Al fine di evitare la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge incombe al terzo estraneo al reato, individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell’illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati, l’onere di provare la sua buona fede, ovvero che l’uso illecito della “res” gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – terza sezione penale – con sentenza n.18515 del 16 gennaio 2015.
Il caso
Il proprietario di un autocarro ricorre in cassazione avverso il provvedimento emesso dal Tribunale della libertà che aveva rigettato l’appello cautelare proposto contro l’ordinanza con la quale, a sua volta, il Tribunale della medesima città, in composizione monocratica, aveva rigettato la richiesta di dissequestro del mezzo.
In particolare, il vincolo cautelare era stato imposto in quanto il figlio di esso ricorrente era imputato per aver effettuato, utilizzando il predetto autocarro, un’attività di raccolta e di trasporto di rifiuti speciali pericolosi e non, in mancanza di autorizzazione e per avere effettuato un’attività di miscelazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi (art. 6 lett. d) e g) D.L. 6.11.2008, n. 172, convertito in legge 30.12.2008, n. 210).
Il ricorrente assumeva di essere un autotrasportatore e titolare del mezzo sequestrato e premetteva che egli era affetto da (“gastroenterite acuta”) con tre giorni di prognosi e non potè recarsi al lavoro. In considerazione di ciò, il figlio si recò, alla guida dell’autocarro in questione, presso il detentore del materiale al fine di raccoglierlo e consegnarlo al destinatario finale. A seguito di un controllo, fu adottato il sequestro del veicolo. Si duole pertanto del fatto che l’ordinanza impugnata non si fosse fatta carico di alcuna motivazione diretta ad inquadrare la legittimità del provvedimento di sequestro, omettendo di considerare che, ai fini del sequestro preventivo di cosa di cui è consentita la confisca, è necessario uno specifico, non occasionale e strutturale nesso strumentale tra res e reato.
Il fatto che, il giorno in cui fu sequestrato il mezzo, l’autocarro fosse condotto dal proprio figlio, mentre il ricorrente fosse assente per malattia dall’azienda, costituiva, a suo dire, elemento certo di estraneità del ricorrente alla realizzazione del presunto reato, con conseguente buona fede di esso.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza in quanto il ricorrente, pur avendo comprovato di essere affetto da “gastroenterite acuta” con prognosi di tre giorni, non aveva affatto provato, essendo il certificato medico silente sul punto, l’impossibilità a deambulare e pertanto la dedotta malattia non costituiva prova che lo stesso non si fosse recato sul posto di lavoro.
Cosa viene addebitato al ricorrente, proprietario del mezzo e persona estranea al reato.
Per la Suprema Corte, al ricorrente era stato correttamente mosso un addebito di negligenza per difetto di vigilanza perché, non avendo dato la prova, con il certificato medico allegato, di non aver avuto in alcun modo accesso ai luoghi di lavoro, non aveva impedito e non aveva vigilato per impedire che il figlio, con l’uso del veicolo sequestrato, commettesse i reati ambientali contestati in una zona ove era stato dichiarato lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
In materia di reati ambientali va disposta la confisca del mezzo utilizzato per compiere il reato.
La Suprema Corte ricorda che l’art. 6, comma 1 bis, legge n. 210 del 2008, per tutte le fattispecie penali di cui al predetto articolo, poste in essere con l’uso di un veicolo, prevede che si proceda, nel corso delle indagini preliminari, al sequestro preventivo del medesimo veicolo, disponendo che, alla sentenza di condanna, consegua poi la confisca del veicolo stesso.
La confisca del mezzo ha pertanto luogo anche nelle ipotesi, nella specie ricorrenti, di trasporto illecito di rifiuti (art. 6 lett. d) e di realizzazione dell’attività di miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi (art. 6 lett. g).
Si tratta di una confisca obbligatoria….
Ne consegue che la norma va annoverata nel gruppo di disposizioni che rendono obbligatoria la confisca, in deroga al regime generale di tipo facoltativo di cui all’art. 240 cod. pen. sicché il mezzo di trasporto utilizzato per il traffico o per il trasporto illecito di rifiuto, o per le altre ipotesi tipizzate, è oggetto di una presunzione legislativa di pericolosità che ne giustifica la confisca.
….. di natura atipica, non sovrapponibile alla confisca obbligatoria ex art. 240/2° c.p.
Per gli Ermellini, tuttavia, si tratta di una confisca obbligatoria atipica, non completamente sovrapponibile alla confisca obbligatoria di cui al secondo comma dell’art. 240 cod. pen., in quanto la norma prevede espressamente che, per tutte le fattispecie penali tipizzate nell’art. 6 legge 210 del 2008, (solo) “alla sentenza di condanna consegue la confisca del veicolo”.
Senza sentenza di condanna non è possibile disporre la confisca del mezzo.
La sentenza di condanna (ovvero la sentenza di “patteggiamento”, ad essa equiparata) costituisce, pertanto, il presupposto per l’applicabilità della misura di sicurezza patrimoniale, con la conseguenza che non è possibile disporre la confisca senza che si pervenga ad una pronuncia di affermazione della responsabilità penale e dunque di irrogazione o applicazione di una pena (Sez. 3, n. 23081 del 16/04/2008, Centurione, Rv. 240544).
Il principio di diritto richiamato dalla Suprema Corte
Per la Suprema Corte, “al fine di evitare la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge incombe al terzo estraneo al reato, individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell’illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati, l’onere di provare la sua buona fede, ovvero che l’uso illecito della “res” gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente (Sez. 3, n. 46012 del 04/11/2008, Castellano, Rv. 241771)”.
Una breve riflessione
La sentenza in evidenza appare molto interessante sotto diversi profili.
Intanto, perché distingue la confisca prevista dalla legge in materia di reati ambientali rispetto alla confisca obbligatoria ex art. 240 secondo comma c.p. definendola prima come “atipica”.
In secondo luogo, perché pone una presunzione legislativa di pericolosità del mezzo di trasporto utilizzato per il traffico o per il trasporto illecito di rifiuto, o per le altre ipotesi tipizzate, presunzione che può essere vinta solo attraverso la dimostrazione rigorosa della sussistenza di determinate condizioni.
In particolare, la persona estranea al reato non può limitarsi a dimostrare che il mezzo era stato utilizzato da altra persona, ma deve provare:
- che l’uso illecito del mezzo gli era ignoto;
- che egli non versava in colpa;
- che non gli possa essere addebitato un comportamento negligente in forza del quale la persona estranea abbia utilizzato il mezzo stesso per commettere il reato.
Come si può notare, la prova richiesta dalla Suprema Corte è abbastanza rigorosa, tanto è vero che, nella fattispecie oggetto di esame, non ha ritenuto sufficiente la produzione della certificazione medica da parte del proprietario del mezzo (estraneo al reato), non potendosi ricavare da tale documento la prova che il medesimo non si fosse ugualmente recato a lavoro ovvero che avesse ignorato, senza sua colpa, l’utilizzo del veicolo da parte di terzi per la commissione dei reati.
L’orientamento della Suprema Corte, in linea con la ratio legis, è ovviamente finalizzato a non consentire la elusione della legge attraverso la creazione di uno “scollamento” sistematico e preordinato tra proprietario del mezzo ed autore del reato.
Difatti, secondo i principi classici elaborati in materia di sequestro e confisca, laddove il proprietario del bene fosse estraneo al reato, ciò solo era quasi sempre sufficiente a consentire, anche tramite incidente di esecuzione, la restituzione del mezzo e quindi la revoca del vincolo cautelare o ablativo.
In materia di reati ambientali, invece, è stata rafforzata la tutela cautelare e soprattutto quella ablativa, giacchè, secondo i principi espressi dalla Suprema Corte, sono davvero residuali le ipotesi in cui il proprietario del mezzo, formalmente estraneo al reato, potrà provare di essere stato in buona fede, ovvero che l’uso del mezzo gli fosse ignoto, o infine che tale uso non fosse ricollegabile ad un suo comportamento negligente.
E tutto ciò a beneficio dell’ambiente.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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