Equa riparazione per lungaggine del processo amministrativo e istanza di prelievo

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In tema di equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo amministrativo (nella specie iniziato nel 1996), la mancata proposizione dell’istanza di prelievo rende improponibile la domanda di equa riparazione (nella specie proposta nel 2009) nella parte concernente la durata del giudizio presupposto successiva alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore dell’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la suddetta istanza di prelievo come “presupposto processuale” della domanda di equa riparazione, deve sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini della sollecita definizione del processo amministrativo in tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, fermo restando che l’omessa presentazione dell’istanza di prelievo non determina la vanificazione del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta civile – con sentenza n. 23648 del 18 novembre 2015

Il caso

Equa riparazione per lungaggine del processo amministrativo e istanza di prelievo

Equa riparazione per lungaggine del processo amministrativo e istanza di prelievo

Con ricorso depositato in data 9 giugno 2010 presso la Corte d’appello di Caltanissetta, in riassunzione del ricorso proposto dinnanzi alla Corte d’appello di Palermo, dichiaratasi incompetente, i ricorrenti chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR di Palermo con ricorso depositato il 20 marzo 1996, non ancora concluso alla data della domanda, essendo la sentenza intervenuta il 10 febbraio 2012.

Il rigetto della domanda

L’adita Corte d’appello, rilevato che i ricorrenti, nel giudizio presupposto, non avevano mai presentato l’istanza di prelievo, e tenuto conto della genericità della domanda e della proposizione del ricorso dinnanzi al TAR insieme a numerosi altri ricorrenti, riteneva che fosse evidente la insussistenza di una qualsivoglia sofferenza per la protrazione del giudizio presupposto, e rigettava quindi la domanda. Da qui il ricorso per cassazione.

I ricorrenti, con i cinque motivi di ricorso, congiuntamente sviluppati, denunciano:

«1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001; 2. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale; 2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 263 del 2005; 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008».

I ricorrenti rilevano, in primo luogo, che la Corte d’appello ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in assenza di ogni eccezione da parte del Ministero intimato, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. Si dolgono altresì del fatto che la Corte d’appello abbia desunto dalla mancata presentazione dell’istanza di prelievo il disinteresse della parte alla definizione del giudizio e richiamano giurisprudenza di questa Corte secondo cui la mancata presentazione dell’istanza non esclude il diritto della parte all’indennizzo.

Sostengono infine che neanche l’esito negativo del giudizio presupposto potrebbe avere una valenza preclusiva del diritto all’indennizzo nei casi in cui, come quello di specie, non si sia in presenza di una domanda temeraria.

La Suprema Corte accoglie il ricorso.

Osservano i giudici di legittimità che la domanda di equa riparazione è stata proposta dai ricorrenti nel settembre 2009, sicché ad essa è applicabile la disciplina di cui all’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008.

Il principio di diritto richiamato

In relazione alla citata disciplina, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo amministrativo (nella specie iniziato nel 1996), la mancata proposizione dell’istanza di prelievo rende improponibile la domanda di equa riparazione (nella specie proposta nel 2009) nella parte concernente la durata del giudizio presupposto successiva alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore dell’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la suddetta istanza di prelievo come “presupposto processuale” della domanda di equa riparazione, deve sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini della sollecita definizione del processo amministrativo in tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, fermo restando che l’omessa presentazione dell’istanza di prelievo non determina la vanificazione del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008″ (Cass. n. 5914 del 2012).

Alla luce del superiore principio, gli Ermellini concludono che abbia errato la Corte d’appello nel desumere il disinteresse, anche per il passato, dalla mancata presentazione della istanza di prelievo, potendo la detta circostanza, come quella della presentazione cumulativa della domanda dinnanzi al giudice amministrativo, rilevare ai fini della quantificazione dell’indennizzo.

Da qui la cassazione del decreto impugnato con rinvio, per nuovo esame della domanda, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

Una breve riflessione

Il thema decidendum sottoposto al vaglio della Suprema Corte è abbastanza chiaro, così come è abbastanza chiaro il percorso logico e motivazionale seguito dai giudici di piazza Cavour: la novità introdotta a suo tempo dall’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133 non può avere applicazione retroattiva.

Rimane da chiedersi, fermo restando che spetta al legislatore il compito di emanare le norme primarie ed ai giudici quello di applicarle, perché mai, quantomeno per il periodo successivo al 2008, l’istanza di prelievo debba costituire un presupposto processuale della domanda di equa riparazione. Si tratta di una scelta legislativa discutibile  se si considera che il ricorrente nel procedimento amministrativo, ai fini procedurali, ha solo l’onere di chiedere la fissazione dell’udienza per la trattazione del ricorso entro i termini stabiliti dal codice del processo amministrativo.

V’è da chiedersi, allora, perché mai la omessa presentazione della istanza di prelievo debba rendere improponibile una domanda di equa riparazione.

Si ha l’impressione che l’Italia, anziché cercare rimedi per abbreviare i tempi dei processi, elabori dei rimedi per ostacolare il diritto della parte processuale a richiedere ed ottenere l’indennizzo dal superamento della ragionevole durata del processo.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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