Delibazione di sentenza ecclesiastica: quando la contrarietà all’ordine pubblico è rimessa alla disponibilità del privato.  

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Può succedere, anzi succede, a seguito dell’intervento delle sezioni Unite (Cass. 16380 del 2014), orientamento confermato da Cassazione civile sez. I – 13 febbraio 2015 n. 2942

Il caso

delibazione di sentenza ecclesiastica

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Due coniugi chiedevano alla Corte di appello territorialmente competente, attraverso un ricorso congiunto, la declaratoria di efficacia della sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, avendo escluso la indissolubilità del vincolo da parte di uno dei coniugi.

La Corte d’appello pur riconoscendo la delibabilità della sentenza ecclesiastica, respingeva la domanda  avendo accertato che nella specie i coniugi avevano convissuto per un lungo periodo dopo la celebrazione del matrimonio (oltre quattro anni) ed anzi era nato un figlio fortemente voluto dalla madre. La Corte di appello rigettava dunque la domanda in aderenza a quanto stabilito da Cass. 1343/2011, secondo cui la prolungata convivenza successiva alla celebrazione matrimonio costituisce ostacolo di ordine pubblico alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio stesso.  Da qui il ricorso per cassazione.

Le doglianze mosse contro la sentenza della Corte di appello.

  • Primo motivo: violazione della L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8 di ratifica ed esecuzione dell’accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984 recante modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, nonchè degli artt. 7 e 29 Cost.;
  • Secondo motivo: violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8 cit., dell’art. 797 c.p.c., n. 7, e degli artt. 3, 7, 13, 19, e 29 Cost.,
  • Terzo motivo: contestazione in ordine all’accertamento della prolungata convivenza dei coniugi.

La Suprema Corte ritiene fondato ed assorbente il secondo motivo.

La Corte di legittimità si rifà alla sentenza, a sezioni unite, 17 luglio 2014, n. 16380, la quale, “nel confermare la non delibabilità, per contrarietà all’ordine pubblico, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio tutte le volte che la convivenza “come coniugi” si sia protratta per almeno tre anni, ha tuttavia chiarito che tale ostacolo alla delibazione costituisce materia di eccezione in senso stretto, dunque non è rilevabile d’ufficio allorchè la delibazione sia stata chiesta congiuntamente dai coniugi, tanto più che i caratteri stessi della convivenza ostativa alla delibazione, come delineati dalle Sezioni Unite, sono tali da assegnare un ruolo prevalente alla consapevole, concorde manifestazione di volontà delle parti”.

Di conseguenza, la Corte annulla la sentenza impugnata e decide nel merito la causa, in forza dell’articolo 384 c.p.c. comma 2, ultima parte, accogliendo la domanda.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte

E’ da escludere la delibabilità, per contrarietà all’ordine pubblico, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio tutte le volte che la convivenza “come coniugi” si sia protratta per almeno tre anni; tale ostacolo alla delibazione costituisce materia di eccezione in senso stretto, dunque non è rilevabile d’ufficio allorché la delibazione sia stata chiesta congiuntamente dai coniugi”.

Dunque, nel caso in esame, la Suprema Corte di Cassazione civile sez. I, con sentenza 13 febbraio 2015 n. 2942, non fa altro che applicare il principio già affermato dalla recente sentenza 17 luglio 2014 n°16380 delle sezioni unite.

Tuttavia si impone una riflessione, che prende proprio spunto dalla specifica situazione familiare nella quale non solo vi è una lunga convivenza, ma vi è addirittura un figlio nato dall’unione di due persone il cui vincolo è stato sciolto prima in sede “ecclesiastica” e poi in sede “civile”.

La Corte, anzi entrambe le Corti (di cassazione) sostengono  “la non delibabilità, per contrarietà all’ordine pubblico, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio tutte le volte che la convivenza “come coniugi” si sia protratta per almeno tre anni”, ma poi, nei fatti, sciolgono il vincolo su presupposti “procedurali”.

 Cos’è la contrarietà all’ordine pubblico.

Secondo la definizione di Livio Paladin in “Ordine Pubblico”, Novissimo Digesto., XII, Utet, Torino, 1965, l‘ordine pubblico è quell’insieme di norme fondamentali dell’ordinamento giuridico riguardante i principi etici e politici nonché di leggi la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza di tale ordinamento.

Più precisamente, a proposito di riconoscimento di sentenze straniere, secondo Cassazione civile sez. I  09 maggio 2013 n. 11021, ”In tema di riconoscimento di sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie, e ciò in ragione delle statuizioni della Corte di Giustizia le cui pronunce (non solo il dispositivo ma anche i motivi “portanti” della decisione) costituiscono l’interpretazione autentica del diritto dell’Unione europea e sono vincolanti per il giudice “a quo”.

Ed allora, a fronte della enunciazione di tali principi, sembra davvero incredibile che la non delibabilità di una pronuncia per contrarietà all’ordine pubblico possa essere aggirata dalla concorde richiesta di entrambi i coniugi, soprattutto allorquando vi sono dei figli (come nella specie). Sembra davvero incredibile ritenere che la contrarietà all’ordine pubblico possa non essere rilevata dal Giudice o dal pubblico ministero a tutela dei figli minori. E’ come se, per un attimo, ammettessimo che colui che ha denunciato un reato procedibile di ufficio potesse poi ritirare la denuncia stessa ed impedire al giudice di pronunciare la sentenza.

 Le eccezioni in senso stretto e le eccezioni in senso lato.

Qualora una eccezione può essere proposta da una parte ma può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice, si definisce “eccezione in senso lato”. Viceversa, quando l’eccezione può essere solamente proposta da una parte,  si definisce eccezione in senso stretto.

Considerazioni conclusive

Senza voler entrare in contrasto con il ragionamento seguito dalle sezioni unite, v’è da dire che, a parere di chi scrive, mal si concilia una contrarietà all’ordine pubblico con la rilevabilità della dedotta contrarietà ad opera della sola parte.

Speriamo che una simile interpretazione venga presto superata, anche perché si presta a posizioni speculative di uno dei coniugi che, in cambio della prestazione di un assenso, potrebbe mettere sul piatto della bilancia delle pretese altrimenti inaccoglibili. E quindi, in definitiva, tale principio potrebbe rivelarsi uno strumento a favore di uno dei coniugi ed in danno di colui che vuole richiedere la delibazione della sentenza.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clovuell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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