Sulla liquidazione giudiziale dei compensi di difesa

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In tema di onorari difensivi, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, il quale non prevale sul D.M n. 140/2012 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché non è il D.M. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con ordinanza n. 21210 depositata il 27 agosto 2018

Il caso 

Sulla liquidazione giudiziale dei compensi di difesa

Sulla liquidazione giudiziale dei compensi di difesa

La Corte d’appello di Perugia, decidendo in sede di rinvio, condannò il Ministero della Giustizia a pagare in favore della ricorrente  la somma di € 1.292,00, a titolo d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo di equa riparazione, nonché le spese processuali, liquidate in complessivi € 250,00, oltre accessori, spese tutte distratte in favore dei difensori.

I motivi di ricorso

Avverso il predetto decreto l’anzidetta istante propose ricorso, ulteriormente illustrato da memoria, esponendo, con l’unitaria censura posta a corredo dello strumento, che la Corte di merito aveva violato o falsamente applicato gli artt. 91, cod. proc. civ. e 2233, cod. Civ., nonché il d.m. n. 55/2014, per avere liquidate il rimborso spese al disotto del minimo legale, relativamente alla fase di rinvio.

Il rapporto tra D.M. 140/2012 ed il D.M. 55/2014

Gli Ermellini non condividono l’opinione secondo la quale il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10/3/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che «In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa>>. Ciò in quanto – proseguono i giudici di Piazza Cavour – il d.m. n. 140 risulta essere stato emanato (d.l. n. 1/2012, conv. nella I. n. 27/2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d.m. n. 55, il quale non prevale sul d. m. n. 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poichè non è il d.m. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il d.m. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 1018, 17/1/2018, Rv. 647642).

E poiché nella specie “la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessive € 405,00 per la fase di rinvio si pone al di sotto dei limiti imposti dal d.m. n. 55, tenuto conto dl valore della causa (da € 1.100,01 a € 5.200,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4, cit.)”, la Suprema Corte “accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, liquida a titolo di spese, ponendo la somma a carico del Ministero della Giustizia, per il giudizio di merito svoltosi innanzi alla Corte d’appello di Perugia, in sede di rinvio, l’importo complessivo di € 1.198,50, oltre spese generali e accessori, distratto in favore degli avv.ti difensori, oltre le spese del giudizio di Cassazione.

Una breve riflessione

Sentenza interessante quella in esame, perché si pone nel solco di un orientamento che va sempre più consolidandosi. Tale orientamento distingue i parametri che il legale ed il cliente devono seguire nella stipulazione del contratto avente ad oggetto la prestazione d’opera professionale, rispetto ai parametri che deve osservare il giudice nella liquidazione dei compensi in favore della parte vittoriosa.

Esaminando il D.M. 140/2012 ed il D.M.55/2014, i giudici della Suprema Corte concludono per una relazione di “specialità “  tra le suddette disposizioni, diguisache il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10/3/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) può senz’altro considerarsi derogativo del decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012 con impossibilità, dunque, per il Giudice, di effettuare una liquidazione al di sotto dei minimi tabellari ivi previsti.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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