Suprema Corte di Cassazione – sezione IV – sentenza 2 marzo 2015, n. 9187

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Suprema Corte di Cassazione – sezione IV – 2 marzo 2015, n. 9187

Ritenuto in fatto

F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno del 13.12.2013, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore in data 26.03.2008, in riferimento al reato di cui agli artt. 624, 625 n. 2, cod. pen. Al prevenuto si contesta il delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose, perché, introdottosi all’interno di un deposito della società Trenitalia spa, dopo aver divelto una grata in ferro apposta ad una finestra, al fine di trarne profitto, si impossessava di un quantitativo di fili di rame, ivi custodito, del valore di € 4.000,00. Con recidiva reiterata e specifica.

Con il primo motivo la parte chiede l’annullamento della sentenza impugnata, dolendosi del rigetto della richiesta di declaratoria di improcedibilità dei reato, per difetto di rituale querela, da parte della Corte di Appello. La parte osserva che il Tribunale, nella motivazione della sentenza, ha escluso la sussistenza della contestata aggravante; e considera che la querela non è stata proposta dal legale rappresentante della società Trenitalia. Ciò premesso, il ricorrente considera, pertanto, che il reato di furto semplice, non risulta procedibile.
Con il secondo motivo la parte si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Considerato in diritto

II ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.

Con riguardo alla qualificazione del fatto di reato per il quale è giudizio, questione affidata al primo motivo di ricorso, si osserva che la Corte territoriale, soffermandosi specificamente sul tema di interesse, ha sviluppato un analitico percorso argomentativo, che risulta immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.

Invero, il Collegio ha considerato che il Tribunale aveva accertato la sussistenza del reato nella forma aggravata, conformemente all’oggetto della contestazione. Sul punto, del tutto conferentemente, la Corte territoriale ha osservato che il tenore della frase pure utilizzata dal giudice di primo grado, nel corpo della motivazione, valorizzata dall’appellante, non consentiva di ritenere che il Tribunale avesse, in realtà, escluso la circostanza aggravante della violenza sulle cose, tenuto conto del calcolo della pena, come in concreto effettuato e posto mente al fatto che, nel dispositivo della sentenza di primo grado, non si fa menzione della esclusione della predetta aggravante.
Deve poi osservarsi che la valutazione della Corte territoriale risulta coerente con l’orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità. Si è, infatti, affermato che il dispositivo, il quale, attraverso la lettura in pubblica udienza, acquista rilevanza esterna prima della motivazione e indipendentemente a essa, non può essere modificato con la motivazione; e che, pertanto, in caso di difformità tra il dispositivo e la motivazione, il primo prevale sulla seconda, in quanto il dispositivo costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la volontà “della legge” nel caso concreto, mentre la motivazione assolve una funzione strumentale (ex plurimis, Cass. Sez. 1, sentenza n. 1139 del 12/03/1992, dep. 05/05/1992, Rv. 190205). Si è pure chiarito che il tema della patologica diversità tra dispositivo e motivazione deve risolversi in termini volta a volta diversi, congrui alle variabili sistematiche possibili (motivazione contestuale, sentenza camerale deliberata senza lettura preliminare del dispositivo, dispositivo letto e pubblicato in udienza con successiva redazione della motivazione) e comunque con attenzione alla peculiarità del caso concreto, per verificare l’effettivo contenuto della deliberazione come in ogni caso cristallizzatasi nel momento della sua prima “esternazione”. In particolare, il principio di diritto che è stato affermato nei casi di dispositivo letto in esito alla discussione, con separata e successiva stesura della motivazione non letta in unitario contesto alla pubblicizzazione del dispositivo – come nel caso di specie – è che il contenuto del dispositivo prevale sempre e comunque, ogni qual volta esso non si appalesi intrinsecamente incoerente ovvero non presenti delle parziali omissioni nelle singole determinazioni che conducono alla determinazione della pena che risulta positivamente irrogata (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 44642 del 02/12/2010, dep. 20/12/2010, Rv. 249090, in motivazione). Come si vede, in conformità ai richiamati principi, del tutto legittimamente la Corte di Appello ha considerato che il furto aggravato, come accertato in giudizio, risultava procedibile di ufficio.

Il secondo motivo di ricorso, del pari, è manifestamente infondato.

AI riguardo, deve osservarsi che la Corte di Appello, soffermandosi specificamente sul relativo motivo di doglianza, ha osservato che i numerosi e specifici precedenti penali che si rinvengono a carico dell’imputato non consentivano di valutare positivamente la richiesta di concessione delle attenuanti generiche; il Collegio ha inoltre considerato che le condizioni di disagio del prevenuto, rappresentate nell’atto di impugnazione, non erano supportate da alcuna allegazione. In tali termini, la Corte di Appello ha soddisfatto lo specifico obbligo motivazionale, sviluppando un percorso argomentativo immune da aporie di ordine logico e conferentemente ancorato alle acquisite emergenze di prova.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende

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