Fallimento: quando in sede di riparto può essere escluso un credito già ammesso in precedenza

Download PDF

“Il decreto di esecutorietà dello stato passivo non preclude al giudice delegato in sede di riparto di escludere il credito già ammesso al concorso, ove il curatore faccia valere il fatto estintivo sopravvenuto all’ammissione (nel caso, l’integrale soddisfazione del creditore da parte dei  coobbligati in solido del fallito).”

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n.525 del 14 gennaio 2016

Fallimento: quando in sede di riparto può essere escluso un credito già ammesso in precedenza

Fallimento: quando in sede di riparto può essere escluso un credito già ammesso in precedenza

Il caso

Il Curatore di un Fallimento depositava il nono progetto di riparto, escludendo il credito per forniture di una creditrice  per euro 2.208.640,32, ammesso allo stato passivo dichiarato esecutivo dal G.D. con decreto del 18/5/1998, con la motivazione che detto credito si era estinto ex art.1304 c.c.; il Curatore, in calce a detto progetto di riparto, chiedeva ed otteneva dal G.D. l’autorizzazione a procedere all’avviso ai creditori a mezzo della pubblicazione su quotidiani.
Successivamente,  la Creditrice proponeva reclamo ex art.36 l.f. contro l’atto del Curatore, che all’udienza avanti al G.D. depositava il decreto di esecutività del nono progetto di riparto, nonché le fotocopie dell’avviso di deposito di detto progetto ai creditori su tre quotidiani senza indicazione dei creditori destinatari dell’avviso.
Il 18/6/2009, la Creditrice proponeva reclamo ex art.26 l.f.. contro il decreto di esecutività del progetto di riparto, nel termine, secondo la parte, di dieci giorni dalla conoscenza legale del decreto, avvenuta 1’8/6/2009.
Detto reclamo veniva respinto dal Tribunale, che, specificamente, respingeva anche il reclamo proposto dalla altri creditori, e, accogliendo nel resto detto reclamo, nonché quello proposto da un Istituto di Credito, previa declaratoria di illegittimità dell’esclusione dal piano di riparto dei crediti di origine bancaria e dei crediti ceduti dai fornitori, revocava l’esecutività di detto piano.
Il Tribunale, esaminando tutti i reclami proposti, premesso che la mancata comunicazione del deposito del piano di riparto secondo i principi dettati dalla Corte cost. nella pronuncia 154/2006 non inficiava la validità della procedura del riparto parziale, atteso che la presentazione di osservazioni al piano non costituisce condizione di legittimazione  all’ impugnazione  del  decreto  di esecutività, riteneva la tardività della presentazione del reclamo da parte della Creditrice. Nonostante ciò, il Giudice riteneva di dovere valutare nel merito anche il ricorso della Creditrice, pur considerato tardivo, ritenendo la rilevanza degli interessi economici implicati nella decisione.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale ha ritenuto documentalmente provata l’estinzione per integrale pagamento del credito della Creditrice (da cui l’inapplicabilità dell’art.61 l.f..), avendo la reclamante incassato il complessivo importo di euro 4.769.550,83, e quindi somma superiore all’importo massimo per cui era stata ammessa al passivo del Fallimento. Da qui il ricorso per cassazione

I motivi del ricorso

Dei motivi proposti, rileva ai nostri fini il quarto.
Con detto motivo si denuncia la nullità del decreto di esecutività del progetto di riparto nella parte in cui ha escluso il credito della Creditrice ammesso allo stato passivo e del decreto del Tribunale “nella parte in cui ha omesso di revocare l’esecutività del piano di riparto confermando l’esclusione del credito della Creditrice”

Le ragioni della decisione della Suprema Corte

Per la Corte regolatrice, il quarto motivo pone la vera questione dell’intero ricorso; la parte sostiene che, stante l’efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo, non possono essere esclusi in sede di riparto i crediti ammessi, e le questioni che possono porsi in detta sede sono solo quelle relative “alla graduazione dei vari crediti ed all’ammontare della somma distribuita, con  esclusione  di  qualsiasi  questione  relativa all’esistenza,  qualità  e  quantità  dei  crediti  e privilegi.”(cosi Cass. 19940/06 e 27044/06).
Il vizio che la parte prospetta – affermano gli Ermellini – è radicale, tant’è che arriva a sostenere che l’intero procedimento del nono riparto è inesistente per la carenza del potere giurisdizionale di cognizione ordinaria degli organi fallimentari di accertare l’inesistenza del credito dopo la verifica e l’ammissione ex art.96 l.f.. (salvi i casi di cui agli artt.100 e 102 l.f..), e l’esistenza di una supposta transazione con i terzi coobbligati in solido, pervenendo a dichiarare il credito estinto “in altro modo ex art.118 l.f.. privando la Creditrice del credito ammesso e i terzi coobbligati in solido del diritto soggettivo di surroga nel credito fallimentare a seguito di pagamento transattivo, senza una sentenza emessa in contraddittorio con i terzi avanti al Giudice ordinario giurisdizionalmente competente.”

Perché il motivo viene ritenuto infondato?

Secondo gli Ermellini, certamente la ricorrente pone a base della propria denuncia principi costantemente affermati, ma non coglie la specificità del caso e dà una lettura riduttiva della statuizione  assunta  dal  Tribunale  a  seguito dell’accertamento effettuato in sede camerale, con le garanzie proprie della cognizione.

L’efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo

Ed infatti – ricordano i giudici di piazza Cavour – è principio costante che i provvedimenti che, in sede di verificazione dei crediti, vengono adottati dal giudice delegato, quand’anche non abbiano formato oggetto di opposizione, non acquistano efficacia di cosa giudicata, ma spiegano effetti preclusivi nell’ambito della procedura fallimentare di ogni questione relativa all’esistenza del credito, validità, ed efficacia del titolo da cui deriva ed all’esistenza delle eventuali cause di prelazione; che in sede di ripartizione dell’attivo del fallimento, oggetto della cognizione del giudice delegato sono solo le questioni relative alla graduazione dei crediti ed  all’ammontare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento dell’accertamento del passivo, che pertanto va azionata nella forma dell’opposizione allo stato passivo ex art. 98 1. f., restando altrimenti preclusa, nè può essere fatta valere in sede di osservazioni e poi con il reclamo ex art. 26 l f. avverso il decreto del giudice delegato che renda esecutivo il piano di riparto (in tal senso, tra le ultime, la pronuncia 12732 del 2011).
Ciò posto – proseguono gli Ermellini – si deve rilevare che nel caso concreto al G.D. in sede di riparto non è stata posta alcuna questione già valutata in sede di ammissione al passivo e quindi coperta col decreto di esecutività dal giudicato endofallimentare, ma bensì un fatto estintivo successivo all’ammissione, che il Tribunale ha accertato in sede di reclamo.
Non v’è stata pertanto alcuna violazione dell’efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo, atteso che la Curatela ha fatto valere, ed il Tribunale ha accertato, l’estinzione del credito per fatti sopravvenuti all’ammissione, in contraddittorio con la Creditrice, che ha quindi potuto spiegare le proprie difese.
E, come è noto, l’autorità del giudicato non è di ostacolo all’allegazione ed alla cognizione di nuovi e posteriori eventi i quali incidano sul modo di essere del diritto deciso, ma impedisce il riesame o la deduzione di questioni anteriori ad esso, tendenti ad una nuova decisione della controversia già risolta con provvedimento definitivo (sul principio, tra le altre, le pronunce 11169/2012, 23082/2011, 2732/2011, 25862/2010).

L’art. 118 n°2 legge fallimentare

V’è altresì da rilevare – concludono gli Ermellini – che, nell’ambito fallimentare, l’art. 118 n.2 l.f.. è normativamente inteso a far emergere i casi in cui si verifichi la soddisfazione stragiudiziale dei crediti ammessi, e, in relazione a detta norma, la Corte Suprema nella pronuncia 9506/1995, nel caso di insinuazione tardiva,  ha  esplicitamente  rilevato  che  nessuna differenza può sussistere tra l’ipotesi in cui la chiusura avvenga previo riparto finale che soddisfi integralmente i creditori ammessi, e quella verificatasi con soddisfazione stragiudiziale che emerga a livello di procedura concorsuale con le rinunzie e le dichiarazioni dei creditori ammessi; con la previsione, infatti, dell’ipotesi in cui i crediti ammessi “siano in altro modo estinti” la legge (l’art. 118 n. 2 L.F.) ha voluto sia favorire le situazioni estintive diverse dal pagamento, sia soprattutto favorire l’emersione di disponibilità e possibilità, anche da parte di terzi, che altrimenti resterebbero occulte e non si tradurrebbero in un vantaggio per i creditori.”

Il principio di diritto

Conclusivamente, la Suprema Corte, pur rigettando il ricorso, afferma il seguente principio di diritto:

“Il decreto di esecutorietà dello stato passivo non preclude al giudice delegato in sede di riparto di escludere il credito già ammesso al concorso, ove il curatore faccia valere il fatto estintivo sopravvenuto all’ammissione (nel caso, l’integrale soddisfazione del creditore da parte dei  coobligati in solido del fallito).”

Una breve riflessione

Sentenza interessante quella in rassegna. La Suprema Corte afferma un principio che non può dirsi “innovativo”, ma al tempo stesso afferisce ad una tematica nuova, come lo dimostra la compensazione delle spese disposta proprio in ragione dei profili di novità della fattispecie.
In buona sostanza, la Corte regolatrice, ribadisce i consolidati principi in forza dei quali in sede di ripartizione dell’attivo resta preclusa la proponibilità di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento dell’accertamento del passivo, ma precisa al contempo che detta preclusione non opera ove si faccia valere l’estinzione del credito per fatti sopravvenuti all’ammissione.
Un principio, dunque, che salvaguardia l’intangibilità del giudicato endofallimentare ma che tutela anche la par condicio creditorum e, in generale, l’ingiustificato arricchimento.
Sarebbe stato, infatti, davvero iniquo, accertata la sopravvenuta estinzione di un credito, ipotizzare che il fallimento avrebbe dovuto comunque pagare il debito perché oggetto di un provvedimento giurisdizionale intangibile per il formarsi di un giudicato.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF