Sulla prescrizione dei contributi di previdenza e assistenza obbligatori

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In materia di previdenza e assistenza obbligatoria, per i contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro, relativi a periodi anteriori all’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335 (che ha ridotto il termine prescrizionale da dieci a cinque anni) e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio dalla scadenza, il precedente termine decennale di prescrizione può operare solo nel caso in cui la denuncia prevista dall’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 4213 del 3 marzo 2016

Sulla prescrizione dei contributi di previdenza e assistenza obbligatori

Sulla prescrizione dei contributi di previdenza e assistenza obbligatori

Il caso

La Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede aveva accolto l’opposizione di una società radiotelevisiva al decreto ingiuntivo emesso in favore di un istituto previdenziale per € 284.452,00, per contributi e sanzioni di legge, dovuti in riferimento alla posizione assicurativa di nove lavoratori; contributi ritenuti, però, prescritti dal giudice di prima istanza.

Le ragioni della conferma della decisione di primo grado

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa quanto segue:

  • a) l’azione monitoria dell’ente previdenziale ha tratto origine da un verbale ispettivo in cui, tra le altre contestazioni, si deduceva con riferimento alle posizioni di nove lavoratrici, che le stesse, sebbene inquadrate come programmiste registe, dal 1993 avevano prestato attività lavorativa giornalistica;
  • b) in ragione di ciò l’istituto previdenziale aveva richiesto il versamento dei contributi dovuti con decorrenza dal dicembre 1993 fino alle rispettive date di assunzione delle lavoratrici con la qualifica di giornaliste;
  • c) sono, peraltro, da condividere le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, in quanto la normativa di riferimento, vale a dire la legge 8 agosto 1995, n. 335, art.3, comma 9) espressamente dispone che: ” Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: A) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; B) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”; la finalità di tale norma, che pone come unica eccezione alla regola generale della prescrizione quinquennale, la denuncia del lavoratore, è quella di consentire, nel caso in cui l’iniziativa dell’Ente previdenziale per il recupero contributivo sia stata sollecitata dal lavoratore, di assicurare un maggior spazio temporale per il compimento delle necessarie indagini ispettive;
  • d) l’ampliamento del termine prescrizionale da cinque a dieci anni, ossia la deroga alla regola generale, non può invece trovare giustificazione nel caso, quale quello che occupa, in cui l’ente previdenziale si è attivato “motu proprio” e la denuncia dei lavoratori era stata raccolta in sede ispettiva solo nel mese di dicembre del 2003;
  • e) inoltre, la possibilità dell’ampliamento dei termini di prescrizione produrrebbe come conseguenza la reviviscenza di un diritto ormai estinto, essendosi nel frattempo perfezionata la prescrizione quinquennale.

Da qui il ricorso per cassazione da parte dell’ente previdenziale.

I motivi di ricorso.

Si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995 n. 335, laddove la Corte territoriale avrebbe falsamente applicato la disciplina che regola i termini di prescrizione del diritto al versamento dei contributi previdenziali, ritenendo nel caso di specie operante il termine di prescrizione quinquennale, e ciò senza tener conto che per espressa previsione della legge n. 335/1995, la denuncia del lavoratore ha lo scopo di consentire all’ente previdenziale di agire, quando è il medesimo lavoratore a richiederlo, entro il termine di dieci anni.

Il motivo viene ritenuto infondato

Osserva la Suprema Corte che il motivo risulta manifestamente infondato alla luce della recente pronuncia delle sezioni unite n. 15296 del 4 luglio 2014, che risolvendo un contrasto verificatosi all’interno della sezione lavoro, ha enunciato il seguente principio di diritto: “In materia di previdenza e assistenza obbligatoria, per i contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro, relativi a periodi anteriori all’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335 (che ha ridotto il termine prescrizionale da dieci a cinque anni) e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio dalla scadenza, il precedente termine decennale di prescrizione può operare solo nel caso in cui la denuncia prevista dall’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza”.

Quindi – proseguono gli Ermellini – il prolungamento del termine ha la possibilità di operare solo se il relativo diritto non sia già venuto meno e, come nel caso in disamina, non sia già estinto per il maturare del quinquennio alla sua scadenza. Infatti – concludono i giudici di piazza Cavour – i contratti riguardanti le nove lavoratrici erano stati stipulati in diverse date comprese tra il mese di giugno del 1995 e quello di gennaio del 1998, mentre l’accertamento ispettivo, durante il quale erano state raccolte le denunzie delle medesime lavoratrici, risaliva al mese di dicembre del 2003, cioè allorquando il diritto ad esigere i relativi contributi era già venuto meno per effetto della maturata prescrizione quinquennale di cui sopra. Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna ribadisce il noto principio delle sezioni unite del 2014 che, risolvendo il contrasto insorto in seno alle sezioni semplici, ha espresso il principio sopra richiamato.

Nessun dubbio per i contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro relativamente ai periodi successivi all’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995 n.335: in siffatta ipotesi, infatti, il termine prescrizionale è quinquennale.

Il problema si è posto e si pone, invece, per i periodi anteriori alla entrata in vigore della predetta legge e, soprattutto, per quelli per i quali, alla predetta data, non sia ancora maturato il termine quinquennale.

Come era stato giustamente eccepito nel giudizio de quo, la denuncia prevista dall’articolo 3 comma 9 della legger 335 del 1995 secondo cui “a decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti” può operare solo nel caso in cui tale denuncia sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza.

Quando invece, come nel caso di specie, tale denuncia è intervenuta dopo lo spirare del termine quinquennale, deve ritenersi maturato il termine prescrizionale.

Una interpretazione che mira ad evitare abusi. Difatti, diversamente opinando, sarebbe bastato effettuare la denuncia dopo il quinquennio per far rivivere una situazione giuridica ormai definitivamente estinta.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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