Favoreggiamento ed esimente di non punibilità ex art. 384 codice penale.

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Rilevabilità di ufficio della esimente.

La esimente di cui all’articolo 384 del codice penale, che esclude la punibilità di determinati reati contro l’amministrazione della giustizia (tra cui il favoreggiamento),  può essere riconosciuta di ufficio anche in assenza di censura in appello o in cassazione.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione –  sesta sezione penale – con sentenza n.9727 del 27 febbraio 2014.

Favoreggiamento ed esimente di non punibilità ex art. 384 codice penale.

Favoreggiamento ed esimente di non punibilità ex art. 384 codice penale.

Nello specifico, la Suprema Corte ha stabilito che “non osta all’esame della doglianza la sua proposizione per la prima volta in questa sede di legittimità in quanto la esimente della necessità a salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alle libertà o all’onore (ipotizzabile in taluni reati contro l’amministrazione della giustizia) va applicata, in appello o in Cassazione, dai giudici anche in assenza di uno specifico motivo di gravame. (Sez. 6, Sentenza n. 2623 del 12/11/1980 Rv. 151429 Imputato: IODICE)”.

Dunque, in caso di mancato riconoscimento della esimente in un grado di giudizio e di contestuale omessa  specifica doglianza da parte del condannato, ciò non impedisce al giudice dell’impugnazione di rilevarla ed applicarla di ufficio.

Favoreggiamento, pericolo per la propria incolumità fisica ed esimente ex art. 384 c.p..

La Suprema Corte, con la sentenza citata, ha inoltre affermato che “ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen., rileva non solo il pericolo di un nocumento alla libertà o all’onore dell’autore del reato o di un suo prossimo congiunto, ma altresì quello di un nocumento all’incolumità fisica (Sez. 6, Sentenza n. 26061 del 08/03/2011 Rv. 250748 Imputato: Cerrone.) essendo necessario che il pericolo non sia genericamente temuto ma sia collegato a circostanze obiettive, attuali e concrete che ne delimitino con precisione contenuto ed effetti. (Fatti specie in materia di favoreggiamento personale) (Sez. 6, Sentenza n. 8638 del 26/04/1999 Rv. 214315 Imputato: Aprano P.) in quanto l’esimente implica un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile conseguenzialità e non di semplice supposizione (Sez. 6, Sentenza n. 10271 del 15/11/2012 Rv. 255716 Imputato: Spano)”.

Pertanto, chi mente per paura di rappresaglie o semplicemente per paura non commette il reato che dunque rimarrà scriminato.

Favoreggiamento ed il pericolo di un’accusa nei propri confronti. Il diritto di difesa come esercizio della scriminante.

Non commette il reato di favoreggiamento il soggetto che aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità per evitare in incappare in un’accusa penale nei propri confronti.

Lo ha stabilito la Cassazione penale – sezione sesta – con sentenza 26 febbraio 2013 n.12817,

In particolare la Suprema Corte ha precisato che “in tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale nei suoi confronti, tutelando in tal modo l’esercizio del diritto di difesa quale manifestazioni della libertà personale di ciascun individuo. ( Sez. 6, Sentenza n. 37398 del 16/06/2011 Rv. 250878 Imputato: Galbiati e altro.)”.

Tale decisione si pone in linea con altre sentenze  Cass. Sez. 6,15.12.1982 n. 2537/83; Cass. Sez. 3, 9.7.1996 n. 8699; Cass. Sez. 6, 3.10.2002 n. 37014; Cass. Sez. 6, 8.1.2003 n. 3397; Cass. Sez. 6, 21.3.2003 n. 21431; Cass. Sez. 6, 4.3.2009 n. 20454, Cass. Sez. VI – .17 ottobre 2011, n.37398.

In tale ultima sentenza la Suprema Corte ha affrontato due temi: il primo riguardava  il quesito se l’esimente di cui all’art. 384 c.p. potesse applicarsi anche qualora lo stato di pericolo fosse stato cagionato volontariamente dall’agente; il secondo riguardava il quesito se la nozione di “grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore” fosse suscettibile di interpretazione analogica e, in caso positivo, i relativi limiti”.

La Corte di Cassazione risponde positivamente ad entrambi i quesiti affermando che “colui che realizzi un contegno di favoreggiamento personale nei descritti termini è immune da responsabilità penale per effetto della generale causa di ‘non punibilità’prevista per la maggior parte dei reati contro l’attività giudiziaria dall’art. 384 co. 1 c.p., allorché a tale contegno illecito in concreto attuato (la norma prevede la ‘commissione del fatto’ di favoreggiamento) l’agente sia stato indotto (‘costretto’) dalla ‘necessità’ di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da ‘un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore’. La fattispecie che in tal modo scrimina la condotta criminosa del favoreggiatore presuppone, quindi, che all’oggettivo aiuto elusivo delle indagini prestato all’autore di un commesso reato si coniughi un omologo aiuto del favoreggiatore a sé medesimo rispetto ad indagini penali, reali o potenziali, che possano investire la sua stessa persona o quella di un suo familiare, purché ricorrano le ridette esigenze di autotutela, personali o di un prossimo congiunto, rispetto ad un prevedibile e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell’onore”.

La natura giuridica dell’esimente ex art. 384 c.p.

Secondo un primo orientamento “l’art. 384 co. 1 c.p. non integrerebbe una vera e propria causa di non punibilità in senso tecnico, cioè una causa che incida – elidendola – sulla sola punibilità dell’agente, ma piuttosto una causa escludente la stessa antigiuridicità del fatto (di favoreggiamento personale) sussumibile nel novero delle cause di giustificazione. Di tal che, in tale prospettiva, l’art. 384 c.p. è costruito come una ipotesi speciale della causa esimente oggettiva dello stato di necessità prevista dall’art. 54 c.p., di cui mutuerebbe limiti e requisiti applicativi”.

Secondo un altro orientamento “l’art. 384 c.p. integrerebbe, invece, una peculiare causa di esclusione della colpevolezza incentrata sulla specifica e particolare situazione soggettiva in cui si trova ad agire l’autore del fatto di favoreggiamento, qualificata -pur non vanificando il disvalore sociale della condotta – dal carattere di inesigibilità di un comportamento che non violi il precetto dell’art. 378 c.p., ma che si riveli idoneo a vulnerare, in modo diretto o indiretto, la libertà o l’onore dell’agente (o di un suo stretto familiare)“.

Il ragionamento della Corte a sostengo della nozione “ampia” di esimente ex art. 384 c.p.

Prosegue la Corte affermando che “se la nozione di libertà tutelabile assunta dall’art. 384 co. 1 c.p. quale elemento discriminante la responsabilità penale del favoreggiatore deve essere recepita nella sua più lata interpretazione, includente ogni forma di manifestazione della libertà individuale, come sembra potersi desumere dalla lettera della legge (art. 384 c.p.) che non introduce alcuna particolare specificazione o selettività della categoria concettuale (libertà nella pienezza della sua accezione), non sembra del pari dubitabile che – quando tale libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall’esigenza di evitare una accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti – l’interesse di libertà che egli persegue si immedesima, senza soluzione di continuità temporale e ideativa, nell’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa. Diritto e valore di rango costituzionale (art. 24 co. 2 Cost.), al pari di quello incarnato dalla non fuorviata e ‘giusta’ amministrazione della giustizia (artt. 111, 112 Cost.)”.

In definitiva – conclude la Corte – “se il diritto di difesa costituisce, dunque, il paradigma di apprezzamento del bene della libertà individuale che il favoreggiatore salvaguarda con la propria condotta antigiuridica (art. 378 c.p.), appare chiaro come divenga indifferente o non rilevante l’evenienza per cui la situazione di pericolo in libertate o – se si preferisce – lo stato di necessità, dotati di efficacia scriminante ex art. 384 c.p., possano trovare causa in un fatto accidentale, in un fatto altrui o anche nel fatto proprio e volontario del soggetto agente che realizzi una condotta di favoreggiamento personale. In casi di questo genere, in altri termini, la situazione di pericolo o lo stato di necessità sono plasticamente delineati dal legittimo esercizio di un diritto del favoreggiatore, cioè dell’inviolabile esercizio del diritto di difesa, nella sua massima latitudine efficiente, esoprocedimentale (autodifesa atecnica) ed endoprocedimentale”.

Tale ricostruzione è in linea con Cass. Sez. 6, n. 20454/2009.

Si evidenzia infine che con sentenza n. 75 del 20 marzo 2009 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 384, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, integranti per costante giurisprudenza il reato di favoreggiamento, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato – a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), codice di procedura penale – a quello, commesso da altri, cui le dichiarazioni stesse si riferiscono.

La sentenza della Corte Costituzione è una tipica sentenza c.d. additiva ovvero sentenza che introduce nell’ordinamento una nuova norma costituzionalmente necessitata.

Ovviamente, la decisione della Corte Costituzionale ha segnato la via su cui si è consolidata la successiva giurisprudenza di merito e di legittimità.

Una breve riflessione.

Le decisioni sopra enunciate appaiono interessanti perché in esse si coglie la evoluzione di un pensiero giuridico che si è praticamente ribaltato in poco meno di cinquant’anni. Basterebbe passare in rassegna le sentenze, sull’argomento, degli anni sessanta e settanta per raffrontarle a quelle dei nostri giorni.

Eppure, a parte l’intervento della Corte Costituzionale, le norme sono rimaste pressoché invariate. Evidentemente, allora, il mutare della giurisprudenza è derivato da un diverso approccio dogmatico all’istituto e ad una diversa valorizzazione delle esigenze di difesa del soggetto che rende dichiarazioni all’autorità giudiziaria.

Le norme del codice penale di rito prevedono degli strumenti a garanzia del soggetto che rende dichiarazioni all’autorità giudiziaria, ma, molto spesso, tali norme sono disattese. Non infrequente è l’ipotesi di ufficiali di PG che, durante un verbale di sommarie informazioni e pur a fronte di dichiarazioni autoindizianti, non provvedono immediatamente ad interrompere la verbalizzazione, ma fanno ciò qualche attimo prima della fine dell’esame. Perché poi, sotto altro profilo, non è così semplice individuare il momento a partire dal quale il soggetto rende dichiarazioni contra sé. E non è nemmeno infrequente l’ipotesi di un soggetto che, sentito a sommarie informazioni dagli organi di PG,, per non autoaccusarsi ed allontanare da sé i sospetti, è costretto a mentire. E, durante l’interrogatorio, pur di mentire (e salvare sé stesso), finisce con l’eludere le indagini svolte nei confronti di altri.

In tali casi, il verbale di sommarie informazioni, che non dovrebbe e potrebbe essere utilizzato contro il dichiarante, per espresso divieto normativo, viene a costituire, addirittura, il corpo di reato, in quanto contenente le dichiarazioni oggetto del reato di favoreggiamento.

Le decisioni sopra richiamate tendono ad evitare che simili accadimenti possano far nascere procedimenti penali a chi ha mentito per cercarsi di difendere. O, ancora di più, per evitare che tali soggetti possano essere condannati. Ma, soprattutto nella giurisprudenza di merito, i principi delineati dalle sentenze di legittimità non vengono sempre facilmente applicati.

L’articolo 384 c.p., ritenuto conforme al principio di tassatività, lascia molti spazi di discrezionalità al giudice di merito. Spazi che possono essere colmati attraverso il prudente esercizio dell’apprezzamento del fatto e della valutazione della prova. Giacchè, poter delineare chiaramente quando le mendaci dichiarazioni possano costituire espressione dell’esercizio del diritti di difesa del mentitore non è operazione semplice.

Forse, pertanto, sotto tale profilo, il precetto normativo costituente l’anima della esimente di cui all’articolo 384 c.p. andrebbe meglio specificato, già dal punto di vista letterale, per evitare che, sul piano applicativo, autori di condotte uguali o simili possano ricevere “trattamenti” diversi.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com

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