Mandato di arresto europeo e gravi indizi di colpevolezza

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L’autorità giudiziaria italiana, ai fini della “riconoscibilità” del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco e per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna. Non è dunque necessario che il mandato di arresto contenga una elaborazione dei dati fattuali che pervenga alla conclusione della gravità indiziaria ma è necessario e sufficiente che le fonti di prova indicate nella relazione, ai sensi dell’art. 6, comma quarto, lett. a), l. n. 69 del 2005, siano astrattamente idonee a fondare la gravità indiziaria, sia pure con la sola indicazione delle evidenze fattuali a carico del consegnando, mentre la valutazione in concreto delle stesse è riservata all’autorità giudiziaria del Paese emittente. In definitiva, esula dai poteri conferiti al giudice nazionale qualsiasi valutazione in ordine all’adeguatezza del materiale indiziario posto alla base del provvedimento cautelare e degli elementi di prova addotti a discarico dal ricorrente, i quali trovano la loro normale sede di prospettazione e disamina dinanzi all’autorità giudiziaria emittente.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 26849 del 24 giugno 2015

Mandato di arresto europeo e gravi indizi di colpevolezza

Mandato di arresto europeo e gravi indizi di colpevolezza

Il caso

Un imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello con cui sono state dichiarate sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di consegna, a seguito di emissione di mandato di arresto europeo, relativo all’ordinanza custodiale adottata dalla Pretura di Kassel in ordine al reato di traffico di stupefacenti.

Il ricorrente deduce insussistenza della gravità indiziaria, poiché l’atto trasmesso non può dirsi un mandato d’arresto europeo in senso proprio, trattandosi soltanto del mandato d’arresto emesso dalla pretura di Kassel, che non reca le indicazioni prescritte dagli artt. 6 e 17 L. 69/2005, in ordine alla descrizione di ciò che è, in concreto, attribuito al ricorrente. Neppure l’informativa SIS, che è soltanto il riassunto di quanto risultante dal predetto mandato d’arresto, contiene tali indicazioni.

Evidenzia che dagli atti si evince soltanto che altro soggetto, dall’Olanda, comprò sostanza stupefacente su incarico di un certo di altro soggetto ancora, che, a sua volta, avrebbe incaricato esso ricorrente, unitamente a un altro soggetto, di andare in Olanda a ritirare la sostanza.

A carico del ricorrente vi sarebbe dunque soltanto tale indicazione generica, non sorretta da alcun elemento concreto e da alcuna specificazione in merito alle fonti di prova. Peraltro, nell’ultima pagina del mandato si dice esclusivamente che il ricorrente vive in Italia dall’inizio di luglio, onde manca anche la correlazione temporale con i fatti contestati.

Il ricorrente ha anche prodotto, al riguardo, documentazione attestante i suoi spostamenti prima e dopo i fatti in contestazione. Tali risultanze smentirebbero l’affermazione contenuta nel mandato di arresto europeo.

D’altronde – conclude il ricorrente – va escluso qualsiasi automatismo volto a rimettere, in toto, il giudizio di sussistenza della gravità indiziaria all’Autorità giudiziaria dello Stato richiedente, relegando l’Autorità giudiziaria italiana al rango di mero controllore formale dell’operato altrui.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Per i giudici della Suprema Corte, dal mandato d’arresto europeo regolarmente inviato dall’Autorità richiedente e dal mandato d’arresto emesso dalla Pretura di Kassel, regolarmente inviati dall’Autorità richiedente, con traduzione in lingua italiana, si evince che il un tale incaricò, fra gli altri, il ricorrente di recarsi nei Paesi Bassi a ritirare lo stupefacente dal soggetto “chiamato”. Segue un’accurata descrizione delle modalità esecutive del progetto criminoso, caratterizzate anche dalla disponibilità di una pistola semiautomatica. Sono anche indicate, con precisione, le fonti di prova e cioè la testimonianza di un ispettore di polizia giudiziaria e di due ufficiali della dogana, oltre alla documentazione disponibile agli atti (verbali di osservazione; di controllo della corrispondenza telefonica; rilievi fotografici espletati ed altro).

Per gli Ermellini, pertanto, risultano adeguatamente focalizzati, sia pure in maniera sintetica, sia i lineamenti fattuali degli addebiti in contestazione sia gli elementi e le fonti di prova su cui essi si basano.

Il principio di diritto al quale si rifà la Suprema Corte.

Per i giudici di Piazza Cavour, l’autorità giudiziaria italiana, ai fini della “riconoscibilità” del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco e per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna, non essendo necessario che il mandato di arresto contenga una elaborazione dei dati fattuali che pervenga alla conclusione della gravità indiziaria ma è necessario e sufficiente che le fonti di prova indicate nella relazione, ai sensi dell’art. 6, comma quarto, lett. a), l. n. 69 del 2005, siano astrattamente idonee a fondare la gravità indiziaria, sia pure con la sola indicazione delle evidenze fattuali a carico del consegnando, mentre la valutazione in concreto delle stesse è riservata all’autorità giudiziaria del Paese emittente.

L’autorità giudiziaria non deve valutare l’adeguatezza del materiale indiziario posto a base del provvedimento cautelare.

Conclude la Suprema Corte con l’affermazione che esula dai poteri conferiti al giudice nazionale qualsiasi valutazione in ordine all’adeguatezza del materiale indiziario posto alla base del provvedimento cautelare e degli elementi di prova addotti a discarico dal ricorrente, i quali trovano la loro normale sede di prospettazione e disamina dinanzi all’autorità giudiziaria emittente. Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna ribadisce un principio rispetto al quale non possono non nutrirsi una serie di dubbi.

Difatti, riservare all’autorità giudiziaria del Paese emittente la valutazione sull’adeguatezza del materiale indiziario posto a base del provvedimento cautelare implica, senza ombra di dubbio, una sorta di rinuncia alla sovranità nazionale e, soprattutto, relega l’autorità giudiziaria italiana al rango di mero controllore della regolarità formale della procedura, privandola di poteri sostanziali, necessari per la tutela della libertà.

D’altronde, vero è che, in forza dell’articolo 6 comma quarto lett. a) della legge n.69/2005 a), al mandato d’arresto deve essere allegata, tra gli altri, una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale e’ domandata la consegna, con l’indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica, ma è altrettanto vero che il dato testuale della norma non esclude la possibilità di un controllo “sostanziale” da parte dell’autorità giudiziaria italiana.

Si potrebbe abdicare al controllo di tipo “sostanziale” solo se si avesse la certezza che l’autorità giudiziaria del Paese emittente utilizzi le stesse procedura di “garanzia” che vengono utilizzate dall’autorità giudiziaria italiana.

In altre parole, l’Autorità giudiziaria italiana non può limitarsi ad un controllo meramente formale del quadro indiziario rappresentato nella richiesta proveniente dallo Stato emittente, potendosi accettare tale limitazione solo se il Paese emittente disponga, appunto, di un sistema di norme a garanzia dei diritti di libertà in linea con quello italiano.

Diversamente, vi sarebbe una violazione del diritto di difesa se è vero, come affermato dalla Suprema Corte, che l’autorità giudiziaria italiana non deve valutare l’adeguatezza del materiale indiziario posto a base del provvedimento cautelare.

Il che val quanto dire che, pur a fronte di un quadro indiziario inadeguato, l’autorità giudiziaria dovrebbe/potrebbe ugualmente emettere il mandato di arresto e disporre la cattura, sul territorio italiano, di un cittadino, pur in assenza di elementi indiziari gravi che soli potrebbero giustificare la emissione di una ordinanza cautelare secondo l’ordinamento interno.

Riteniamo che la libertà personale di un uomo, dimorante nel territorio dello Stato italiano, non possa subire indebite compressioni per il sol fatto che il reato sia stato commesso in altro Stato. I principi costituzionali in materia di libertà personale ed i principi, pure in materia di libertà personale, a livello di diritto dell’Unione, potrebbero essere seriamente compromessi dalla interpretazione che la Suprema Corte ha dato alla normativa contenuta nella legge n.69/2005.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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