Equa riparazione e rinvii delle udienze per astensione degli avvocati

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Il rinvio delle udienze per effetto dell’astensione dei difensori dall’attività di udienza non è in sé imputabile all’organizzazione dell’ufficio giudiziario, essendo riferibile ad una scelta consapevole del difensore, per tale ragione addebitabile, in sede di equa riparazione, alla parte rappresentata che lamenti la irragionevole durata del processo nel quale la detta astensione è avvenuta.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta civile – con sentenza n. 18118 del 15 settembre 2015.

Equa riparazione e rinvii delle udienze per astensione degli avvocati

Equa riparazione e rinvii delle udienze per astensione degli avvocati

Il caso

Con ricorso depositato in data 8 marzo 2010 presso la Corte d’appello di Roma, un ricorrente in un procedimento presupposto chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale sofferto a causa della irragionevole durata di un giudizio civile avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima costituzione di un cartello assicurativo; giudizio iniziato nel novembre 2005, innanzi alla Corte d’appello di Napoli, competente per materia, e non ancora conclusosi alla data della domanda.

La sentenza della Corte territoriale

L’adita Corte d’appello, con decreto depositato in data 3 ottobre 2013, rigettava il ricorso sulla base del rilievo che l’eccedenza del termine di durata ragionevole del processo fosse “minimale”, attesa la “non comune complessità” della causa e la circostanza che alcuni rinvii non fossero stati giustificati da esigenze difensive.

Il motivo del ricorso per cassazione.

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, censurando il decreto impugnato quanto alla determinazione della durata indennizzabile atteso che la Corte d’appello, da un lato, si sarebbe limitata a definire apoditticamente il giudizio presupposto di “non comune complessità”, senza tuttavia svolgere alcuna valutazione in concreto a tal riguardo, e dall’altro avrebbe errato nel detrarre per intero la durata dei rinvii, determinati dalla adesione dei difensori alla astensione dalle udienze. Per la parte ricorrente, difatti, tali rinvii non potevano essere integralmente imputati al comportamento proprio, ma dovevano altresì essere addebitati alle carenze dell’ufficio giudiziario.

La Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendolo infondato.

Precisano i giudici di legittimità che “in tema di diritto all’equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n.89, per la valutazione della ragionevole durata del processo deve tenersi conto dei criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamato dalla norma interna, deve riconoscersi soltanto il valore di precedente, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolatività per il giudice italiano. Anche in tale prospettiva, l’accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell’autorità – così come la misura del segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione” (Cass. n. 24399 del 2009).

Per gli Ermellini è corretta la decisione della Corte d’appello la quale ha ritenuto, avuto riguardo all’oggetto della controversia, che la durata ragionevole del giudizio presupposto dovesse essere superiore a quella ordinaria, avendo valutato il detto giudizio come di “non comune complessità”, ed essendosi assunta quale causa petendi un illegittimo cartello concluso tra la propria compagnia assicuratrice e altre società del medesimo ramo, inteso a far aumentare i costi delle polizze in danno dei consumatori.

Sostengono ancora i giudici di piazza Cavour che il decreto avente ad oggetto l’equa riparazione per irragionevole durata del processo necessita sì di motivazione, ma è sufficiente – per esigenze di concisione e speditezza – che essa sia fornita in forma sintetica, potendo il giudice limitarsi ad indicare i criteri alla base del proprio giudizio, di cui all’art. 2, secondo comma, della legge n. 89 del 2001, quali, nello specifico, la complessità delle questioni trattate e il comportamento tenuto dai soggetti coinvolti, senza essere tenuto a ripercorrere i passaggi processuali della cui durata è chiamato a discutere (Cass. n. 1600 del 2003), così come avvenuto nel caso di specie.

Se l’eccedenza della lungaggine è minimale, non spetta alcun indennizzo.

Per la Suprema Corte, non coglie nel segno il ricorrente allorquando obietta che la Corte d’appello non abbia determinato quale avrebbe dovuto essere la durata ragionevole, atteso che dal decreto impugnato emerge che il giudizio presupposto è iniziato con citazione notificata il 7 novembre 2005, mentre la domanda di equa riparazione è stata depositata il 18 gennaio 2010; il che comporta – a giudizio della Cassazione – che a tale data la durata complessiva del giudizio presupposto era di circa quattro anni e tre mesi, e che il riferimento alla eccedenza minimale della durata di tale giudizio rispetto a quella ragionevole non può non essere riferita allo scostamento di tre mesi dalla durata ragionevole di quattro anni.

Il principio di diritto richiamato a proposito della eccedenza minimale.

Per i giudici di piazza Cavour “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, l’esistenza del danno non patrimoniale può presumersi solo quando il processo superi in modo significativo la sua durata ragionevole, non anche quando esso trovi definizione a ridosso di tale termine, superandolo di pochi mesi (cinque, nel caso di specie). In questa evenienza, infatti, appare logico presumere, in relazione alla natura del danno stesso e sempre che non risultino indicazioni contrarie scaturenti in primo luogo dall’importanza della posta in gioco, che un lasso di tempo così breve di eccedenza non possa provocare a carico della parte sofferenze e patemi d’animo apprezzabili e, quindi, autonomamente enucleabili come danno evento” (Cass. n. 5317 del 2013);

Non può essere valutato il periodo futuro alla proposizione della domanda di equa riparazione.

Per gli Ermellini, il ricorrente non coglie nemmeno nel segno allorquando obietta che il giudizio presupposto, alla data della domanda, era ancora pendente, atteso che, “ove la relativa domanda sia proposta durante la pendenza del processo presupposto, il giudice deve prendere in considerazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della durata di detto processo, il solo periodo intercorrente tra il suo promovimento e la proposizione del ricorso per equa riparazione, non potendo considerare altresì l’ulteriore ritardo, futuro ed incerto, suscettibile di maturazione nel prosieguo del primo processo. Una tale valutazione prognostica, secondo l’orientamento dei giudici di legittimità, sarebbe infatti esclusa dalla lettera dell’art. 2 della legge cit., che si riferisce ad un evento lesivo storicamente già verificatosi e dunque certo, mentre a sua volta l’art. 4, permettendo l’esercizio dell’azione anche in pendenza del processo presupposto, come nella specie avvenuto, delimita l’ambito del pregiudizio, anticipando la liquidazione per ogni violazione già integrata, e fa implicitamente salva la facoltà di proporre altra domanda in caso di eventuale ritardo ulteriore” (Cass. n. 8547 del 2011).

I rinvii conseguenti all’astensione degli avvocati.

Conclude la Suprema Corte precisando che quanto alla denunciata erronea detrazione dei rinvii conseguenti all’astensione degli avvocati dalle udienze, contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrente, il rinvio delle udienze per effetto dell’astensione dei difensori dall’attività di udienza non è in sé imputabile all’organizzazione dell’ufficio giudiziario, essendo riferibile ad una scelta consapevole del difensore, per tale ragione addebitabile, in sede di equa riparazione, alla parte rappresentata che lamenti la irragionevole durata del processo nel quale la detta astensione è avvenuta.

Il principio richiamato a proposito dei rinvii per astensione degli avvocati.

La Suprema Corte condivide il principio in base al quale “l’equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n, 89 integra un credito a contenuto indennitario, non risarcitorio, prescinde da atti o contegni illeciti od illegittimi, deriva dall’oggettivo verificarsi d’inosservanza dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con lesione del diritto della persona alla definizione della causa in un termine ragionevole, in dipendenza dell’inefficienza dell’organizzazione giudiziaria, e, dunque, abbraccia tutte le “violazioni di sistema”, ivi incluse quelle riconducibili a scelte legislative che determinino o concorrano a determinare l’eccessivo protrarsi della lite. Fra le indicate “violazioni di sistema” non può essere compresa l’omessa emanazione di norme di legge per disciplinare l’esercizio del diritto di astensione dalle udienze degli avvocati, giacché la mancanza di dette norme non è causa o concausa, secondo i comuni parametri in tema di nesso eziologico, del rinvio dell’udienza per l’adesione dei difensori a manifestazione di protesta, detto rinvio restando riferibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, nell’esercizio di diritti a rilevanza costituzionale che quella disciplina non potrebbe comunque compromettere, e, quindi, rimanendo imputabile a fattori esterni ed estranei all’organizzazione giudiziaria” (Cass. n. 2148 del 2003; Cass. n. 15143 del 2005; Cass. n. 29000 del 2005; e di recente: Cass. n. 7323 del 2015). Da qui il rigetto della ricorso.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna offre diversi spunti di riflessione. Uno dei temi che affronta, ripercorre e risolve è quello della valenza dei rinvii delle udienze determinati dall’adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’ordine professionale di appartenenza.

Visto da una certa angolazione, il ragionamento della Suprema Corte appare coerente con l’impianto normativo.

Ma, visto da altra angolazione, il ragionamento potrebbe non apparire facilmente condivisibile.

I giudici di legittimità affermano che il rinvio dell’udienza per l’adesione dei difensori a manifestazione di protesta rimane riferibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti.

Il senso di tale affermazione, però, va coniugato con quanto la stessa Suprema Corte afferma subito dopo, vale a dire che tali scelte vengono compiute nell’esercizio di diritti a rilevanza costituzionale.

Ed allora, considerando che l’astensione dalle udienze può essere proclamata (anzi succede spesso così) proprio per protesta contro il malfunzionamento del sistema giudiziario, appare difficile comprendere come detti rinvii debbano essere imputati “a fattori esterni ed estranei all’organizzazione giudiziaria”.

L’organizzazione giudiziaria è una sola, e l’avvocatura fa parte di essa.

Se l’avvocatura indice una protesta per far valere il riconoscimento di diritti anche (e soprattutto) a favore del cittadino, quest’ultimo non può essere penalizzato perché il proprio difensore ha aderito alla astensione.

Tra l’altro, l’adesione viene, di norma, indetta nell’arco di alcuni giorni. Il rinvio dell’udienza, determinato dall’esercizio del diritto di sciopero, invece, avviene di norma per periodi molto più lunghi. E ciò non ha nulla a che vedere con lo sciopero degli avvocati, bensì con l’organizzazione giudiziaria.

Come dire, a tutto voler concedere si potrebbe detrarre, dal computo del termine, la somma dei singoli giorni di astensione, ma non l’intero arco temporale del rinvio determinato dall’astensione, rinvio certamente non stabilito dal difensore ma dal giudice.

L’astensione dalle udienze dei GOT viene computata ai fini del calcolo del termine; quella degli avvocati, no.

Una disparità che merita, a parere di chi scrive, una rilettura.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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