Corte Suprema di Cassazione – sezione sesta civile – ordinanza n.19111 del 25 settembre 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE

I. – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380-bis e 375 c.p.c.:

“1. – La Banca (Omissis) proponeva opposizione al decreto emesso dal Tribunale di Milano col quale, su ricorso dell’Immobiliare (Omissis) s.r.l., le era stato ingiunto il pagamento della somma di € 48.805,20, quale residuo corrispettivo di lavori edili eseguiti su di un immobile oggetto di preliminare di vendita tra le parti. A sostegno dell’opposizione, l’inclusione della maggior parte del costo dei lavori nel prezzo di vendita e la reciproca rinuncia di entrambe le parti alle rispettive pretese (la predetta Banca per il ritardo di consegna dell’immobile), derivante dalla stipula del contratto definitivo senza riserve di sorta.

Resistendo l’Immobiliare (Omissis), il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione.

1.1. – Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Milano, che revocava il decreto opposto.

2. – Contro tale sentenza l’Immobiliare (Omissis) propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. – Resiste con controricorso la Banca (Omissis).

3. – Il primo motivo denuncia la nullità o l’inesistenza della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. La sentenza impugnata manca della pagina 14, nella quale verosimilmente doveva essere contenuta la restante parte del dispositivo, il quale consta soltanto del punto 1), avente ad oggetto la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

3.1. – Il motivo è infondato.

3.1.1. – E ’ necessario premettere che nella specie il dispositivo della sentenza impugnata non manca, ma è chiaramente incompleto, poiche’ al punto 1 ), contenuto alla fine della pagina 13 e consistente nel capo di revoca del decreto ingiuntivo opposto, non seguono altre statuizioni, ma solo la sottoscrizione del consigliere estensore e del presidente, l’una e l’altra contenute nella pagina 15, essendo stata saltata, dunque, la pagina 14.

Esclusa la mancanza del dispositivo, si tratta di verificare se l’incompletezza di quest’ultimo sia riconducibile altrimenti all’ipotesi di nullità a contenuto variabile, ai sensi dell’art. 156, 2° comma c.p.c.

3.1.2. – La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in indicando deducibile ex art. 360 c. p. c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c. – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepita e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza (Cass. n. 17392/04; conformi, Cass. nn. 10637/07, 10518/09 e 12622/10).

3.1.3. – Nella specie, il contenuto della decisione è chiaramente enucleabile dalla motivazione, ove è ben specificato che: a) salvo che per alcune opere riconosciute dalla Banca (Omissis), l’Immobiliare (Omissis) non ha provato che i lavori di cui ha domandato il pagamento non erano inclusi nel corrispettivo della vendita immobiliare, dal che deriva la sua soccombenza; b) conseguentemente, il decreto ingiuntivo va revocato, condannandosi la Banca (Omissis) al pagamento del minor importo di € 5.394,00, oltre accessori, per opere il cui obbligo di pagamento è stato riconosciuto da detta banca; c) ancora e per l’effetto, la società appellata deve essere condannata a restituire quanto percepito per capitale, interessi e Spese di lite in ottemperanza della pronuncia di primo grado; d) le Spese dei due gradi di merito sono compensate per un terzo, ponendosi la restante frazione, compiutamente liquidata nella stessa parte motiva, a carico della Banca (Omissis).

Nessun dubbio, dunque, è ragionevole nutrire sul decisum e sul fatto che solo per mera disattenzione nel redigere la sentenza esso non sia stato riprodotto tal quale nel dispositivo.

4. – Il secondo motivo lamenta, ad un tempo, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto (rectius, fatto) decisivo della controversia e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Pacifica in causa l’esecuzione dei lavori del cui pagamento si controverte, incombeva sulla Banca (Omissis), e non sull’Immobiliare (Omissis), l’onere di provare che tali lavori erano stati già compresi nell’iniziale preventivo e dunque inclusi nel prezzo di vendita.

4.1. – Anche tale motivo è infondato.

Dalla sentenza impugnata si ricava che costituisce cornice di riferimento comune alle parti il fatto che esse stipularono un contratto di vendita immobiliare (preceduto da un preliminare), il cui prezzo comprendeva sia il valore dell’immobile sia il costo di lavori necessari a ristrutturarlo; e che, pacifico tale dato di partenza, è controverso invece se tutti o una parte soltanto dei lavori in concreto eseguiti dall’Immobiliare (Omissis) fossero inclusi nel corrispettivo di cessione dell’immobile. Di riflesso, la Corte territoriale ha tratto che ai sensi dell’art. 2697 c.c. incombeva sul creditore e dunque sulla parte odierna ricorrente – l’onere di provare se e quali opere non fossero comprese nel prezzo finale della vendita, ma derivassero da apposite varianti chieste dal committente/acquirente.

Tale riparto dell’onere probatorio deve ritenersi in linea con la corretta applicazione dell’art. 2697 c.c., ove si consideri che la prova del credito dipende innanzi tutto dalla dimostrazione della relativa fonte (in questo caso) convenzionale, che al pari dell’esecuzione della prestazione corrispettiva integra l’elemento costitutivo del diritto.

Per contro, non è corretto quanto sostiene parte ricorrente, ossia che integri gli estremi di un’eccezione in senso tecnico imputare al già pattuito corrispettivo della vendita il costo delle opere oggetto di controversia. Si tratta, al contrario, di una difesa, in quanto ha ad oggetto non già l’allegazione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del credito, ma la mera negazione del fatto costitutivo del diritto azionato, fatto che consiste nella commissione di lavori extra preventivo.

5. – Il terzo motivo espone l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non aver la Corte territoriale considerato che al contratto preliminare di vendita non era allegato alcun capitolato né le parti avevano indicato ivi i lavori che l’Immobiliare (Omissis) avrebbe dovuto eseguire. Tale indicazione, prosegue parte ricorrente, è contenuta in un precedente accordo del 18.6.2001, il quale non contempla le opere poi eseguite e di cui è chiesto il pagamento. Queste ultime, a loro volta, sono state realizzate successivamente alla stipula del preliminare e dunque non possono essere che opere extra capitolato. In ogni caso, conclude parte ricorrente, l’Immobiliare (Omissis) ha anche fornito la prova testimoniale del proprio assunto, essendo del tutto credibile il teste (Omissis), la cui inattendibilità è stata ravvisata dalla Corte di merito per ragioni del tutto inesistenti. Inoltre, la Corte distrettuale non ha motivato sufficientemente in merito alle altre testimonianze rese, ritenendole generiche.

5.1. – Anche tale motivo è infondato.

Un ’autonoma violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cpc. può darsi unicamente nel caso in cui il giudice di merito decida in base a prove non dedotte dalle parti ed ammesse d’ufficio al di fuori dei casi in cui ciò è consentito dalla legge, ovvero ricorra alla propria scienza privata.

Analogamente, l’art. 116 c.p.c. è violato o falsamente applicato solo se il giudice valuti secondo il proprio libero convincimento prove legali o, all’inverso, consideri tali delle prove suscettibili di essere apprezzate in sè e in relazione alle altre emergenze istruttorie.

Le critiche mosse dalla parte ricorrente non espongono il malgoverno di tali norme, ma lamentano che nel valutare il materiale istruttorio il Tribunale abbia ritenuto inattendibile la deposizione di uno dei testi e considerato generiche quelle degli altri. E ’ evidente, dunque, che la censura persegue il ben diverso obiettivo di criticare l’apprezzamento delle prove, allo scopo di provocarne una rinnovata, ma inammissibile in questa sede, valutazione di merito.

6. – Per le considerazioni svolte si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, in base al n. 5 dell ’art. 375 c.p.c.

II. – La Corte condivide la relazione, rispetto alla quale solo la Banca (Omissis) ha depositato memoria, ovviamente adesiva.

III. – Il ricorso va, dunque, respinto.

IV. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.

V. – Ai sensi dell’art 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato, dovuto a norma del comma l-bis dello stesso art. 13.

P. Q. M.

La Come rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in € .5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma l-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 21.5.2015.

 

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