale. Le condizioni di sofferenza dell’OMISSIS sinistro per tutta la pregressa vicenda clinica e per l’esistenza di una condizione patologica di base, si ribadisce molto probabilmente non evidente clinicamente all’epoca del primo intervento …, hanno certamente contribuito a determinare questa catena di eventi senza che per questo nell’accaduto si possano o si debbano necessariamente identificare elementi di responsabilità professionale nell’operato dei due chirurghi”, e ancora: “…si deve comunque ribadire che il distacco di OMISSIS è una delle possibili evenienze che complicano gli interventi di chirurgia refrattiva e non costituisce di per sè elemento di colpa professionale.”

D’altronde parte attrice stessa, in memoria n.1, rifacendosi alla precedente CTU S. del procedimento di ATP, sostiene che le complicanze (distacco di OMISSIS in OMISSIS sinistro avvenuta nel 2002 successivo all’intervento Z.) non sono in grado di interrompere il nesso di causa in quanto sono da ascriversi alla categoria di eventi probabili, e che ad oggi l’intervento del dott. Z. risulta essere un approccio terapeutico non più criticabile, anzi oggi diffusamente seguito (anche dal Prof. Caporossi, esperto di fama nazionale, che nel 2012 ha proceduto a reimpianto IOL a sospensione OMISSIS in OMISSIS destro ).

Quanto alla “metodica aggiuntiva semplice” proposta dal gruppo in cui lavora il dott. A., ( CTP di parte attrice essa ) è eseguita “con una tipologia di lente differente da quella utilizzata dal dott. P. e dunque non immediatamente trasferibile a quest’ultima quanto a risultati. La tecnica stessa non è stata pubblicata su riviste internazionali di una qualche diffusione e non risulta sia stata oggetto di valutazione da parte di altri studiosi del settore. Non esistono peraltro…lavori di gruppi autonomi che abbiano condotto una valutazione comparativa fra la tipologia di lente utilizzata dal dott. P. e la metodica citata dal dott. A.; ciò rende impossibile affermare che l’una metodica garantisca risultati migliori dell’altra”.

Più in generale, riguardo all’operato di entrambi i medici, nella CTU si legge: “Tali interventi hanno garantito ottimo recupero funzionale e conservazione del visus, sebbene nel corso del ricovero presso clinica Siena diagnosi di “Glaucoma ad intermittente chiusura d’angolo”, poichè il glaucoma costituisce una delle possibili complicanze di questo tipo di interventi.”

Non sussistono perciò elementi di colpa professionale nella condotta dei convenuti.

Quanto al nesso causale la CTU riferisce: “Le attuali condizioni della p. vanno messe in relazione con l’insorgenza di possibili e non prevedibili complicanze associate con il tipo di interventi cui la p. è stata sottoposta” e “L’attuale stato psico-somatico, le lesioni e le malattie della p. in OO non sono in rapporto di causalità con gli interventi del 1992 e del 2001.”. “Purtroppo il decorso post-operatorio è stato complicato da fenomeni degenerativi retinici e da distacco di OMISSIS determinando la pressochè completa perdita di acuità visiva in OMISSIS sinistro. La comparsa di un distacco retinico e l’insorgenza di glaucoma sono fra le principali e più frequenti complicanze di questo tipo di intervento, indipendentemente dalla correttezza della procedura chirurgica. La necessità obiettiva di eseguire successivi interventi per l’insorgere di fenomeni di sofferenza retinica ha poi determinato uno stato di degenerazione irreversibile delle strutture recettoriali della OMISSIS responsabile delle attuali condizioni in OMISSIS sinistro”. “In realtà l’evoluzione clinica di queste situazioni non è un fatto matematico ma è il frutto di combinazioni biologiche difficili da ponderare e dove singoli elementi obiettivi concorrono a formare il giudizio clinico e a formare l’indirizzo terapeutico e scelte anche molto diverse fra loro possono essere considerate non censurabili laddove abbiano un fondamento giuridico ispiratore”.

“La totale perdita del visus in OMISSIS sinistro è stato il risultato di un coacervo di eventi avversi e imprevedibili (anche a causa della presenza di una sottostante patologia corneale non clinicamente evidente all’epoca degli interventi) che hanno agito in sinergia per determinare l’evoluzione infausta della situazione.”

Nel corso del processo la difesa di parte attrice ha introdotto la contestazione di inadempimento per mancata corretta informazione.

Lo ha fatto solo in memoria n.1 ex art. 183 c.p.c. di parte attrice ove si legge una generica contestazione, si noti, solo nei confronti della Casa di cura, sul fatto che la paziente all’epoca dell’intervento non era stata informata dei rischi e delle possibili complicanze a cui l’impianto di IOL avrebbe potuto portare anche a distanza di anni. Contestazione poi riproposta, ma tardivamente, in comparsa conclusionale.

Com’è noto la violazione dell’obbligo di consenso informato all’intervento rileva ai fini della valutazione di domande risarcitorie sotto due distinti profili.

In primo luogo a fondamento della domanda di risarcimento del danno alla salute che il paziente avrebbe evitato, optando per altra soluzione terapeutica o per la rinuncia alla cura , se avesse avuto le informazioni omesse dal medico e dalla struttura sanitaria.

La parte attrice non ha però neppure affermato ( non solo dimostrato ) il fatto che il rischio di andare incontro alle complicanze di cui si lamenta l’omessa comunicazione l’avrebbe indotta a scelte differenti.

Nè tale inferenza può trarsi da elementi acquisiti agli atti seppur ad altri fini.

La situazione era complessa, l’intervento al tempo era da ritenersi corretto e usualmente consigliato. Le complicanze in parte ignote e comunque nient’affatto gravi come quelle imprevedibili determinatesi in seguito alla necessità di ulteriori interventi ( quelli del dott. Z. ) .

Dunque il danno alla salute ( l’attuale condizione dell’OMISSIS sinistro ) non può esser connesso causalmente con la lamentata scarsa informazione ricevuta.

Sotto altro profilo la violazione del consenso informato può com’è noto, giustificare anche solo la pretesa risarcitoria per lesione del diritto all’autodeterminazione.

Si tratta in questo caso di un bene giuridico del tutto diverso dal diritto alla salute ancorchè leso da una condotta sanitaria di inadempimento del contratto di cura.

La domanda non sembra esser stata proposta, nè implicitamente nè tantomeno esplicitamente in questo giudizio.

In ogni caso non lo è stato con l’atto introduttivo del giudizio. Sicchè mentre per il profilo di risarcimento del danno alla salute per inadempimento degli obblighi informativi può ritenersi anche se non puntualmente formulata nelle memorie di precisazione delle domande, quella diversa domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, anche se fosse stata in questi successivi atti formulata sarebbe inammissibile perchè tardiva.

Anche sotto questi ulteriori due profili la domanda non può esser accolta.

Superflua diviene allora ogni considerazione in ordine alle conseguenze pregiudizievoli lamentate.

Tutte le altre domande, comprese quelle di manleva e di regresso, sono assorbite nel mancato accoglimento della domanda principale di condanna al risarcimento dei danni.

  1. Sulle spese di lite

Ad avviso del giudicante la complessità della vicenda medico legale attraversata da cambiamenti significativi del contesto medico scientifico, in uno con la difficoltà di ricostruire la causa dell’insorgere delle patologie addebitate dalla parte attrice alla erroneamente ritenuta non corretta scelta di intervento da parte del dott. P. impongono di compensare le spese legali sostenute tra le parti. Il costo del compenso del CTU per l’ATP e il costo del compenso del CTU nella successiva fase di merito deve invece gravare sulla parte attrice , signora G. D. S..

Il costo delle spese legali della struttura sanitaria, dei medici dott. P. e dott. Z. deve esser invece rimborsato dalle rispettive compagnie che non hanno contestato la copertura.

PQM
P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

– rigetta la domanda di accertamento della responsabilità dei convenuti L. P. e Istituto Fiorentino -Casa di cura “Ulivella e Glicini” SPA , per le lesioni riportate in entrambi gli occhi, e del chiamato in causa S. Z., per le lesioni riportate in OMISSIS sinistro dalla sig.ra G. D. S.;

– condanna la Fondiaria Sai a rifondere le spese legali dell’ Istituto Fiorentino – Casa di cura “Ulivella e Glicini” SpA che liquida in Euro 6.000,00 oltre Iva Cap e spese generali al 15%;

– condanna la Alleanza Toro Assicurazioni SpA a rifondere le spese legali di S. Z. che liquida in Euro 4.000,00 oltre Iva Capm e spese generali al 15%;

– condanna la Generali Business Solution ScpA in rappresentanza di Generali Assicurazioni SpA a rifondere le spese legali di L. P. che liquida in Euro 6.000,00 oltre Iva Cap e spese generali al 15%;

– dichiara assorbite tutte le altre domande.

Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti non presenti ed allegazione al verbale.

Firenze 17 dicembre 2014

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