Cassazione civile sez. III – 20 febbraio 2015 n. 3374

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Suprema Corte di Cassazione civile sez. III – 20 febbraio 2015 n. 3374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE TERZA CIVILE  – Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETTI Giovanni B. –  Presidente   –  Dott. TRAVAGLINO Giacomo  –  Consigliere  –  Dott. ARMANO     Uliana  –  rel. Consigliere  –  Dott. D’AMICO    Paolo  –  Consigliere  –  Dott. SCRIMA     Antonietta –  Consigliere  –  ha pronunciato la seguente:  sentenza sul ricorso 17471/2011 proposto da:    C.A.    (OMISSIS),   A.S. (OMISSIS),  A.D. (OMISSIS),    A. E.  (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,  VIA G.  RICCI  CURBASTRO 34/A4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA CARDELLI,  rappresentati  e  difesi  dall’avvocato  CAMPESE  EUGENIO, giusta procura speciale in calce al ricorso;   – ricorrente –   contro UGF  ASSICURAZIONI  SPA  (OMISSIS), (nuova denominazione  assunta dalla  Compagnia  Assicuratrice UNIPOL SPA, subentrata  nei  rapporti facenti capo alla AURORA SPA per effetto di atto di cessione di  ramo d’azienda da parte di tale società alla AURORA ASSICURAZIONI SPA  di incorporazione di tale ultima società nella Compagnia  Assicuratrice UNIPOL   SPA,  con  conseguente  cambio  di  denominazione   in   UGF ASSICURAZIONI  SPA),  in  persona  del  suo  procuratore   e   legale rappresentante  pro  tempore Dr.  G.G.,  elettivamente domiciliata   in  ROMA,  V.LE  G.  MAZZINI  55,  presso   lo   studio dell’avvocato  MASTROSANTI  ROBERTO, che  la  rappresenta  e  difende unitamente  all’avvocato SIGISMONDO VERDE giusta procura  speciale  a margine del controricorso;        – controricorrente – e contro MILANO ASSICURAZIONI SPA, S.F., S.D. – intimati – avverso  la  sentenza  n. 558/2011 della CORTE D’APPELLO  di  NAPOLI, depositata il 21/02/2011, R.G.N. 2678/2006; udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 12/11/2014 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO; udito l’Avvocato EUGENIO CAMPESE; udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. VELARDI  Maurizio, che ha concluso per il rigetto dei  primi  quattro motivi di ricorso, accoglimento del quinto.

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 febbraio 2011 la Corte di appello di Napoli, in relazione ad un incidente in cui sono state coinvolte più autovetture ed a seguito del quale è deceduto A.F., alla guida di una delle autovetture, ha confermato la pari responsabilità nella produzione dell’incidente di S.F., assicurato con la S.p.A. Meie Assicurazioni, poi Aurora Assicurazioni ed ora UGF Assicurazioni s.p.a., e di P.D., assicurato con la Milano Assicurazioni s.p.a..

La Corte, in accoglimento parziale delle impugnazioni proposte dalle due società assicuratrici, ha ridotto l’importo del danno non patrimoniale spettante agli eredi di A.F. nella seguente misura: per la moglie C.A., da Euro 200.000, liquidati dal primo giudice, ad Euro 150.000; per ciascuno dei due figli conviventi, da Euro 180.000 ad Euro 80.000, ed in favore del figlio non convivente e con proprio nucleo familiare,da Euro 180.000 a 50.000.

La Corte di merito ha rigettato l’impugnazione incidentale degli eredi della vittima in relazione al mancato riconoscimento del danno morale iure proprio e del danno biologico e morale iure hereditatis.

Avverso questa decisione hanno proposto ricorso gli eredi di A.F., C.A. ed i figli A. S., D. ed E., con cinque motivi illustrati da successiva memoria. Resiste la UGF Assicurazioni s.p.a..

Gli altri intimati non hanno presentato difese.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Col primo motivo di ricorso si denunzia la inammissibilità e improcedibilità degli appelli in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c..

Sostengono i ricorrenti che entrambi gli appelli delle società assicuratrici erano inammissibili e improcedibili perchè generici,in quanto censuravano solo la eccessività delle somme liquidate dal primo giudice, senza formulare specifici rilievi al metodo tabellare adottato per la liquidazione. La pronunzia era andata anche ultra petita, poichè il giudice d’appello non poteva adottare un metodo di liquidazione diverso da quello tabellare utilizzato dal primo giudice e non contestato con l’impugnazione.

  1. Il motivo è infondato.

La censura di inammissibilità e improcedibilità degli appelli è a sua volta inammissibile in quanto risulta formulata per la prima volta solo in questo grado. Infatti dalla sentenza impugnata non risulta che gli eredi di A.F. abbiano formulato tale eccezione con l’appello incidentale, nè che gli stessi nel ricorso abbiano indicato di aver tempestivamente, ed eventualmente in quale atto del giudizio di appello, formulato l’eccezione.

Infondato è il profilo del motivo di ricorso con cui si denunzia che la pronunzia del giudice di appello è andata ultra petita.

Il danno non patrimoniale deve essere liquidato secondo equità ed il giudice di appello, una volta proposta impugnazione sull’entità del risarcimento, deve necessariamente, nel valutare la fondatezza dell’impugnazione, estendere il suo scrutinio anche ai criteri di equità utilizzati dal primo giudice.

  1. Con il secondo motivo si censura la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale sotto un duplice profilo. Viene denunziata la violazione degli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost., e degli artt. 2043 e 2056 c.c., in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c., e art. 2059 c.c..

Sostengono i ricorrenti che il giudice di primo grado aveva utilizzato correttamente le tabelle milanesi dell’anno 2006 per la liquidazione della danno da perdita del rapporto parentale, fissando l’entità del risarcimento nella forbice prevista per la moglie che perde il marito e per il figlio che perde un genitore.

Secondo gli eredi A., la Corte d’appello ha violato tutte le norme in materia di valutazione del danno da perdita del rapporto parentale, riducendo l’entità del risarcimento con riferimento all’unico criterio della “congruità”.

In tal modo la Corte di appello avrebbe violato anche la pari dignità sociale e giuridica degli aventi diritto e il loro pari trattamento rispetto agli altri cittadini dello Stato, in particolare di quelli che risiedono a (OMISSIS).

Viene inoltre denunziata la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Deducono i ricorrenti che la Corte partenopea ha negato anche il risarcimento danno morale iure proprio richiesto al primo giudice, danno ulteriore rispetto al danno da perdita del rapporto parentale.

4.Con il terzo motivo si denunzia omessa e insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello ha ridotto la misura del danno da perdita di rapporto parentale senza alcuna altra motivazione che quella di una asserita congruità soggettivamente ed arbitrariamente ritenuta.

Avendo il giudice di primo grado adottato il criterio tabellare per la liquidazione del danno, il giudice di seconda istanza non poteva discostarsene senza specifica motivazione.

5.1 due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati.

La Corte d’appello ha preliminarmente definito la nozione unitaria del danno non patrimoniale iure proprio sofferto dai congiunti di una vittima, comprensivo del profilo definito danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo del danneggiato, del profilo definito danno alla salute in senso stretto ed infine del profilo di danno derivante dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto.

Ha evidenziato che il Tribunale ha escluso la sussistenza del danno biologico iure proprio, in assenza di prova della lesione dell’integrità psico-fisica, e che la liquidazione del danno non patrimoniale era comprensiva sia del profilo del danno morale che del danno da perdita del rapporto parentale.

I giudici di appello hanno poi indicato i criteri di cui si deve tener conto per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona in caso di morte di un congiunto, che sono l’intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza ed ogni altra utile circostanza, quale la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita e l’età della vittima e dei singoli superstiti;hanno posto in rilievo che all’epoca del decesso la vittima aveva 58 anni, il coniuge 54 e i tre figli rispettivamente 33, 21 al 27 anni, due conviventi con i genitori ed un terzo con un proprio nucleo familiare.

Tenendo conto che nulla era stato provato delle abitudini di vita e delle condizioni sociali della famiglia A., che la consistenza del nucleo familiare era abbastanza ampia, il grado di parentela stretto e l’età dei due coniugi non più giovanissimi; che i figli avevano da tempo superato l’età adolescenziale,la Corte di merito ha ritenuto congruo ridurre le somme liquidate dal primo giudice da Euro 200.000,00 ad Euro 150.000,00 in favore del coniuge, da Euro 180.000,00 ad Euro 80.000,00 in favore dei figli conviventi, e da Euro 180.000,00 ad Euro 50.000,00 per il figlio che si era creato il proprio nucleo familiare.

  1. La motivazione della Corte d’appello è logica, non contraddittoria e conforme ai principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di danno non patrimoniale.

Infatti la categoria generale del danno non patrimoniale – che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio – presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell’illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello da perdita del rapporto parentale definito anche esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente – occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integrante del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto (o voce) venga computato due (o più) volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni. Cass., Sentenza n. 1361 del 23/01/2014.

  1. Al pregiudizio subito dal danneggiato in caso di danno non patrimoniale non si può provvedere che con criterio equitativo, a norma del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa Corte di legittimità ha affermato che nella liquidazione equitativa del danno per evitare che la relativa decisione – ancorchè fondata su valutazioni discrezionali – sia arbitraria e sottratta a qualsiasi controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e sia pure con l’elasticità propria dell’istituto e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che lo caratterizza, i criteri che egli ha seguito per determinare l’entità del danno. (Cass. 3 luglio 1996, n. 6082; Cass. 9.5.2001, limitato a n. 6426).

Inoltre si è detto che l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti Uffici giudiziali” e che “garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono”, (Cass. n. 28290 del 2011 e Cass. n. 12408 del 2011 Sez. 3, Sentenza n. 870 del 17/01/2008 (Rv.

601456).

  1. Il giudice di appello, attenendosi a tali principi, dopo aver evidenziato che il tribunale aveva liquidato il danno senza specificare i motivi della entità della liquidazione, non ha fatto altro che personalizzare, adeguandolo al caso concreto, il risarcimento del danno non patrimoniale effettuato dal primo giudice con il metodo tabellare. Infatti, come è agevole notare, il Tribunale ha liquidato un risarcimento di entità quasi uguale per la moglie e per i figli, senza poi effettuare i alcuna distinzione fra i figli conviventi e quello che aveva già mutato le sua abitudini di vita, creandosi un proprio nucleo familiare. Inoltre il Tribunale, in base ai valori tabellari di Milano all’anno 2006 riportati dagli stessi ricorrenti nell’atto di impugnazione, ha liquidato il massimo della forbice del risarcimento per la moglie e quasi il massimo per ciascun figlio.

La Corte di appello ha opportunamente ridotto gli importi del risarcimento e li ha differenziati per i vari soggetti danneggiati, tenendo conto che i coniugi avevano una età avanzata, che i figli non erano adolescenti, ma più che maggiorenni,e che uno di essi aveva già modificato le abitudini di vita comune, creandosi il proprio nucleo familiare.

La Corte di merito ha utilizzato i criteri equitativi correttivi in modo conforme alla legge, in quanto anche l’uso delle tabelle non vieta la personalizzazione del risarcimento per adeguarlo alla specificità del caso concreto, sul rilievo che non è uguale la sofferenza della moglie e quella dei figli, che non è indifferente la circostanza dell’età giovane o matura dei coniugi e dei figli e la convivenza o meno di questi ultimi con la famiglia di origine.

La personalizzazione del danno è sorretta da adeguata motivazione, in quanto sono stati specificatamente indicati i criteri utilizzati dai giudici di appello in modo da consentire a questa Corte controllare la correttezza e la adeguatezza della liquidazione del danno.

Il risarcimento è comprensivo anche del profilo del cosiddetto danno morale soggettivo, che già dal primo giudice era stato liquidato insieme al profilo del danno da perdita del rapporto parentale, che è uno degli aspetti dell’unitario danno non patrimoniale.

  1. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell’art. 1 c.c., e artt. 1173, 2043 e 2059 c.c., e artt. 32 e 2 Cost., ex art. 360, n. 3, e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti censurano la decisione della Corte di merito che ha negato il risarcimento del danno biologico e del danno morale iure hereditatis.

Denunziano che la circostanza che il loro congiunto era sopravvissuto per solo sedici ore non era di ostacolo al sorgere in capo allo stesso del diritto al risarcimento di tali voci di danno.

  1. Il motivo è parzialmente fondato.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrità psicofisica patita dal danneggiato per il periodo di tempo indicato, e il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi “iure hereditatis”; in questo caso, l’ammontare del danno biologico terminale sarà commisurato soltanto all’inabilità temporanea, e tuttavia la sua liquidazione dovrà tenere conto, nell’adeguare l’ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte (Cass., 30 ottobre 2009, n. 23053;

Cass., 23 febbraio 2004, n. 3549 Cass. n. 28423/08, n. 458/09)).

Oltre al vero e proprio danno biologico, vi è un altro danno, pur sofferto dalla vittima, che viene definito morale e che entra nel patrimonio della stessa, quindi è trasmissibile iure hereditatis.

Tale voce di danno indubbiamente ascrivibile alla categoria del danno non patrimoniale, viene definito anche danno c.d. catastrofale.

La nozione di quest’ultimo, che risulta dall’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, è infatti quella di danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita (cfr., da ultimo, Cass. n. 8360/10, n. 19133/11).

Siffatta definizione si distingue dal danno biologico rivendicato iure hereditatis, con la precisazione che trattasi, in tutti i casi, di danni riconducibili alla più generale categoria del danno non patrimoniale, come risultante dalla ricostruzione operata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 26972/08.

  1. La Corte d’appello ha rigettato la richiesta di danno biologico da morte iure hereditatis in quanto fra la lesione e la morte non era trascorso un apprezzabile lasso di tempo in modo che si fosse potuto determinare un danno biologico trasmissibile agli eredi.

Tale decisione non è conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

La giurisprudenza di questa Corte distingue il caso in cui la morte segua immediatamente o quasi alle lesioni da quello in cui tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; nel primo caso esclude la configurabilità del danno biologico in quanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita (da ultimo Cass. 13.1.2006, n. 517); la ammette, viceversa, nel secondo caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico – fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e ne riconosce la trasmissibilità agli eredi (ex plurimis Cass. 21.7.2004, n. 13585; Cass. 21.2.2004, n. 3549). Non risulta stabilito in linea generale quale durata debba avere la sopravvivenza perchè possa essere ritenuta apprezzabile ai fini del risarcimento del danno biologico. (Cass. Sentenza n. 870 del 2008), ma è del tutto evidente che non può escludersi in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza che si protrae per 16 ore.

Poichè la Corte di merito ha affermato che la sopravvivenza di 16 ore non è stata sufficiente a fare acquistare alla vittima il diritto al risarcimento del danno biologico, la sentenza impugnata va cassata sul punto.

  1. La Corte di appello ha rigettato la domanda di danno morale soggettivo della vittima sul rilievo che il danneggiato aveva già perso conoscenza fin dal primo urto ed era giunto in ospedale in stato di coma profondo e pertanto egli non era in grado di percepire l’approssimarsi della morte.

La motivazione per giustificare il rigetto del danno morale soggettivo è conforme alla legge.

La persona che, dopo essere stata ferita, perda la vita a causa delle lesioni, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, sia rimasta lucida e cosciente. Pertanto, ove la morte segua di poche ora il verificarsi del sinistro, senza che la vittima sia stata cosciente in tale intervallo di tempo, ai congiunti non spetta il risarcimento del danno morale “iure hereditatis”. Cass., Sentenza n. 2564 del 22/02/2012 In caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale “jure haereditatis”, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso Cass. n. 28423 del 28/11/2008.

Il quinto motivo di ricorso,erroneamente indicato con il numero 4, ha ad oggetto la liquidazione delle spese di appello ed è assorbito a seguito della presente decisione.

La sentenza va cassata in relazione al quarto motivo limitatamente alla decisione sul danno biologico trasmissibile agli eredi ed il giudizio è rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

PQM
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;cassa e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2015

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