Indici-criteri ed indici-requisiti nella non punibilità per particolare tenuità del fatto

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Per l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è necessaria, oltre la ricorrenza del limite di pena, la coesistenza di altri due indici-criteri, ovverossia la non abitualità del comportamento e la particolare tenuità dell’offesa. Quest’ultimo indice-criterio sussiste allorchè ricorrono due indici-requisiti da identificarsi nella modalità della condotta e nella esiguità del danno o del pericolo.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza penale – con sentenza 8 aprile 2015 n.15449.

Indici-criteri ed indici-requisiti nella non punibilità per particolare tenuità del fatto

Indici-criteri ed indici-requisiti nella non punibilità per particolare tenuità del fatto

Il caso 

Un imputato proponeva ricorso in cassazione avverso la sentenza penale di condanna emessa dalla Corte di appello territoriale.

All’udienza di discussione, il difensore chiedeva escludersi la punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. 28/2015 in quanto ius superveniens.

La Corte di legittimità, dopo aver rigettato tutti i motivi di ricorso, ha affrontato la tematica relativa alla richiesta applicazione della non punibilità per particolare tenuità.

1° indice-criterio: la rispondenza ai limiti di pena del reato (il reato deve essere punito con una pena detentiva, solo o congiunta a pena pecuniaria, non superiore a cinque anni).

In particolare, la Suprema Corte ha precisato che per determinare la pena non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all’articolo 69.

2° indice-criterio: la particolare tenuità dell’offesa che si articola in:

1° indice-requisito: modalità della condotta e

2° indice-requisito: esiguità del danno o del pericolo

Per la Suprema Corte, la rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo degli «indici-criteri» (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) si articola, a sua volta, in due «indici-requisiti», che sono la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen., sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento.

3° indice-criterio: la non abitualità del comportamento.

Come sopra detto, per la Suprema Corte tali requisiti devono coesistere.

Difatti, solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

Una breve riflessione

La sentenza in commento appare molto interessante in quanto “seziona” la nuova disciplina ed offre un valido criterio interpretativo.

Difatti, come è facile intendere, la nuova normativa si presta ad interpretazioni svariate e, in assenza di linee guida, il rischio è quello di generare incertezza applicativa riguardo ad un istituto la cui evidente finalità principale è quella deflattiva.

Ciononostante, non si può non rilevare come una applicazione rigorosa della normativa potrebbe portare a restringere oltremodo il perimetro al di là di quella che è stata l’intenzione del legislatore, come si desume anche dai lavori parlamentari.

La contemporanea ricorrenza dei tre indici-criteri sopra enunciati, in uno alla contemporanea ricorrenza dei due indici-requisiti altrettanto evidenziati, potrebbe non riscontrarsi in gran parte dei procedimenti in atto pendenti e che, invece, secondo quella che era l’intenzione del legislatore, si sarebbe voluto “archiviare”.

Né la interpretazione della Suprema Corte, pur con la sua apprezzabile portata, potrà essere di grande ausilio all’interprete, dovendo questi pur sempre fare riferimento ai parametri ex art. 133 cod. pen., parametri non sempre chiari e di univoca interpretazione.

In ciò forse la nuova normativa ha peccato: nel lasciare all’interprete troppi spazi di “manovra”. Probabilmente sarebbe stata necessaria una normativa più “automatica” e non affidata a valutazioni discrezionali.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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