Solo la parte civile che rivesta, oltre la qualità di soggetto danneggiato, anche quella di persona offesa, è legittimata a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere emessa a conclusione dell’udienza preliminare, trattandosi di impugnazione agli effetti penali e non agli effetti civili.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione quarta penale – n.3320 del 12 dicembre 2014.
Il caso
Un condominio proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere pronunziata nei confronti di imputati a cui venivano contestati reati di abuso di ufficio e disastro colposo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per cassazione del condominio poiché proposto dalla parte civile che riveste, nella specie, la qualità di danneggiato dal reato ma non anche quello di persona offesa.
Per la Suprema Corte, “secondo quanto espressamente disposto dall’art. 428 c.p.p., la sentenza di non luogo a procedere può essere assoggettata a ricorso per cassazione su impulso della parte civile nel solo caso in cui la stessa sia anche ‘persona offesa’ (e non solo danneggiata) dal reato”.
Il principio al quale si rifà la Corte di cassazione.
In forza di un consolidato principio espresso dai giudici di legittimità, “la persona danneggiata, pur costituita parte civile, non è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, dal momento che il riconoscimento di tale legittimazione della persona offesa costituita parte civile, per effetto della modifica introdotta dalla legge n. 46/2006, si giustifica esclusivamente per la tutela di interessi penalistici, ai quali resta estranea la persona danneggiata (Cass., Sez. 6, n. 16528/2010, Rv. 246997). In particolare, la persona offesa costituita parte civile ha legittimazione ad impugnare con ricorso per cassazione una sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., unicamente per gli effetti penali della decisione“.
L’intervento delle sezioni unite sull’esegesi dell’articolo 428 del codice di procedura penale.
Le sezioni unite (Cass. Sez. Un. 29.5.2008 n.25695), nell’interpretare la natura e portata dell’articolo 428 del codice di rito penale, hanno stabilito che il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile avverso sentenza di non luogo a procedere può proporsi esclusivamente agli effetti penali e non agli effetti civili, rispetto ai quali la sentenza di improcedibilità emessa all’esito di udienza preliminare non produce effetti preclusivi, né pregiudizialmente vincolanti sull’azione civile. Di tal che la parte civile non può avere interesse ad impugnarla.
Pertanto, il regime impugnatorio disciplinato dall’art. 428 c.p.p., modificato nel 2006, non rende possibile individuare in capo alla parte civile ricorrente il perseguimento di interessi civilistici, dal momento che la sentenza ex art. 425 c.p.p. non pregiudica in alcun modo le proiezioni risarcitorie della stessa parte civile, giusta quanto sancito dall’art. 652 c.p.p., comma 1, in tema di efficacia non preclusiva (giudicato) della sentenza penale di assoluzione dell’imputato non pronunciata all’esito di giudizio dibattimentale, quale appunto è la sentenza di cui all’art. 425 c.p.p..
Vi è differenza, agli effetti civili, tra sentenza assolutoria e sentenza di non doversi procedere ex art.425 c.p.p.
Precisa la Suprema Corte che a differenza di quanto prevede il vigente art. 576 c.p.p., comma 1, che limita l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento emessa nel giudizio, l’art. 428 c.p.p. non reca traccia di siffatta limitazione. L’evenienza per cui lo stesso art. 428 c.p.p., comma 2, legittima al ricorso per i motivi previsti dall’art. 606 c.p.p. (e non più per i soli motivi attinenti all’instaurarsi del contraddittorio nell’udienza preliminare) la sola parte civile che riveste anche qualità di persona offesa dal reato (e non di semplice persona danneggiata) avvalora, del resto, l’assunto che il legislatore ha voluto accordare tutela alle ragioni di segno penale del titolare dell’interesse protetto dal precetto penale, cioè della vittima del reato che patisce il “danno criminale” (cfr., altresì: Cass. Sez. 5, 16.4.2009 n. 37114, De Rosa, Rv. 244601; Cass. Sez. 6, 21.1.2010 n. 16528, Mazza, Rv. 246997) (cfr. Cass., Sez. 6, n. 22019 del 22.11.2011, dep. il 7.6.2012).
Perché, nella specie, la Suprema Corte, dichiara inammissibile il ricorso del condominio.
Per la Suprema Corte, il Condominio, nella fattispecie sottoposta al suo esame, non riveste la qualità di persona offesa né con riferimento al reato di disastro colposo, né con riferimento al reato di abuso di ufficio, e pertanto il ricorso da esso proposto deve dichiararsi inammissibile in quanto proposto da soggetto non legittimato.
Una breve riflessione
La sentenza in evidenza riveste notevole importanza in quanto riconosce, in capo alla persona offesa costituita parte civile, un forte potere di impulso, paragonabile in tutto e per tutto a quello del Pubblico Ministero.
Nel riconoscere e ribadire che la sentenza di non luogo a procedere emessa a conclusione dell’udienza preliminare non ha proiezioni sulle questioni civilistiche (e da qui la inammissibilità della impugnazione dalla parte civile che riveste la qualità di danneggiato ma non anche di persona offesa dal reato), la Suprema Corte riconosce alla parte civile che invece riveste la qualità di persona offesa il potere di contrastare, agli effetti penali, una sentenza che, a parte questioni terminologiche, è comunque idonea ad interrompere l’azione penale nei confronti dell’accusato.
Il potere riconosciuto in questa fase a tale parte privata è più forte di quello riconosciutole in ogni successiva fase del processo. Difatti, la persona offesa non potrà, in esito al dibattimento, impugnare la sentenza di assoluzione ma chiedere al Pubblico Ministero di proporla. Dall’altro lato, la parte civile potrà impugnare la sentenza di assoluzione ma limitatamente agli effetti civili, essendole preclusa la possibilità di impugnarla agli effetti penali.
Nella ipotesi di sentenza di non luogo a procedere, invece, come sopra detto, la persona offesa costituita parte civile diventa, quanto al potere di impugnare, una vera e propria Pubblica Accusa, capace di mettere in moto, attraverso uno specifico gravame, un procedimento penale che era stato troncato in maniera prematura da una valutazione del GUP.
D’altro canto, il principio espresso dalla Suprema Corte garantisce un po’ tutte le parti del processo:
- la parte civile-danneggiata è garantita in quanto, pur non potendo gravare di ricorso la sentenza ex art. 425 c.p.p., non subirà alcun pregiudizio dalla stessa;
- la parte civile-persona offesa, potrà, come sopra detto, impugnare agli effetti penali la sentenza e mettere in moto il procedimento penale;
- l’imputato potrà far dichiarare la propria innocenza in esito ad un più approfondito vaglio dibattimentale attraverso una sentenza che la persona offesa non potrà più impugnare direttamente se non attraverso la interposizione dell’organo di Procura.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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