Corte Suprema di Cassazione – Sezioni Unite Civili – sentenza n. 29 del 5 gennaio 2016

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Sentenza

1. – In data 7-8 giugno 2012, il Comune di (Comune Omissis) notificò ad (opponente) ingiunzione fiscale n. 3424 prot. – emessa ai sensi dell’art. 2 del R.d. 14 aprile 1910, n. 639, sulla base di due avvisi di accertamento, n. 224 del 3 dicembre 2009 e n. 149 del 2 novembre 2010, nonché della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova n. 181/02/11 del 19 maggio 2011 -, intimandole il pagamento della somma di € 127.846,00, a titolo di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.) per gli anni 2006 e 2007, oltre interessi e spese, dalla stessa dovuta in relazioni a terreni di sua proprietà siti in detto Comune.

Successivamente, in data 28-29 giugno 2012, il Comune di (Comune Omissis) notificò ad (opponente) altra ingiunzione fiscale n. 1868 prot. – emessa ai sensi dell’art. 2 del R.d. n. 639 del 1910, sulla base dell’avviso di accertamento n. 66 del 4 febbraio 2011, nonché della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova n. 21/01/12 del 16 febbraio 2012 -, intimandole il pagamento della somma di € 62.930,00, a titolo di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.) per l’anno 2008, oltre interessi e spese, dalla stessa dovuta in relazioni ai medesimi terreni di sua proprietà siti in detto Comune.

1.1. – Con citazione del 5 luglio 2012, la Bellini propose opposizione – ai sensi dell’art. 3 del citato R.d. n. 639 del 1910 – avverso dette ingiunzioni, convenendo dinanzi al Tribunale ordinario di Brescia, sezione distaccata di Breno, il Comune di (Comune Omissis), per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: «In via preliminare: sospendere, ex artt. 32 e 5 D. Lgs. 150/2011, l’efficacia esecutiva delle ingiunzioni fiscali n. 3424 prot. e 1868 prot. [….]. Nel merito: dichiarare l’inesistenza e/o l’inammissibilità e/o la nullità e/o l’annullamento e comunque l’inefficacia, per i motivi dedotti in narrativa, delle ingiunzioni fiscali n. 3424 prot. e 1868 prot. [….] per tutti i motivi dedotti. [….]».

Costituitosi, il Comune convenuto eccepì il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito, essendo la giurisdizione nella materia oggetto del giudizio attribuita al Giudice tributario, e concluse chiedendo: «In via principale e nel merito: dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di competenza [recte: giurisdizione], ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 5 del D. Lgs. 546/92, indicando quale Commissione Tributaria Provinciale competente quella di Mantova, essendo l’atto impugnato emesso dal Comune di (Comune Omissis) (MN) [….]»

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 6/2013 del 16 gennaio 2013, pronunciata ai sensi dell’art. 281-sexies cod. proc. civ., ha così, tra l’altro, provveduto: «Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere del presente giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale ex art. 3 R.D. n. 639 del 1910 [….]; dichiara l’incompetenza per territorio del Tribunale adito a conoscere e decidere del presente giudizio, competente essendo il Tribunale di Mantova [….]».

In particolare, per ciò che in questa sede ancora rileva, il Tribunale ha così motivato la decisione:

A) «Il recente decreto legislativo n. 150 del 2011 [….] prevede, invero, all’art. 32 che “le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui all’articolo 3 del [….] regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sono regolate dal rito ordinario di cognizione”. Il successivo art. 36, inoltre, stabilisce che le norme del suddetto decreto si applichino ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Ne deriva che, avendo il giudizio, come detto, l’impugnazione di un’ordinanza ingiunzione emessa dal comune per il recupero di un’imposta comunale ed essendo stata la causa incardinata con citazione notificata al Comune di (Comune Omissis) nell’aprile 2012, successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 150/2011, è corretto affermare la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere del presente giudizio sulla base del menzionato art. 32 con superamento di tutte le questioni sollevate sul punto dalla difesa della parte convenuta, fondate su disposizioni di legge tutte antecedenti le più recenti modifiche normative in tema di semplificazione dei procedimenti civili».

B) «Va, peraltro, dichiarata la incompetenza per territorio del Tribunale adito a decidere del presente giudizio, competente essendo il foro di Mantova ove si trova il Comune di (Comune Omissis) autore dell’ingiunzione fiscale. L’eccezione di incompetenza territoriale, invero, è da ritenersi insita nella stessa difesa del convenuto che ha indicato la Commissione Tributaria Provinciale di Mantova quale giudice ritenuto territorialmente competente essendo stato l’atto impugnato emesso dal Comune di (Comune Omissis) (MN). La competenza territoriale del foro di Mantova trova riscontro nella espressa previsione da parte dell’art. 32 D. Lgs. n. 150/2011, comma n. 2, della competenza del giudice de/luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto».

2. – Avverso tale sentenza (opponente) ha proposto ricorso con istanza di regolamento di competenza, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria, e chiedendo, tra l’altro, alla Corte di cassazione di «annullare la sentenza n. 6/13 [….], con la quale il predetto Tribunale ha declinato la propria competenza a conoscere dell’opposizione a ingiunzione fiscale [….]; per l’effetto, dichiarare competente lo stesso Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Breno, a decidere della causa sopra descritta [-.-.]».

Il Comune di (Comune Omissis), benché ritualmente intimato, non si è costituito né ha svolto attività difensiva.

3. – Assegnato il ricorso alla Sezione VI, sottosezione I, questa, con ordinanza interlocutoria n. 5434 del 7 marzo 2014, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Il Collegio – riassunta la predetta fattispecie sostanziale e processuale – ha, in particolare, osservato quanto segue:

«Così richiamati i fatti di causa, si osserva che appare rilevante, ai fini del decidere, il riesame del dibattuto rapporto di pregiudizialità tra la questione di giurisdizione e quella di competenza. Ad avviso di questo Collegio, sembra condivisibile l’opinione risalente, un tempo maggioritaria, che la competenza rivesta carattere prioritario: giacché l’accertamento della spettanza della giurisdizione – o anche, in radice, dell’esistenza stessa della giurisdizione, in ipotesi di assoluta carenza di azione – non può che essere decisa dal giudice in astratto competente per materia, valore e territorio a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda.

In virtù del principio che ogni giudice è competente a decidere della propria competenza, sembra evidente che tale accertamento sia pregiudiziale rispetto a qualunque altra questione, di rito o di merito, costituendo un riflesso del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.): tanto più, rispetto a questioni, come quella della giurisdizione, suscettibili di pronuncia con attitudine a preclusione pro judicato (Cass., sez. unite, 17 dicembre 2007 n. 26483). Che l’esistenza, o no, della potestas judicandi nel caso concreto possa essere accertata da un giudice potestativamente individuato dalla parte – eventualmente in violazione di tutti i criteri di radicamento della competenza – appare, infatti, tesi del tutto eccentrica ai principi generali che informano il processo; e certo, non assimilabile all’evenienza, tutt’altro che rara, di statuizione sulla giurisdizione emessa da giudice ritenutosi erroneamente competente: non inficiata, a differenza della prima, da incompatibilità di decisum, e dunque intimamente coerente, restando solo soggetta ad un fisiologico sindacato nella naturale sede di impugnazione. Né si può sostenere, sotto altro profilo, che l’accertamento sulla sussistenza della giurisdizione resti salvo all’esito di translatio iudicii al giudice competente. La conservazione degli effetti processuali (oltre che sostanziali, come l’interruzione-sospensione della prescrizione, l’efficacia della trascrizione, l’impedimento di decadenze, ecc.) è preservata in ordine ai soli atti istruttori – e cioè, tipicamente, le prove assunte: che non degradano ad argomenti sussidiari di prova ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civile, come invece nella trasmigrazione tra giurisdizioni diverse (art. 59, comma 5, legge 18 giugno 2009, n. 69) – ed eventualmente cautelari (principio affermato, sia pure con efficacia interinale, dall’art. 15, comma 7, cod. proc. amm. e dall’art. 27 cod. proc. pen.). Ma non certo per le sentenze, che vengono, per definizione, travolte ex post dall’accoglimento del regolamento di competenza, necessario, facoltativo o d’ufficio: e che dunque nascerebbero inutiliter datae nell’ipotesi speculare di un’incompetenza dichiarata ex ante. Con l’unica eccezione, senza dubbio vistosa, della sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata dal giudice incompetente: fatta salva dalla norma – di natura speciale, se non eccezionale – di cui al novellato art. 9-bis. I. fall. Nell’ottica della ricostruzione dogmatica condivisa da questo Collegio appare dunque oggettivamente contraddittorio il provvedimento del Tribunale di Brescia sezione distaccata di Breno che afferma la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia della quale si dichiara contestualmente incompetente, per territorio, a conoscere. Con l’ulteriore corollario che tale accertamento positivo resta tamquam non esset; onde questa Corte, investita di un regolamento – definibile, per l’effetto, incontestabilmente necessario – potrebbe rilevare d’ufficio la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad una controversia di natura tributaria (in tema di I.C.I.), rimessa alla cognizione delle commissioni tributarie: in conformità con l’indirizzo assolutamente costante secondo cui il fatto che l’opposizione ad ingiunzione prevista dal R. D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 3, dia luogo ad un ordinario processo di cognizione – in cui è assicurata al privato destinatario la possibilità di contestare e, ricorrendone gli estremi, di far cadere la pretesa fatta valere in ingiunzione, mediante l’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti di legge cui viene rapportata l’obbligazione – non è rilevante ai fini della soluzione della questione di giurisdizione: in quanto la norma in esame non reca deroga all’ordinario riparto di giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e pertanto non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti in esse dedotti, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (Cass., sez. un., 08/02/2013, n. 3043; Cass., sez. un., 18/12/2008, n. 29529; Cass. sez. un. 1232/2002). Per pervenire ex officio a tale riaffermazione di principio non sarebbe necessario, in ultima analisi, procedere al révirement (sollecitato nelle conclusioni del P. G.) della giurisprudenza di legittimità, preclusiva, per contro, del rilievo officioso nell’ambito di un regolamento facoltativo di competenza (Cass., sez.3, 12 novembre 1999 n. 12566; Cass., sez. unite 23 giugno 1995 n. 7086); pur se condivisibili, al riguardo, appaiono le argomentazioni dell’organo requirente. La dizione testuale dell’art. 37 cod. proc. civ. (“Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”), sembra infatti prescindere – fuori dell’ipotesi di un giudicato, anche implicito – dal limite, connaturale al principio devolutivo, dell’articolazione di un motivo ad hoc. Questo collegio deve peraltro prendere atto che la ricostruzione dogmatica suesposta, recepita, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità e da autorevole seppur risalente dottrina – anche sulla base dell’argomento sussidiario (per la verità, di più dubbia consistenza) che la questione di giurisdizione abbia natura di merito – è stata contraddetta in taluni precedenti di questa Corte, ove si assegna, invece, alla giurisdizione una posizione gradatamente prioritaria, sotto il profilo logico, rispetto alla questione di competenza (Cass., sez. unite 26483/2007 cit.; Cass., sez. unite 22 aprile 1999 n. 248, nessuna delle quali, peraltro, emessa a composizione di un contrasto giurisprudenziale). Si palesa dunque necessario rimettere di nuovo la problematica alle sezioni unite per un’eventuale rivisitazione critica dell’indirizzo più recente: muovendo dal rilievo che la questione della giurisdizione, pur se in astratto preliminare in rapporto alla competenza, che ne rappresenta una frazione – principio richiamato nella ratio decidendi riprodotta nelle relative massime e su cui si dovrebbe consentire, ove a decidere fosse ab initio la Corte di legittimità, deputata a dirimere in via definitiva il riparto di giurisdizione e di competenza – non si traduce in pregiudizialità giuridica qualora sia invece il giudice di primo grado (potestativamente adito dalla parte attrice) ad esaminarla; e che dovrebbe invece astenersene, ove riconosca di non essere stato correttamente individuato: riservandone la cognizione, unitamente al merito, al diverso giudice da lui ritenuto competente».

4. – Assegnato il ricorso all’udienza pubblica delle Sezioni Unite, all’esito dell’odierna udienza di discussione, il Procuratore generale ha concluso, chiedendo, in via principale, di dichiarare d’ufficio il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario e, in subordine, il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo (con cui deduce: «La corretta qualifica dell’eccezione preliminare sollevata dal Comune di (Comune Omissis) in termini di eccezione di giurisdizione»), con il secondo (con cui deduce: «La competenza territoriale in materia di opposizione ad ingiunzione fiscale. La rilevabilità di ufficio dell’eccezione di incompetenza») e con il terzo motivo (con cui deduce: «La tempestività del rilievo d’ufficio dell’incompetenza territoriale») – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica la sentenza impugnata, e – premesso, in primo luogo, che è condivisibile l’affermazione del Giudice a quo, di sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario in forza del combinato disposto degli artt. 32 e 36 del d. Igs. n. 150 del 2011 e, in secondo luogo, che il Comune convenuto, con la comparsa di costituzione e risposta, aveva sollevato esclusivamente un’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice ordinario adito a conoscere la controversia promossa dalla stessa ricorrente – sostiene che il Giudice a quo ha erroneamente: a) «[….] pronunciato sull’incompetenza territoriale del giudice di primo grado adito, pur non essendo stata formulata ritualmente un’eccezione in tal senso [….]»; b) «[….] ritenuto che tale eccezione possa desumersi per implicito dalle difese del convenuto [….]»; c) «[….] ritenuto ritualmente formulata un’eccezione di incompetenza in cui il giudice che il convenuto riteneva, in ipotesi, territorialmente competente, è stato indicato in modo errato (il Comune indicava infatti come competente la Commissione Tributaria di Mantova, non il Tribunale di Mantova), in spregio a quanto previsto dall’art. 38 c.p.c.»; d) «[….] rilevato d’ufficio la propria incompetenza territoriale, pur non prevedendo la legge (art, 32 del D. Lgs. n. 150/2011) per le opposizioni alle ingiunzioni fiscali un foro funzionale e inderogabile»; e) «[non] rilevato la propria incompetenza territoriale in favore del giudice funzionalmente competente alla prima udienza ex art. 183 c.p.c.».

2. – La fattispecie alla base del ricorso in esame sta in ciò:

a) che il Tribunale ordinario di Brescia – investito da un’opposizione ad ingiunzione in materia di I.C.I., promossa ai sensi dell’art. 3 del R. d. 14 aprile 1910, n. 639 (Testo unico delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, dei proventi di demanio pubblico e di pubblici servizi e delle tasse sugli affari), ed a fronte dell’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice adito in favore del Giudice tributario sollevata dal Comune impositore convenuto – ha, in primo luogo, affermato la giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere la controversia in forza dell’art. 32 del d. lgs.10 settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), e, in secondo luogo, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio, indicando come competente il Tribunale ordinario di Mantova, «essendo stato l’atto impugnato emesso dal Comune di (Comune Omissis) (MN)»;

b) che, avverso tale pronuncia, l’opponente – la quale condivide l’affermata giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere la controversia – ha proposto regolamento di competenza, chiedendo di «annullare la sentenza […], con la quale il predetto Tribunale ha declinato la propria competenza a conoscere dell’opposizione a ingiunzione fiscale [….]; per l’effetto, dichiarare competente lo stesso Tribunale di Brescia-sezione distaccata di Breno a decidere della causa sopra descritta [….]».

3. – L’ora descritta fattispecie processuale pone dunque, alla luce delle considerazioni svolte dalla su riprodotta ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite, la seguente specifica questione:

– se, qualora avverso una sentenza di primo grado – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, dichiarando la propria incompetenza per territorio ed indicando il diverso giudice ritenuto territorialmente competente – sia stato proposto regolamento di competenza, la Corte di cassazione possa o no, in tale sede, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario originariamente adito.

4. – L’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite sollecita opportunamente – ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., in presenza di non univoci orientamenti della Corte, come si vedrà -, «il riesame del dibattuto rapporto di pregiudizialità tra la questione di giurisdizione e quella di competenza [sembrando] condivisibile l’opinione risalente, un tempo maggioritaria, che la competenza rivesta carattere prioritario: giacché l’accertamento della spettanza della giurisdizione – o anche, in radice, dell’esistenza stessa della giurisdizione, in ipotesi di assoluta carenza di azione – non può che essere decisa dal giudice in astratto competente per materia, valore e territorio a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda. In virtù del principio che ogni giudice è competente a decidere della propria competenza, sembra evidente che tale accertamento sia pregiudiziale rispetto a qualunque altra questione, di rito o di merito, costituendo un riflesso del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.)», sollecitando altresì, in particolare, «un’eventuale rivisitazione critica dell’indirizzo più recente: muovendo dal rilievo che la questione della giurisdizione, pur se in astratto preliminare in rapporto alla competenza, che ne rappresenta una frazione – principio richiamato nella ratio decidendi riprodotta nelle relative massime e su cui si dovrebbe consentire, ove a decidere fosse ab initio la Corte di legittimità, deputata a dirimere in via definitiva il riparto di giurisdizione e di competenza – non si traduce in pregiudizialità giuridica qualora sia invece il giudice di primo grado (potestativamente adito dalla parte attrice) ad esaminarla; e che dovrebbe invece astenersene, ove riconosca di non essere stato correttamente individuato: riservandone la cognizione, unitamente al merito, al diverso giudice da lui ritenuto competente».

4.1. – L’affermazione – secondo cui la questione di competenza, intesa quale “frazione o misura della giurisdizione”, sta, sul piano logico-giuridico, in posizione successiva e conseguente a quella di giurisdizione e presuppone, quindi, che sia stata preventivamente risolta in senso affermativo tale ultima questione, cioè che sia divenuta certa e definitiva l’attribuzione al giudice ordinario della potestas judicandi in ordine alla controversia in atto – è risalente e prevalente nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22776 del 2012, 3328 del 1994, 248 del 1999, 261 del 2003; ma cfr., precedentemente, le sentenze nn. 4682 del 1980 e 5291 del 1985).

L’argomento che la sorregge consiste nel rilievo che «il problema della competenza, come frazione o misura della giurisdizione, sorge come questione logicamente successiva e conseguente da affrontare solo dopo che sia stato risolto affermativamente il quesito sulla giurisdizione, in quanto il problema della competenza presuppone che sia divenuto certa e definitiva l’attribuzione a decidere quella determinata controversia al giudice ordinario, in quanto appartenente a quest’ultimo e non al giudice amministrativo. In realtà, la questione della competenza comporta un problema di distribuzione o di ripartizione del potere di decidere tra i diversi giudici ordinari, sicché non può che porsi su di un piano ulteriore e logicamente successivo rispetto al problema di giurisdizione» (così la motivazione della sentenza n. 3328 del 1994 cit.).

Si tratta – com’è evidente – di un tradizionale argomento di carattere logico-giuridico, fondato prevalentemente sulla definizione della competenza come «frazione o misura della giurisdizione». Tale argomento tuttavia, ad avviso del Collegio, richiede un più solido fondamento, basato prevalentemente, se non esclusivamente, sull’analisi dell’ordinamento giurisdizionale positivo, quale emerge innanzitutto dal disegno costituzionale.

Occorre perciò riesaminare il problema del rapporto di pregiudizialità tra questione di giurisdizione e questione di competenza – la soluzione del quale rileva indubbiamente per la soluzione della più specifica questione posta dalla su descritta fattispecie processuale (cfr., supra, n. 3.) – alla luce della disciplina (non soltanto ordinaria, ma) soprattutto costituzionale: l’attribuzione della potestas judicandi a diversi ordini giurisdizionali di magistrati e della potestas decidendi ai diversi magistrati appartenenti ad un medesimo ordine è infatti, come si vedrà in dettaglio, tema squisitamente costituzionale, concernendo la stessa configurazione del potere giudiziario delineata dalla Costituzione («La Magistratura», di cui al Titolo IV della Parte seconda, intitolata «Ordinamento della Repubblica») in rapporto sia con gli altri poteri dello Stato (rapporto relativamente al quale rileva il principio della “riserva di giurisdizione” che, «non enunciato esplicitamente da una singola norma costituzionale, ma chiaramente desumibile in via sistematica da tutto il Titolo IV della Parte II della Costituzione [….] consiste nella esclusiva competenza dei giudici – ordinari e speciali – a definire con una pronuncia secondo diritto le controversie, che coinvolgano diritti soggettivi o interessi legittimi, loro sottoposte secondo le modalità previste dall’ordinamento per l’accesso alle diverse giurisdizioni»: così la Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2013, n. 12.5. del Considerato in diritto), sia con tutti coloro che “accedono alla giustizia”.

Al riguardo, appaiono indispensabili alcune precisazioni ed esplicitazioni preliminari: sia sull’oggetto della garanzia del “giudice naturale”, di cui all’art. 25, primo comma, Cost. («Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge») – richiamato nell’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite ad evidente supporto della tesi della “pregiudizialità”, quantomeno in determinate fattispecie processuali quale quella in esame, della questione di competenza rispetto a quella di giurisdizione -, sia, più in generale, sulla disciplina costituzionale concernente l’«Ordinamento giurisdizionale» della Repubblica (Sezione prima del Titolo IV della Costituzione) e l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, al giudice amministrativo e ad altri giudici speciali.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza costituzionale concordano sulla ratio della garanzia del “giudice naturale” prevista dall’art. 25, primo comma, Cost., propria dello Stato costituzionale di diritto: l’affermazione di tale garanzia – corollario, fra i tanti, del più generale principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di portata «assolutamente generale» (Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 1971) applicandosi a tutti gli organi giurisdizionali, la cui attuazione è assistita da riserva (tendenzialmente) assoluta di legge mediante norme generali ed astratte, dettate preventivamente -, da un lato, mira ad assicurare a tutti coloro che esercitano il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.) «il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi» (cfr., per tutte, Corte costituzionale, sentenza n. 88 del 1962, n. 4 del Considerato in diritto), dall’altro e al contempo, pone una fondamentale regola di organizzazione istituzionale del potere giurisdizionale, volta ad assicurare l’indipendenza e l’imparzialità di ogni giudice, anche rispetto alla singola regiudicanda (art. 111, primo e secondo comma, Cost.).

Va immediatamente sottolineato che questa garanzia pertiene non soltanto alla “competenza in senso stretto” – come invece non infrequentemente si mostra di ritenere (pure nell’ordinanza di rimessione) – ma anche, e ancor prima, alla “giurisdizione” (o “competenza giurisdizionale”) a conoscere una determinata controversia.

Ciò è proprio quanto emerge in modo molto chiaro dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale: «[….] il principio della precostituzione per legge del giudice naturale è leso soltanto quando il giudice è designato in modo arbitrario e a posteriori, oppure direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di soggetti ai quali sia attribuito il relativo potere in violazione della riserva assoluta di legge stabilita dall’art. 25, primo comma, della Costituzione, ma non anche qualora l’identificazione del giudice competente sia operata dalla legge sulla scorta di criteri dettati preventivamente, oppure con riferimento ad elementi oggettivi capaci di costituire un discrimen della competenza o della giurisdizione dei diversi organi giudicanti [….]» (così, sinteticamente, l’ordinanza n. 176 del 1998; cfr., nello stesso senso, l’ordinanza n. 343 del 2001, nonché, ex plurimis, le sentenze nn. 182 del 2014, 30 del 2011, 237 e 77 del 2007, 204 del 2004, 452 del 1997, 217 del 1993, 269 del 1992, 88 del 1962 cit.).

Del resto, anche le principali carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di “accesso alla giustizia”, affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice – lato sensu – “competente” secondo le leggi nazionali (cfr., ad esempio, l’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso ai competenti tribunali nazionali [….]»; l’art. 14, prf. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881: «Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge [….]»; l’art. 6, prf. 1, della CEDU: «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza [….] davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge [….]»; l’art. 47, prf. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente [….] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge»). Ferma dunque la garanzia della precostituzione per legge di qualsiasi giudice rispetto alla singola regiudicanda, l’utilizzazione, in sede internazionale, del generico termine “competente” dipende dall’ovvia considerazione che l’ordinamento giurisdizionale degli Stati contraenti può differire, tra l’altro, anche a seconda che sia stabilito un sistema di organizzazione della giustizia “monistico”, ovvero “pluralistico” come certamente in Italia.

La precedente sottolineatura – che la garanzia del “giudice naturale” deve essere riferita sia alla giurisdizione sia alla competenza in senso stretto – si giustifica con il piano rilievo che le norme sulla giurisdizione vanno considerate nel nostro più ampio contesto costituzionale, nel quale l’«Ordinamento giurisdizionale» della «Magistratura» (Titolo IV, Sezione prima, Cost.) è connotato dalla attribuzione della giurisdizione sia a magistrati «ordinari», anche “specializzati” in ragione della materia oggetto di giudizio (art. 102, primo e secondo comma) – ai quali è riservata giurisdizione tendenzialmente “generale” per la tutela dei diritti soggettivi (cfr., ad esempio, gli artt. 1 del R. d. n. 30 gennaio 1941, n. 12, sull’ordinamento giudiziario, 1 cod. proc. civ., 1 cod. proc. pen., 96 Cost.) -, sia a magistrati amministrativi (Consiglio di Stato ed «altri organi di giustizia amministrativa») «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione» (artt. 103, primo comma, 125, secondo comma), sia alla Corte dei conti «nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge» (103, secondo comma), sia ai tribunali militari in tempo di guerra e in tempo di pace (art. 103, terzo comma), sia infine ad altri, “revisionandi” «organi speciali di giurisdizione» (esistenti alla data del 10 gennaio 1948: art. VI, primo comma, delle disposizioni transitorie e finali), a ciascuno dei quali è attribuita giurisdizione in ragione o della situazione giuridica soggettiva sostanziale fatta valere in giudizio (per i giudici amministrativi: interessi legittimi e, «in particolari materie indicate dalla legge», diritti soggettivi) e/o di determinate materie oggetto di giudizio, indicate direttamente dalla Costituzione e/o dalle leggi istitutive di detti «organi speciali di giurisdizione» (artt. 103, secondo e terzo comma, Cost., e VI disp. trans. e fin.).

Deve aggiungersi che, come per la giurisdizione ordinaria (cfr., in generale, artt. da 7 a 36, 39 e 40, nonché da 42 a 50 cod. proc. civ.), così anche per la giurisdizione amministrativa e per ciascuna altra giurisdizione “speciale” – non la Costituzione, che non detta disposizioni sulla “competenza in senso stretto”, ma – la legge ordinaria non soltanto distingue nettamente “giurisdizione” e “competenza” (come, del resto, fa l’art. 117, secondo comma, lettera I, Cost., che riserva allo Stato la legislazione esclusiva nelle materie «giurisdizione e norme processuali»), ma detta proprie e specifiche regole processuali, che stabiliscono sia criteri per la distribuzione delle controversie tra i vari organi appartenenti a ciascuna giurisdizione (competenza in senso stretto, appunto), sia forme e modi per il promovimento e per la risoluzione delle questioni e dei conflitti concernenti l’applicazione di detti criteri (cfr., ad esempio: per la giurisdizione amministrativa, gli artt. 4, da 7 a 12, da 13 a 16 cod. proc. amm., il quale ultimo articolo ha introdotto anche nella giustizia amministrativa l’istituto del regolamento di competenza, deciso dal Consiglio di Stato; per la giurisdizione della Corte dei conti, l’art. 1, comma 7, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, che attribuisce alle sezioni riunite della Corte, tra l’altro, la decisione sui «conflitti di competenza»; per la giurisdizione tributaria, gli artt. da 2 a 5 del d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni).

È dunque evidente che – diversamente dalle differenti discipline aventi ad oggetto l’ordinamento processuale di ciascuna giurisdizione e, quindi, anche la competenza in senso stretto, stabilite con legge ordinaria – è la stessa Costituzione che, in coerenza con gli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e con i princípi del «giusto processo» (art. 111, primo comma), individua «ogni magistratura» (ordinaria, amministrativa, speciali), stabilisce i principali criteri di attribuzione della giurisdizione a ciascuna di esse (artt. 102, primo e secondo comma, 103, VI disp. trans. e fin.), ed istituisce la Corte di cassazione quale unico giudice legittimato a dirimere in via definitiva questioni e conflitti di giurisdizione (art. 111, ottavo comma, Cost.), sicché le norme costituzionali ora richiamate – oltre ad aver costituito i principali parametri del sindacato di costituzionalità di norme ordinarie sulla giurisdizione (emblematica, in tal senso, è la nota sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, per violazione dell’art. 103, primo comma, Cost.) – costituiscono anche il reale fondamento della “pregiudizialità” della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza.

Infatti, in un ordinamento giurisdizionale connotato da più giurisdizioni – ciascuna, come detto, con proprie e specifiche attribuzioni giurisdizionali – , il diritto alla tutela giurisdizionale, la garanzia del “giudice naturale” e gli stessi princípi del «giusto processo», da svolgersi secondo il canone della «ragionevole durata» (art. 111, primo e secondo comma), per risultare pienamente ed effettivamente realizzati, esigono la massima certezza quanto all’individuazione del giudice legittimato alla cognizione della controversia relativamente alla quale si chiede tutela: innanzitutto, del giudice – ordinario, amministrativo, speciale appunto – al quale è attribuita, secondo Costituzione, tale cognizione (potestas judicandi) e, soltanto in seconda e definitiva approssimazione, del giudice al quale è concretamente attribuita, secondo l’ordinamento processuale di ciascun ordine giurisdizionale stabilito con legge ordinaria, la cognizione medesima (potestas decidendi).

E detta certezza è costituzionalmente assicurata dalla Corte di cassazione, alla quale, appunto, «la Costituzione (art. 111) e l’ordinamento processuale attribuiscono la funzione di giudice ultimo della legittimità (sent. n. 50 in pari data) ed, in particolare, come questa Corte ha affermato in altre sue precedenti pronunzie (sent. n. 50 e 109 del 1963), la funzione regolatrice della giurisdizione nonché delle competenze degli organi giudiziari» (così la Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 1970, n. 3. del Considerato in diritto; cfr. anche, ex plurimis, la sentenza n. 59 del 1993, n. 3. del Considerato in diritto, laddove si afferma che «le norme sui conflitti [di giurisdizione] servono proprio a stabilire quale sia il giudice naturale e se, in particolare, vi sia o meno giurisdizione [….]», nonché la sentenza n. 86 del 1982, n. 6. del Considerato in diritto, laddove si afferma, tra l’altro, che «le leggi ordinarie non possono [….] disporre delle funzioni costituzionalmente riservate alla Corte di cassazione (in base al secondo e terzo comma dell’art. 111) [ora settimo e ottavo comma]»).

Letta in tale contesto, la disciplina dettata dall’art. 37 cod. proc. civ. – «Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo» – e dal successivo art. 38 è perfettamente coerente con il delineato assetto costituzionale. Come del tutto coerenti con tale assetto sono le norme sul regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41, sia pure con il temperamento di cui all’art. 367, primo comma, cod. proc. civ.), le norme dettate dall’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) in materia di decisione delle questioni di giurisdizione e della cosiddetta translatio judicii, e anche la “norma di chiusura” di cui all’art. 382, primo comma, dello stesso codice di rito (che reca la rubrica: «Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza»), secondo cui «La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente»: norma quest’ultima che conferma chiaramente (insieme a tante altre del codice di rito), ai fini che qui esclusivamente rilevano, non solo l’ordine di priorità tra le due questioni ma anche che una questione di competenza può porsi unicamente nell’ambito di un medesimo ordine giurisdizionale previamente individuato (nel caso contemplato da questa disposizione, ovviamente, l’autorità giudiziaria ordinaria).

Può inoltre incidentalmente osservarsi, alla luce delle considerazioni che precedono, che, se il «giudice naturale precostituito per legge» è il giudice cui è attribuita sia la giurisdizione sia la competenza a conoscere una determinata controversia, la nota formula “ogni giudice è giudice della propria competenza”, risultando in detto contesto costituzionale fortemente riduttiva – o quantomeno ambigua -, va esplicitata in quella secondo cui «ogni giudice è giudice della propria giurisdizione e della propria competenza [così, esplicitamente, queste Sezioni Unite nella sentenza n. 4109 del 2007]»: infatti, anche il giudice che, in ipotesi, si ritiene privo di competenza fa parte, per definizione, del medesimo ordine giurisdizionale cui appartiene quello ritenuto competente e, dunque, può e deve rilevare, anche d’ufficio, il proprio eventuale difetto di giurisdizione.

Pertanto, tutte le osservazioni che precedono conducono univocamente alla conclusione che ogni giudice adito, anche nei casi in cui egli stesso – o la parte – dubiti della sua competenza, deve sempre verificare innanzitutto, anche d’ufficio (previa eventuale sollecitazione del contraddittorio sul punto ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ.), in conformità con le richiamate norme costituzionali e con l’art. 37 cod. proc. civ., la sussistenza della propria giurisdizione (il cui esito – è utile sottolineare – sarebbe sempre opportuno esplicitare chiaramente, ai fini dell’eventuale accertamento circa la formazione del giudicato sulla giurisdizione), e solo successivamente, in caso affermativo, della propria competenza, nel rispetto delle regole poste dall’art. 38 dello stesso codice di rito.

A definitiva riprova che quello affermato è il giusto ordine delle predette questioni, sta il decisivo rilievo che, contrariamente opinando, la previa decisione della questione di competenza potrebbe risultare del tutto inutiliter data – e, quindi, collidente, tra l’altro, con i principi di economia processuale, del “giusto processo” e della sua “ragionevole durata” – ove il giudice adito fosse poi – com’è possibile in determinate fattispecie processuali, quali quella di specie (cfr. in particolare, in fra, n. 5., lettera E) – dichiarato privo di giurisdizione.

4.2. – Dal momento che l’attribuzione e il riparto della giurisdizione tra i molteplici ordini giurisdizionali sono stabiliti da norme costituzionali e/o da norme ordinarie ad essa immediatamente riconducibili (ma pur sempre sindacabili per eventuale contrasto con le prime), la affermata “pregiudizialità” della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza – e, quindi, il correlativo dovere di esame prioritario della prima ai sensi dell’art. 37 cod. proc. civ. – può essere derogata soltanto in forza di norme o princípi della Costituzione o, comunque, espressivi di interessi o di valori di sicuro rilievo costituzionale.

Tale deroghe ricorrono, a ben vedere, in due soli casi:

a) per così dire, “a monte”, in ragione della mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale quanto all’instaurazione del «giusto processo», come ad esempio per la violazione del diritto di difesa della parte (art. 24, secondo e terzo comma, Cost.) o per l’omessa promozione di un contraddittorio effettivo (art. 111, primo e secondo comma, Cost.: cfr. al  riguardo, ex plurimis, le sentenze di queste Sezioni Unite nn. 22776 e 5873 del 2012 cit. e n. 26019 del 2008);

b) oppure “a valle”, per la formazione del giudicato – esplicito o implicito – sulla giurisdizione: il giudicato, infatti, risponde all’«esigenza di definitività e certezza» delle situazioni giuridiche controverse, che «costituisce un valore costituzionalmente protetto, in quanto ricollegabile sia al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 della Costituzione), [….] sia al principio della ragionevole durata del processo, ora assunto a rango di precetto costituzionale alla luce del secondo comma dell’art. 111 della Costituzione, come modificato dall’art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2» (così, sinteticamente, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 501 del 2000; v. anche, ex plurimis, le sentenze nn. 224 del 1996 e 129 del 2008).

Anche in forza di tale valore costituzionalmente protetto, queste Sezioni Unite hanno condivisibilmente affermato, tra l’altro, che l’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ. deve tenere conto dei princípi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, quest’ultimo quale «asse portante della nuova lettura della norma», nonché dell’idea di giurisdizione intesa come servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli, e che il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito (sentenza n. 24883 del 2008, e successive conformi: cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 2067 del 2011 e 5704 del 2012).

4.3. – Può, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza – in quanto fondata sulle norme costituzionali relative al diritto alla tutela giurisdizionale (24, primo comma), alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge (25, primo comma), ai principi del “giusto processo” (111, primo e secondo comma), alla attribuzione della giurisdizione a giudici ordinari, amministrativi e speciali ed al suo riparto tra questi secondo criteri predeterminati (artt. 102, primo e secondo comma, 103, VI disp. trans. e fin.) – può essere derogata soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come, ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale nell’instaurazione del “giusto processo”, oppure della formazione del giudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione».

5. – Le considerazioni sulla affermata pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza e sulle sue deroghe, nonché l’adesione al “diritto vivente” formatosi a séguito della menzionata sentenza di queste Sezioni Unite n. 24883 del 2008 consentono ora di rispondere allo specifico quesito posto dalla fattispecie processuale in esame  (cfr., supra, n. 3.: «se, qualora avverso una sentenza di primo grado – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, dichiarando la propria incompetenza per territorio ed indicando il diverso giudice ritenuto territorialmente competente – sia stato proposto regolamento di competenza, la Corte di cassazione possa o no, in tale sede, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario originariamente adito»).

Il Collegio ritiene che, in tale fattispecie – non operando la preclusione pro judícato sulla dichiarazione di giurisdizione del giudice ordinario pronunciata dal giudice a quo, e neppure l’espressa adesione della ricorrente a questa pronuncia – l’applicazione dell’art. 37 cod. proc. civ. consente di (ri)esaminare, d’ufficio, la questione di giurisdizione.

Ciò, attraverso i seguenti passaggi argomentativi:

A) Preliminarmente, non è inutile ribadire: che il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24, primo comma, Cost., include anche il diritto ad ottenere una decisione di merito («Il giusto processo civile vien celebrato non già per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano – siano esse attori o convenuti – ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, né deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che ciò si verifichi si deve adoperare il giudice»: Corte costituzionale, sentenza n. 220 del 1986, n. 7.2. del Considerato in diritto; cfr. anche, ex plurimis, le sentenze n. 123 del 1987 e n. 579 del 1990); e che a questo fine deve essere orientata l’interpretazione delle norme processuali in generale e di quelle volte all’individuazione del giudice munito di giurisdizione e di competenza: «Al principio per cui le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente – volta ad assicurare, da un lato, il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale e, dall’altro lato, l’idoneità (nella valutazione del legislatore) a rendere la migliore decisione di merito – non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa»: Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2007 cit, n. 5. del Considerato in diritto; tali affermazioni sono del resto costanti anche nella giurisprudenza di legittimità: cfr., ex plurimis, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 4109 del 2007 cit., nonché, ex plurimis, la sentenza n. 25735 del 2013).

B) Ciò premesso, il regolamento di competenza proposto dalla ricorrente deve qualificarsi come “facoltativo”, dal momento che, con la sentenza impugnata, il Giudice a quo ha pronunciato, non sulla sola competenza ma – peraltro del tutto correttamente alla luce delle considerazioni che precedono -, prima sulla propria giurisdizione, affermandola, e poi sulla propria competenza (territoriale), negandola. Al riguardo, è ormai diritto vivente che, in fattispecie identiche o analoghe, il regolamento di competenza deve qualificarsi, appunto, come “facoltativo”, per decisione sul “merito” dovendo intendersi, ai fini di detta qualificazione, non soltanto una pronunzia sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, bensì anche la risoluzione di questioni diverse, siano esse di carattere processuale o sostanziale, pregiudiziali di rito o preliminari di merito, ivi compresa la questione di giurisdizione (cfr. le sentenze di queste Sezioni Unite nn. 3092 del 1985 e 7086 del 1995, nonché, ex plurimis, le sentenze nn. 9799 del 2004, 22948 e 24285 del 2007).

C) Conseguentemente, si rende applicabile la disciplina dettata dall’art. 43 cod. proc. civ. che, com’è noto – nel prevedere che «Il provvedimento che ha pronunciato sulla competenza insieme col merito può essere impugnato con l’istanza di regolamento di competenza oppure nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito» (primo comma), e che «La proposizione dell’impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facoltà di proporre l’istanza di regolamento» (secondo comma) -, nel terzo comma, stabilisce in particolare che «Se l’istanza di regolamento è proposta prima dell’impugnazione ordinaria, i termini per la proposizione di questa riprendono a decorrere dalla comunicazione dell’ordinanza che regola la competenza; se è proposta dopo, si applica la disposizione dell’art. 48 [sospensione dei processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza]». Una volta assimilata alla pronuncia sul merito la pronuncia sulla giurisdizione – si ribadisce, ai soli fini della qualificazione del regolamento di competenza siccome «necessario» o «facoltativo» e della conseguente applicazione della rispettiva disciplina (artt. 42 o 43 cod. proc. civ.) -, la regola dettata dall’ora riprodotto art. 43 mostra con evidenza che, nella fattispecie in esame, cui si applica il primo periodo del terzo comma, non si è formato il giudicato sulla giurisdizione, essendo “sospeso” ( e non “interrotto” cfr., ex plurimis, la sentenza n. 9350 del 1990) il termine per la proposizione dell’impugnazione ordinaria (da promuoversi con l’appello: cfr., ex plurimis, le sentenze delle Sezioni Unite n. 2067 del 2011 e 5704 del 2012 citt.) da parte del Comune di (Comune Omissis), soccombente sulla questione di giurisdizione.

D) Alla soluzione dianzi preannunciata osterebbe un precedente specifico di queste stesse Sezioni Unite, secondo il quale il principio – applicabile anche in sede di regolamento di competenza -, per cui il difetto di giurisdizione può e deve essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, va contemperato con quello in base al quale i vizi della sentenza suscettibile di appello e di ricorso per cassazione possono farsi valere soltanto nei limiti e secondo le regole propri di tali mezzi d’impugnazione, con la conseguenza che, qualora avverso una sentenza di primo grado, che abbia esaminato e deciso esplicitamente sia una questione di giurisdizione sia una questione di competenza, venga proposto unicamente regolamento facoltativo di competenza, la Corte di Cassazione, nell’ambito di tale regolamento, non può esaminare d’ufficio la questione di giurisdizione – essendo la stessa (ri)esaminabile solo a séguito di appello avverso la sentenza medesima, il termine per la proposizione del quale è sospeso a norma dell’art. 43, terzo comma, cod. proc. civ. – e deve decidere la questione di competenza sul presupposto della sussistenza della giurisdizione affermata con la predetta sentenza (sentenza n. 7086 del 1995, seguíta dalla conforme sentenza n. 12566 del 1999).

In particolare, tale principio di diritto è stato così testualmente argomentato: «[….] la funzione propria del regolamento di competenza, che è quella di provocare una decisione definitiva sulla questione di competenza, non esclude, in linea di principio, che in sede di decisione del regolamento la Corte possa esaminare anche una questione di giurisdizione: il difetto di giurisdizione è infatti rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo (art. 37 cod. proc. civ.) – in questo senso, Sez. Un. 18.7.1980 n. 4682; Sez. Un. 19.2.1982 n. 1050; 8.8.1991 n. 8644 -. Si deve tuttavia osservare che l’applicazione della regola per cui il difetto di giurisdizione può e deve essere rilevato di ufficio in ogni stato e grado del giudizio trova contemperamento in quella per cui la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione (art. 161, primo comma, cod. proc. civ.). Anche rispetto alla questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, com’è quella di giurisdizione; se la questione sia stata già espressamente decisa con la sentenza della cui impugnazione si discute, il contemperamento opera nel senso di richiedere un’espressa impugnazione anche di quel capo di sentenza, perché il giudice del gravame possa tornare ad esaminare la questione (Sez. Un. 24.11.1992 n. 12518). La conclusione è quella preannunziata: pur astrattamente esaminabile, perché non coperta da giudicato, la questione di giurisdizione non può essere presa in esame di ufficio dalla Corte e la questione di competenza deve essere esaminata sul presupposto che la giurisdizione sulla domanda di condanna proposta con il ricorso per decreto di ingiunzione spetti al giudice ordinario [….]».

Com’è evidente, in questo caso – pur riconoscendosi in tale precedente che «[….] la funzione propria del regolamento di competenza, che è quella di provocare una decisione definitiva sulla questione di competenza, non esclude, in linea di principio, che in sede di decisione del regolamento la Corte possa esaminare anche una questione di giurisdizione: il difetto di giurisdizione è infatti rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo (art. 37 cod. proc. civ.) [….]», e che «pur astrattamente esaminabile, perché non coperta da giudicato, la questione di giurisdizione non può essere presa in esame di ufficio dalla Corte» -, i punti di divergenza dalla soluzione adottata nella presente fattispecie sono costituiti: 1) dal limite alla pregiudizialità della questione di giurisdizione – e, quindi, all’applicabilità dell’art. 37 cod. proc. civ. -, che è stato allora individuato nella regola processuale posta dall’art. 161, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui «La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può esser fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione» (cosiddetta “conversione dei motivi di nullità della sentenza in motivi di impugnazione”); 2) dall’affermazione per la quale «la questione di competenza deve essere esaminata sul presupposto che la giurisdizione sulla domanda [….] spetti al giudice ordinario […l». È agevole rilevare al riguardo: quanto al primo punto, che, alla luce di tutte le ragioni dianzi esposte (cfr. in particolare, supra, n. 4.2.), detto limite (di limite in sostanza si tratta e non di «contemperamento») – ancorché desunto da un principio generale dell’ordinamento processuale – non è idoneo, in mancanza della formazione del giudicato sulla giurisdizione, a derogare alla regola della necessaria pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza; quanto al secondo punto, che la soluzione adottata, per un verso, si risolve addirittura nella radicale negazione di detta pregiudizialità e, per l’altro, che l’interpretazione delle pertinenti norme processuali allora operata comporta un irragionevole sacrificio del «diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa» (cfr., supra, lettera A) .

E) Infatti – e sono gli argomenti conclusivi -, nella fattispecie in esame, come in quella alla base dell’ora ricordato precedente specifico, la “scissione” tra la questione di competenza – esaminata e decisa nell’ambito del regolamento facoltativo – e la questione di giurisdizione – da esaminare e decidere nell’ambito dell’eventuale giudizio d’appello promosso dalla parte soccombente su tale questione -, oltre a sovvertire il giusto ordine di priorità tra le due questioni, condurrebbe ad un esito “paradossale” e al contempo immediatamente lesivo dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo: ove invero, in sede di impugnazione della pronuncia sulla giurisdizione, il giudice d’appello e/o le sezioni unite della Corte di cassazione negassero la giurisdizione del giudice ordinario affermata dal giudice di primo grado dichiaratosi incompetente, ne conseguirebbe il travolgimento non soltanto della pronuncia sulla competenza (perciò inutiliter data) ma dell’intero il processo, sia pure con la salvezza, ove concretamente applicabile, della disciplina relativa alla cosiddetta translatio judicii di cui all’art. 59 della citata legge n. 69 del 2009.

Infine, in assenza di un giudicato sulla giurisdizione, una soluzione diversa da quella qui adottata implicherebbe anche la sostanziale elusione della già menzionata funzione costituzionalmente attribuita alle sezioni unite della Corte di cassazione, cioè «la funzione regolatrice della giurisdizione [….] degli organi giudiziari» (cfr., supra, n. 4.1.).

5.1. – Può, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

«Nel caso in cui avverso una sentenza (di primo grado) – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando espressamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, declinando la propria competenza ed indicando il diverso giudice ritenuto competente – sia stato proposto regolamento di competenza, da qualificarsi come “facoltativo”, la Corte di cassazione, non essendosi formato il giudicato sulla giurisdizione secondo il disposto di cui all’art. 43, terzo comma, primo periodo, cod. proc. civ., può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito ai sensi dell’art. 37 cod. proc. civ., in forza dei concorrenti principi di pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza, di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di attribuzione costituzionalmente riservata alla Corte di cassazione di tutte le questioni di giurisdizione e di competenza, nonché del rilievo che la statuizione sulla sola questione di competenza potrebbe risultare inutiliter data a séguito di un esito del processo d’impugnazione sulla questione di giurisdizione nel senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario».

6. – Pronunciando, quindi, sul ricorso, deve dichiararsi la giurisdizione del Giudice tributario a conoscere la controversia oggetto del giudizio a quo.

6.1. – Preliminarmente, deve osservarsi che il Giudice a quo ha fondato l’affermazione della propria giurisdizione sulle disposizioni di cui all’art. 32 del citato d. Igs. n. 150 del 2011, recante la rubrica «Dell’opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici», secondo il quale «1. Le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui all’articolo 3 del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sono regolate dal rito ordinario di cognizione. 2. È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto. 3. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo S.» (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 1.1.).

Così facendo, tuttavia, tale Giudice ha dato in realtà per presupposta l’affermata giurisdizione del giudice ordinario, omettendo sostanzialmente di motivare al riguardo e, prima ancora, di interpretare la disposizione applicata, dettata da un decreto legislativo delegato, alla luce della legge di delegazione (secondo il noto procedimento ermeneutico costantemente seguíto dalla Corte costituzionale per l’applicazione dei parametri di cui agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.: cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 425 del 2000 e 341 del 2007) e, in particolare, dell’art. 54, comma 1, della già menzionata legge n. 69 del 2009 che, definendo l’oggetto della delega, così dispone: «1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale».

È, quindi, evidente che il Giudice a quo ha desunto la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in questione dai soli fatti che il legislatore delegato, con il citato art. 32 del d. lgs. n. 150 del 2011, ha legiferato in materia di opposizione alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici di cui all’art. 3 del R.d. n. 639 del 1910, riconducendo le relative controversie al rito ordinario di cognizione, e che la controversia medesima è stata promossa ai sensi dell’art. 3 del R.d. n. 639 del 1910.

L’oggetto della delega lascia, invece, impregiudicata – quanto, in particolare, alle controversie introdotte con l’opposizione avverso il polivalente strumento dell’ingiunzione fiscale – l’attribuzione della giurisdizione a giudici diversi da quello ordinario: infatti, come risulta dalla relazione illustrativa del d. lgs. n. 150 del 2011, tale decreto delegato «realizza [….] la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito ordinario di cognizione, nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, e nel rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima legge n. 69 del 2009)». L’art. 54, comma 1, della legge n. 69 del 2009, in altri termini, limita l’oggetto della delega ai soli procedimenti civili di cognizione che, disciplinati da leggi speciali, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario in ragione della tutela di diritti soggettivi che con essi sono fatti normalmente valere – come emerge chiaramente dall’esame delle controversie disciplinate dal decreto legislativo delegato n. 150 del 2011 -, ma non esclude che la singola controversia, ancorché introdotta con uno dei tre predetti riti civili, possa risultare attribuita invece alla giurisdizione di un giudice diverso da quello ordinario, in ragione della natura del rapporto dedotto in giudizio, della relativa disciplina sostanziale e della tutela concretamente richiesta.

In definitiva e in generale, le disposizioni del d. lgs. n. 150 del 2011 sono dettate sul presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie ivi previste e (ri)disciplinate – come dimostra chiaramente anche il rilievo che tali disposizioni contengono spesso norme sulla competenza – e non introducono deroghe alle norme attributive della giurisdizione, sicché detta sussistenza deve essere attentamente verificata caso per caso, in ragione appunto della natura del rapporto dedotto in giudizio, della relativa disciplina sostanziale e della tutela concretamente richiesta.

In particolare e conseguentemente, per quanto rileva nella specie, queste Sezioni Unite hanno più volte affermato che, in materia di opposizione all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali dello Stato, la disposizione di cui all’art. 3 del R.d. n. 639 del 1910 non deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e, pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario controversie che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla disciplina ad essi relativa, debbano ritenersi attribuite alla giurisdizione di altro giudice, amministrativo, contabile o speciale (sentenza n. 1238 del 2002, ed ivi il richiamo dei precedenti; cfr. altresì, ex plurimis, le sentenze nn. 22904 del 2005, 15611 del 2006, 5430 e 29529 del 2008).

Le medesime considerazioni valgono – ovviamente – ad escludere che la mera sostituzione dell’art. 3 del R.d. n. 639 del 1910 ad opera dell’art. 34, comma 40, del d. lgs. n. 150 del 2011 – il quale dispone che «Avverso l’ingiunzione prevista dal comma 2 si può proporre opposizione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. L’opposizione è disciplinata dall’articolo 32 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150» – sia idonea, di per se sola, ad attribuire alla giurisdizione del Giudice ordinario tutte le controversie introdotte con l’opposizione ad ingiunzione fiscale.

6.2. – La giurisdizione a conoscere la controversia oggetto del giudizio a quo, in materia di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), è attribuita al Giudice tributario.

Com’è noto, l’art. 2, comma 1, primo periodo, del già menzionato d. lgs. n. 546 del 1992 stabilisce, tra l’altro, che «Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali [….]».

Non può poi dubitarsi, ai fini della statuizione sulla giurisdizione, della natura tributaria dell’imposta in questione, istituita e disciplinata dal d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421): la complessiva disciplina risponde, infatti, a tutti gli elementi di identificazione dei tributi, quali enucleati dalla giurisprudenza costituzionale («[….] l’irrilevanza del nomen juris usato dal legislatore, “occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo” (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005); la matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce “direttamente in forza della legge” (sentenza n. 141 del 2009), risultando irrilevante l’autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); la doverosità della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta una ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982); il nesso con la spesa pubblica, dovendo sussistere un collegamento della prestazione alla pubblica spesa “in relazione a un presupposto economicamente rilevante” (sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione stessa è destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982)»: così, ex plurimis, la sentenza n. 58 del 2015, n. 4.1. del Considerato in diritto) ed esclude, perciò, che si tratti di un’entrata patrimoniale pubblica extratributaria.

Deve aggiungersi, in particolare, che l’art. 15 del d. lgs. n. 504 del 1992, il quale disciplina appunto il «Contenzioso» in materia di I.C.I., dispone: «Contro l’avviso di liquidazione, l’avviso di accertamento, il provvedimento che irroga le sanzioni, il ruolo, il provvedimento che respinge l’istanza di rimborso può essere proposto ricorso secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, e successive modificazioni, intendendosi sostituito all’ufficio tributario il comune nei cui confronti il ricorso è proposto»: il richiamo dell’abrogato d.P.R. n. 636 del 1972, contenente la precedente disciplina del contenzioso tributario, mostra con evidenza che si tratta di norma sulla giurisdizione, attributiva perciò della giurisdizione delle controversie ivi previste al Giudice tributario.

Va precisato che tale disposizione deve ritenersi attualmente in vigore.

Infatti: a) l’art. 9, comma 7, del d. lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) – il cui art. 8, comma 1, ha istituito l’«imposta municipale propria» (I.M.U.), sostitutiva, per la componente immobiliare, dell’I.C.I. – ha stabilito, tra l’altro, che «7. Per l’accertamento, la riscossione coattiva, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applicano gli articoli 10, comma 6, 11, commi 3, 4 e 5, 12, 14 e 15 del citato decreto legislativo n. 504 del 1992 [….]»; b) l’art. 13, comma 13, primo periodo, del di. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel disciplinare l’anticipazione sperimentale dell’imposta municipale propria (I.M.U.), ha disposto, tra l’altro, che «Restano ferme le disposizioni dell’articolo 9 [….] del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»; c) successivamente, al riguardo, nulla è stato innovato a séguito della istituzione dell’imposta unica comunale (I.U.C.) ad opera della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), che anzi, all’art. 1, comma 703, stabilisce che «L’istituzione della IUC lascia salva la disciplina per l’applicazione della IMU».

Né lo strumento giuridico nella specie utilizzato dal Comune di Bagnolo San Vito per la riscossione dell’I.C.I. – l’ingiunzione fiscale di cui al citato R.d. n. 639 del 1910, appunto -, in pendenza del giudizio tributario avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento dell’imposta, come consentito dall’art. 68 del d. Igs. n. 546 del 1992 , e successive modificazioni, è idoneo ad incidere sulla affermata giurisdizione del Giudice tributario.

Infatti: a) l’art. 12 del citato d. lgs. n. 504 del 1992 (che reca la rubrica: «Riscossione coattiva») stabilisce che «1. Le somme liquidate dal comune per imposta, sanzioni ed interessi, se non versate, con le modalità indicate nel comma 3 dell’articolo 10, entro il termine di 60 giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione o dell’avviso di accertamento, sono riscosse [….] coattivamente mediante ruolo [….]»; b) l’art. 7, comma 2, lettera gg-quater), numero 1, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, e successive modificazioni, tra l’altro, ha disposto che «[….] I comuni effettuano [….] la riscossione coattiva delle proprie entrate, anche tributarie:

1) sulla base dell’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, che costituisce titolo esecutivo, nonché secondo le disposizioni del titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 [….]»; tale disposizione – applicabile alla fattispecie ratione temporis – ha dunque reintrodotto l’uso di detto strumento giuridico, già previsto dall’art. 52, comma 6, del d. Igs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successivamente abrogato dall’art. 1, comma 224, lettera b), della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

È dunque evidente che, nella specie – in cui, si ribadisce, l’ingiunzione fiscale è stata emessa in pendenza del giudizio tributario promosso avverso l’avviso di accertamento, ai sensi del menzionato art. 68 del d. lgs. n. 546 del 1992 -, tale ingiunzione fiscale è sostanzialmente equivalente all’iscrizione dell’imposta nel ruolo, notificata al contribuente. Ne consegue che il giudizio di opposizione all’ingiunzione medesima, promosso sensi dell’art. 3 del R.d. n. 639 del 1910, è assimilabile alla controversia avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo, controversia che, alla luce del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 19, comma 1, lettera d), del d. Igs. 546 del 1992, e 15 del d. Igs. n. 504 del 1992, è indiscutibilmente attribuito alla giurisdizione del Giudice tributario (cfr. al  riguardo, ex plurimis, le sentenze delle Sezioni Unite nn. 10952 del 2004, 10598 del 2005, 14386 del 2007, 8273 e 8279 del 2008).

6.3. – Può, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

«In materia di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), istituita e disciplinata dal d. Igs. 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, imposta da qualificarsi come tributo e non come entrata patrimoniale pubblica extratributaria, la controversia promossa dal contribuente – ai sensi dell’art. 3 del R. D. 14 aprile 1910, n. 639, nel testo sostituito dall’art. 34, comma 40, del d. Igs. 10  settembre 2011, n. 150, e disciplinata dall’art. 32 dello stesso d. Igs. n. 150 del 2011 – avverso l’ingiunzione fiscale, emessa dal comune in pendenza del giudizio tributario promosso contro l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 68 del d. Igs. n. 546 del 1992 e quindi sostanzialmente equivalente all’iscrizione dell’imposta nel ruolo notificata al contribuente, è assimilabile alla controversia avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo, con la conseguenza che la controversia medesima, alla luce del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 19, comma 1, lettera d), del d. Igs. 546 del 1992, e 15 del d. Igs. n. 504 del 1992, è attribuita alla giurisdizione del Giudice tributario».

7. – Dichiarata la giurisdizione del Giudice tributario, le parti vanno rimesse dinanzi a tale Giudice, competente per territorio.

8. – Non sussistono i presupposti, in mancanza di costituzione del Comune intimato, per pronunciare sulle spese del presente giudizio.

Il Collegio dà atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (comma inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228) – che non sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo ivi previsto.

P.Q.M.

Pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del Giudice tributario, dinanzi al quale rimette le parti.

Dà atto della insussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 18 novembre 2014.

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