Vincolo della continuazione tra reati e precedente riconoscimento per fatti commessi nello stesso arco temporale

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Il giudice dell’esecuzione, investito da richiesta ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., non può trascurare, ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, la valutazione già operata in fase di cognizione, con riguardo a episodi criminosi commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda sottoposta al suo esame, nel senso che le valutazioni espresse in proposito nel giudizio di cognizione assumono una rilevanza indicativa da cui il giudice dell’esecuzione può anche prescindere, ma solo previa dimostrazione dell’esistenza di specifiche e significative ragioni per cui tali ultimi fatti, e soprattutto quelli omogenei rispetto a quelli tra cui il vincolo è stato riconosciuto, non possono essere ricondotti, a differenza degli altri, al delineato disegno. Tale principio conserva una sua intrinseca valenza anche con riferimento ad un pregresso provvedimento, quand’anche adottato in sede esecutiva, che abbia riconosciuto il vincolo della continuazione sia pure soltanto tra alcuni dei reati commessi dal condannato, nel senso che, se pure allo stesso non può riconoscersi alcun carattere vincolante con riferimento alla deliberazione sulla nuova istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta dal condannato, anche in considerazione della diversità del petitum, più ampio, tale provvedimento non può tuttavia essere totalmente ignorato dal giudice dell’esecuzione, in sede di deliberazione sulla nuova istanza, il quale, sia pure in piena libertà di giudizio, con tale precedente valutazione è tenuto comunque a confrontarsi, salvo discostarsene, motivatamente, in relazione al complessivo quadro delle circostanze di fatto e giuridiche emergenti dai provvedimenti giudiziali dedotti nel nuovo procedimento.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione penale – sezione prima – con sentenza n. 30135 del 26 giugno 2015

Vincolo della continuazione tra reati e precedente riconoscimento per fatti commessi nello stesso arco temporale

Vincolo della continuazione tra reati e precedente riconoscimento per fatti commessi nello stesso arco temporale

Il caso

Il GIP del Tribunale di Treviso, deliberando in funzione giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di un condannato volta ad ottenere il riconoscimento in executivis del vincolo della continuazione, ex artt. 81 cpv. cod. pen. e 671 cod. proc. pen., tra tutti i reati di cui alle sentenze definitive di condanna ivi indicate.

Rilevava invero detto giudice come, alla stregua della consolidata giurisprudenza in materia, non fosse possibile ritenere che i vari fatti fossero esecutivi di un medesimo e dunque preventivo disegno criminoso, trattandosi piuttosto di espressioni di uno stile di vita dedito al delitto.

Il ricorso per cassazione del condannato

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto condannato, che limitata la propria istanza al riconoscimento della continuazione tra i soli reati oggetto di tre sentenze di condanna divenute irrevocabili nei suoi confronti, motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, così in sintesi argomentando:

  • era stata incongruamente sottovalutata l’omogeneità dei fatti, trattandosi di reati concernenti tutti la violazione delle prescrizioni imposte con l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno;
  • le condotte criminose erano analoghe nelle loro modalità di commissione (mancato rispetto della prescrizione di non rincasare la sera dopo le ore 22,00);
  • i reati erano stati perpetrati nell’arco di breve spazio di tempo gli uni dagli altri (rispettivamente il 22 dicembre 2007, il 29 novembre 2007 ed il 27 novembre 2007) e la sussistenza del vincolo della continuazione, relativamente a due di essi (quello oggetto della sentenza indicata al n. 22 del certificato penale e quello oggetto della sentenza indicata al n. 24 del certificato penale) era stata già riconosciuta dal Tribunale dì Treviso – sezione distaccata di Conegliano, decisione che il giudice dell’esecuzione non aveva in alcun modo considerato;
  • il riferimento ad un preteso stile di vita della condannata incompatibile con il riconoscimento del vincolo della continuazione doveva considerarsi incongruo, con specifico riferimento alle tre sentenze di condanna indicate in precedenza, non avendo il giudice dell’esecuzione adeguatamente considerato che seppure lo “stile di vita” ha normalmente un valore sintomatico non elevato e di contorno, perché non consente di distinguere tra la mera ripetizione o abitualità di certi comportamenti e la loro anticipata programmazione, nel caso di specie, invece, in considerazione della situazione personale e familiare dell’istante, soggetto senza fissa dimora e tossicodipendente, queste scelte possono assumere un elevato significato indicativo anche circa la programmazione anticipata di singole condotte, specie in presenza di altri elementi sintomatici quali la medesima tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale.

La richiesta di annullamento con rinvio del Procuratore generale.

Con requisitoria depositata il 12 febbraio 2015 il Procuratore generale della Repubblica presso la Suprema Corte ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato non avendo il giudice dell’esecuzione tenuto conto del provvedimento che aveva già riconosciuto la continuazione tra i reati commessi il 27 novembre ed il 29 dicembre 2007 e che l’ordinanza impugnata non fornisce alcuna spiegazione delle ragioni per cui il reato intermedio, commesso il 22 dicembre 2007, non poteva ritenersi commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso.

Il ragionamento dei giudici di legittimità

Per i giudici della Suprema Corte, giova prendere le mosse, ribadendola, dall’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 35797 del 12/05/2006 – dep. 25/10/2006, Francini, Rv. 234980) secondo cui la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente dei reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare, nel tempo, secondo contingenti opportunità (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004 – dep. 19/04/2004, Tuzzeo, Rv. 229052; Sez. 1, n. 3834 del 15/11/2000 – dep. 31/01/2001, Barresi, Rv. 218397).

Gli indici rilevatore di un medesimo disegno criminoso

Per gli Ermellini, la prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo; l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni. Detto accertamento, infine, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.

Il giudice dell’esecuzione ed il precedente riconoscimento della continuazione in sede di cognizione per fatti commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda.

Per i giudici di piazza Cavour, “il giudice dell’esecuzione, investito da richiesta ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., non può trascurare, ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, la valutazione già operata in fase di cognizione, con riguardo a episodi criminosi commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda sottoposta al suo esame, nel senso che le valutazioni espresse in proposito nel giudizio di cognizione assumono una rilevanza indicativa da cui il giudice dell’esecuzione può anche prescindere, ma solo previa dimostrazione dell’esistenza di specifiche e significative ragioni per cui tali ultimi fatti, e soprattutto quelli omogenei rispetto a quelli tra cui il vincolo è stato riconosciuto, non possono essere ricondotti, a differenza degli altri, al delineato disegno” (Sez. 1, n. 20471 del 15/03/2001 – dep. 18/05/2001, Ibba, Rv. 219529).

Il giudice dell’esecuzione ed il precedente riconoscimento della continuazione in sede di esecuzione per fatti commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda.

I giudici della Suprema Corte, infine, hanno rilevato (Sez. 1, n. 4716 del 08/11/2013 – dep. 31/01/2014, Marinkovic, Rv. 258227) che tale principio conservi una sua intrinseca valenza anche con riferimento ad un pregresso provvedimento, quand’anche adottato in sede esecutiva, che abbia riconosciuto il vincolo della continuazione sia pure soltanto tra alcuni dei reati commessi dal condannato, nel senso che, se pure allo stesso non può riconoscersi alcun carattere vincolante con riferimento alla deliberazione sulla nuova istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta dal condannato, anche in considerazione della diversità del petitum, più ampio, tale provvedimento non può tuttavia essere totalmente ignorato dal giudice dell’esecuzione, in sede di deliberazione sulla nuova istanza, il quale, sia pure in piena libertà di giudizio, con tale precedente valutazione è tenuto comunque a confrontarsi, salvo discostarsene, motivatamente, in relazione al complessivo quadro delle circostanze di fatto e giuridiche emergenti dai provvedimenti giudiziali dedotti nel nuovo procedimento.

Da qui l’annullamento con rinvio, essendosi il giudice dell’esecuzione immotivatamente discostato dagli esposti principi di diritto.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna evidenzia, ribadendolo, un principio importante in materia di riconoscimento del vincolo della continuazione, e segnatamente in ordine ai poteri (ed ai limiti) che incontra il giudice dell’esecuzione nel riconoscere (o negare) l’invocato riconoscimento.

La decisione, muovendo dai principi che regolano l’istituto, ed evidenziando quelli che sono gli indici rivelatori della continuazione fra i reati, analizza gli effetti di un precedente riconoscimento del vincolo della continuazione, sia in sede di cognizione, sia in sede di esecuzione, per fatti commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda.

E quando tale riconoscimento esiste, il giudice dell’esecuzione (ma, si intende, anche quello dello cognizione) non può semplicemente discostarsene, ma, pur senza essere obbligato a riconoscere il vincolo, deve, in caso di rigetto della istanza, motivare in ordine al complessivo quadro delle circostanze di fatto e giuridiche emergenti dai provvedimento giudiziali dedotti nel nuovo procedimento.

Tale principio ha notevoli risvolti applicativi nella pratica giudiziaria in quanto sono numerose le ipotesi in cui le sentenze nei confronti degli imputati diventano definitive non contestualmente (anche quando riguardano fatti commessi nello stesso arco temporale), per cui accade che per alcuni reati è già intervenuto un provvedimento giurisdizionale, sia in sede esecutiva come in sede di cognizione, che ha riconosciuto il vincolo della continuazione.

La Corte, con la sentenza epigrafata ed i principi in essa richiamati, ha dunque mirabilmente bilanciato due interessi contrapposti: da un lato la libertà di giudizio del giudice, che non può soffrire condizionamenti da parte di precedenti giudiziari, e dall’altro la libertà del condannato che ha diritto a vedersi riconosciuta la giusta pena in presenza di plurime condanne riconducibili ad un medesimo criminoso.

Come dire, la libertà di giudizio deve sempre garantire la congruenza della motivazione ma, in siffatto caso, deve anche tenere conto (e non può quindi ignorare) un precedente giurisdizionale che si è pronunziato sul riconoscimento del vincolo per fatti che appaiono legati a quelli per i quali il condannato ha presentato la nuova istanza.

E’ dunque richiesta non solo una coerenza motivazionale interna al provvedimento, ma anche una coerenza motivazionale esterna rispetto al precedente, sia esso di cognizione o di esecuzione.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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