Assegno non trasferibile ed obbligo professionale di protezione della banca girataria per l’incasso

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La banca girataria per l’incasso di un assegno munito di clausola di non trasferibilità è soggetta ad un obbligo professionale di protezione, operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione sottostante, il quale le impone di adoperarsi affinché il titolo stesso sia inserito nel circuito bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso, con la conseguenza che, qualora abbia consentito la riscossione del titolo in violazione delle regole specifiche poste dall’art. 43 del regio decreto n. 1669 del 1933, dev’essere ritenuta contrattualmente responsabile nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che per la violazione delle stesse abbiano subito un danno.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 20108 del 7 ottobre 2015

Assegno non trasferibile ed obbligo professionale di protezione della banca girataria per l’incasso

Assegno non trasferibile ed obbligo professionale di protezione della banca girataria per l’incasso

Il caso

La Poste Italiane S.p.a. convenne in giudizio la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.a., per sentirla condannare alla restituzione dell’importo di Lire 142.080.000, pagato a mani di un funzionario della convenuta, a fronte della presentazione di due assegni postali non trasferibili apparentemente tratti in favore di una società sul conto corrente intestato al Comando Regione Militare Meridionale, Reparto Comando Amministrativo, e risultati successivamente contraffatti.

La sentenza di primo grado

Con sentenza del 18 febbraio 2005, il Tribunale di Crema dichiarò inammissibile la domanda per difetto di legittimazione della convenuta.

La sentenza di appello

L’impugnazione proposta dalla Poste Italiane è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Brescia con sentenza del 28 gennaio 2008. A fondamento della decisione, la Corte ha ribadito la carenza di legittimazione della convenuta in ordine all’azione di ripetizione dell’indebito, osservando che la clausola «valuta per l’incasso» apposta alla girata dell’assegno ne limitava gli effetti al conferimento di un mandato a riscuotere, in virtù del quale la Cassa era abilitata all’esercizio di tutti i diritti derivanti dal titolo, ma non ne risultava titolare, dovendo riversare al girante l’importo ricevuto. La predetta girata, pur implicando il compimento di tutti gli atti necessari per l’incasso, non equivaleva ad una cessione di credito, e non comportava quindi l’assunzione da parte della mandataria di alcun rischio in ordine all’esistenza ed all’esigibilità del credito.

Ha aggiunto la Corte che, anche a voler accedere all’assunto dell’attrice, secondo cui i titoli presentati all’incasso non erano qualificabili come assegni, in quanto redatti su moduli rubati e riempiti abusivamente, avrebbe dovuto comunque escludersi la legittimazione della Cassa, il cui funzionario, nel presentare allo incasso i titoli, aveva agito nella veste di mandatario, in virtù di delega effettivamente e validamente conferitagli dalla società beneficiaria, sul conto della quale era stato riversato immediatamente il relativo importo.

La Corte ha ritenuto pertanto irrilevanti l’avvenuta contraffazione degli assegni e la sottoscrizione sugli stessi apposta «per garanzia» dal predetto funzionario, osservando che la predetta clausola, oltre ad essere inidonea a mutare gli effetti della girata per l’incasso, imponeva alla Cassa di attestare l’identità tra il beneficiario ed il presentatore dei titoli, e rilevando che dall’istruttoria espletata era risultata l’immunità dei titoli da vizi e l’avvenuto rilascio di ampie assicurazioni da parte dell’ufficio postale. Da qui il ricorso per cassazione da parte di Poste Italiane al quale La Cassa di Risparmio ha resistito con controricorso.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., degli artt. 2013 e 2049 cod. civ., dell’art. 185 cod, pen. e dell’art. 22 del regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nonché l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel dichiarare il difetto di legittimazione della convenuta, la sentenza impugnata non ha considerato che la Cassa non aveva sollevato alcuna eccezione al riguardo, ma aveva pienamente manifestato il proprio interesse a contraddire. Essa, infatti, non aveva richiesto il versamento dell’importo degli assegni sul conto corrente della cliente, ma li aveva direttamente negoziati presso l’ufficio postale, attraverso un proprio funzionario, il quale aveva apposto, dopo il timbro della società beneficiaria, quello della Cassa, preceduto dalle locuzioni «per quietanza» e «a garanzia». Nell’escludere la legittimazione della Cassa, in qualità di mandataria della cliente, la Corte d’Appello – secondo la ricorrente – non ha poi tenuto conto della falsità degli assegni, redatti su moduli rubati e riempiti abusivamente, e della conseguente impossibilità di qualificarli come titoli, nonché di riconoscere un potere rappresentativo alla convenuta. Essa – conclude la ricorrente sul punto – non ha considerato l’illiceità penale del fatto, che comportava una responsabilità per i danni, né il ruolo attivo svolto dalla Cassa ai fini della riscossione dei titoli, la cui contraffazione aveva impedito all’operatore postale di accorgersi della falsità, né infine la conoscenza del beneficiario da parte della convenuta, a conferma della quale il funzionario di quest’ultima aveva apposto sui titoli la clausola di garanzia.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2013 cod. civ., dell’art. 22 del regio decreto n. 1669 del 1933 e dell’art. 2 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, nonché l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nell’attribuire alla Cassa la posizione del giratario per l’incasso, la Corte di merito non ha considerato che l’avvenuta riscossione dei titoli direttamente presso l’ufficio postale doveva intendersi come una girata piena, da cui derivava la responsabilità della girataria.

In quanto avente ad oggetto assegni non trasferibili, la girata per l’incasso comportava inoltre la sostituzione della banca girataria a quella trattaria nell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore e l’assunzione da parte della prima del rischio professionale derivante dall’apertura del rapporto con il cliente beneficiario.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., nonché la carenza assoluta di motivazione, osservando che, nell’attribuire alla clausola «per garanzia» l’unico scopo di certificare l’identità del presentatore degli assegni, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa costituiva espressione della volontà d’inserirsi nella circolazione dei titoli, in quanto, oltre a non essere accompagnata dalla locuzione «per conoscenza», era stata apposta dalla Cassa, incaricata della riscossione degli assegni.

I motivi di ricorso vengono ritenuti in parte infondati, in parte inammissibili.

Per i giudici di piazza Cavour, nonostante il riferimento della sentenza di primo grado alla legittimazione passiva, la questione concernente l’individuazione del soggetto tenuto alla restituzione della somma pagata a seguito della presentazione degli assegni contraffatti non ha propriamente ad oggetto la legitimatio ad causam della convenuta, bensì la titolarità passiva della pretesa azionata in giudizio, la cui contestazione, attenendo non già alla sussistenza del potere di promuovere il giudizio o resistervi, ma ai requisiti di fondatezza della domanda, è assoggettata agli oneri deduttivi e probatori ordinariamente incombenti alle parti, con la conseguente operatività delle relative preclusioni, ove con la stessa s’introducano nuovi temi d’indagine (Cass., Sez. 11, 29 novembre 2013, n. 26859; Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2091; 5 agosto 2010, n. 18207). E tali oneri, nella specie, per i giudici di legittimità, devono peraltro ritenersi tempestivamente adempiuti, avendo la convenuta sollevato la predetta questione fin dalla comparsa di costituzione in primo grado, nella quale ha individuato il soggetto passivo della pretesa restitutoria nella società prenditrice degli assegni, affermando di aver provveduto all’incasso dei titoli in qualità di delegata della stessa e di aver immediatamente versato la somma ricevuta sul suo conto corrente.

L’avvenuta contraffazione degli assegni non impedisce di qualificarli come titoli di credito.

Ciò posto, secondo gli Ermellini, non merita consenso la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui l’avvenuta contraffazione degli assegni impedirebbe di qualificarli come titoli di credito, con la conseguente inapplicabilità della relativa disciplina, e segnatamente dell’art. 26 del regio decreto n. 1669 del 1933, che, ricollegando alla girata per l’incasso il conferimento di un semplice mandato, in virtù del quale il giratario è legittimato soltanto all’esercizio dei diritti inerenti all’assegno, senza acquistarne la titolarità, esclude la possibilità d’individuare nello stesso il soggetto obbligato alla restituzione della somma riscossa. L’avvenuta redazione dei titoli posti all’incasso su moduli illecitamente sottratti ed abusivamente riempiti non esclude – proseguono i giudici di legittimità – infatti la possibilità di qualificarli come assegni, ove gli stessi siano provvisti dei requisiti formali prescritti dall’art. 1 del regio decreto n. 1669 del 1933, la cui falsità è irrilevante per l’esistenza del titolo di credito in quanto tale, risultando a tal fine sufficiente la mera apparenza della loro genuinità o veridicità.

La riscossione degli assegni presso gli sportelli della società trattaria è irrilevante.

E’ altresì irrilevante – proseguono i giudici della Suprema Corte – ai fini dell’applicabilità dell’art. 26 cit., la circostanza che la riscossione degli assegni abbia avuto luogo presso gli sportelli della società trattaria, mediante consegna materiale dei titoli da parte di un funzionario della Cassa di Risparmio contro il pagamento in contanti del relativo importo, successivamente versato sul conto corrente della società prenditrice, anziché mediante presentazione in stanza di compensazione ed accreditamento diretto del medesimo importo sul predetto conto corrente: si tratta, a detta dei giudici di legittimità – di modalità diverse di effettuazione del medesimo adempimento, la cui equivalenza, espressamente prevista dall’art. 34 del regio decreto n. 1669 cit., esclude la possibilità di ricollegare all’adozione dell’una piuttosto che dell’altra forma l’effetto di modificare la posizione del giratario per l’incasso; la legittimazione di quest’ultimo all’esercizio di tutti i diritti inerenti all’assegno, in quanto attribuita nella veste di semplice mandatario, non gli consente infatti d’inserirsi nella circolazione del titolo in qualità di titolare, in tal senso deponendo la stessa lettera dell’art. 26, secondo cui egli può girare l’assegno soltanto per procura.

L’obbligo professionale di protezione della banca girataria per l’incasso di un assegno non trasferibile

E’ pur vero che – proseguono ancora gli Ermellini – come affermato ripetutamente dalla Corte di legittimità, la banca girataria per l’incasso di un assegno munito di clausola di non trasferibilità è soggetta ad un obbligo professionale di protezione, operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione sottostante, il quale le impone di adoperarsi affinché il titolo stesso sia inserito nel circuito bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso, con la conseguenza che, qualora abbia consentito la riscossione del titolo in violazione delle regole specifiche poste dall’art. 43 del regio decreto n. 1669 del 1933, dev’essere ritenuta contrattualmente responsabile nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che per la violazione delle stesse abbiano subito un danno (cfr. Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712; Cass., Sez. III, 22 maggio 2015, n. 10534; 30 marzo 2010, n. 7618).

L’erronea qualificazione della domanda da parte di Poste Italiane

Nella specie, tuttavia, la società ricorrente, pur avendo allegato nell’atto di citazione in primo grado la condotta colposa o dolosa della Cassa di Risparmio, i cui funzionari avrebbero omesso di rilevare la contraffazione degli assegni o addirittura collaborato attivamente con i responsabili dell’illecito, non ha posto a fondamento della domanda la predetta responsabilità, ma si è limitata a chiedere, nelle conclusioni dell’atto, la dichiarazione d’insussistenza di ogni causa debendi del pagamento effettuato in favore della convenuta, con la conseguente condanna di quest’ultima alla restituzione della somma ricevuta ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.; in tal modo, essa ha proposto inequivocabilmente una domanda non già di risarcimento dei danni, in ordine alla quale avrebbe potuto riconoscersi la legittimazione passiva della Cassa di Risparmio, ma di ripetizione dell’indebito, rispetto alla quale può ritenersi legittimato esclusivamente il soggetto che, in qualità di girante per l’incasso, ha ricevuto il pagamento dell’assegno per il tramite della girataria.

Il significato della clausola “per garanzia”.

Quanto infine al significato da attribuirsi alla clausola «per garanzia», apposta alla sottoscrizione del funzionario della Cassa di Risparmio al momento della riscossione degli assegni, la ricorrente, nel contestare l’interpretazione fornitane dalla Corte distrettuale, si è limitata ad insistere sulla possibilità di ravvisarvi una manifestazione dell’intento della convenuta d’inserirsi nella circolazione dei titoli, senza tuttavia essere stata in grado d’individuare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata; in tal modo, secondo i giudici della Cassazione, essa ha dimostrato di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una nuova lettura dell’atto, non consentita alla Suprema Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare l’interpretazione fornita dal giudice di merito, ma solo quello di verificare l’eventuale violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, nella specie neppure dedotta, e la coerenza logica delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione (cfr. ex plurimis Cass., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass., Sez. lav., 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass., Sez. 11, 31 maggio 2010. n. 13242). Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna offre più di uno spunto di riflessione.

  • In primo luogo, la Suprema Corte evidenzia come, nel caso di specie, l’Istituto di credito non sia stato condannato al pagamento della somma portata dall’assegno sol perché l’attrice ha azionato una domanda di ripetizione di indebito mentre avrebbe dovuto proporre una azione di risarcimento danni.
  • In secondo luogo evidenzia come la contraffazione degli assegni non impedisce di qualificarli come titoli e, di conseguenza, deve ritenersi applicabile anche nei loro confronti la speciale disciplina di cui al regio decreto n. 1669 del 1933.
  • In terzo luogo, la Suprema Corte evidenzia come ai fini dell’applicabilità dell’art. 26 del regio decreto citato, la riscossione degli assegni avvenuta presso gli sportelli della società trattaria, mediante consegna materiale dei titoli da parte di un funzionario contro il pagamento in contanti del relativo importo, successivamente versato sul conto corrente della società prenditrice, non differisce dalla diversa modalità della presentazione in stanza di compensazione ed accreditamento diretto del medesimo importo sul predetto conto corrente. Ciò in quanto si tratta – a detta dei giudici di legittimità – di modalità diverse di effettuazione del medesimo adempimento, la cui equivalenza, espressamente prevista dall’art. 34 del regio decreto n. 1669 cit., esclude la possibilità di ricollegare all’adozione dell’una piuttosto che dell’altra forma l’effetto di modificare la posizione del giratario per l’incasso.
  • In quarto ed ultimo luogo, i giudici di legittimità evidenziano il cd. obbligo professionale di protezione della banca girataria per l’incasso di un assegno non trasferibile. Obbligo in forza del quale essa deve adoperarsi affinché il titolo stesso sia inserito nel circuito bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso, pena l’obbligo di risarcire i danni cagionati e conseguenti alla violazione delle regole specifiche poste dall’art. 43 del regio decreto n. 1669 del 1933.

In altre parole, la deviazione dal modello, per così dire, tipizzato dalla legge, determina una responsabilità per l’Istituto di Credito, responsabile proprio per aver consentito una transazione in assenza dei presupposti di legge.

In tali casi, vi è sempre almeno un soggetto danneggiato che reclama la restituzione delle somme. E la Suprema Corte indica quale è la strada da seguire: non si tratta, nel caso di specie, di richiedere la restituzione di un indebito, bensì di richiedere il risarcimento dei danni cagionati da quel comportamento illegittimo. Restituzione e risarcimento: due facce della stessa medaglia che, però, fanno una grande differenza.

Possiamo, in conclusione, affermare che in materia di circolazione di assegni, di girate, di girate per l’incasso  e di clausole di garanzia, occorre porre la massima attenzione per evitare di vocare in giudizio il soggetto giuridico errato e, soprattutto, per evitare di porre nei suoi confronti una domanda giuridicamente erronea o erroneamente qualificata.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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