Il minimale retributivo ai fini contributivi decorre dal 1° gennaio 1989

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Il criterio del minimale retributivo ai fini contributivi, secondo il quale occorre versare all’Inps somme che non trovano diretta corrispondenza né con la retribuzione dovuta né con il futuro trattamento pensionistico, va applicato a decorrere dal 1^ gennaio 1989, per effetto dell’art. 1 co 2 L 389/1989, che ha disposto la salvezza dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge 30 dicembre 1988, n. 548, 28 marzo 1989, n. 110, 29 maggio 1989, n. 196, e 5 agosto 1989, n. 279.

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 4926 del 14 marzo 2016

Il minimale retributivo ai fini contributivi decorre dal 1° gennaio 1989

Il minimale retributivo ai fini contributivi decorre dal 1° gennaio 1989

Il caso 

Con ricorso dell’11 gennaio 1992 davanti al Pretore del lavoro di Catania, dei datori di lavoro, in proprio e quali soci della società di fatto omonima, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificato dall’INPS per il pagamento delle differenze contributive relative al periodo dal gennaio 1989 al 31 agosto 1990 calcolate considerando come base imponibile dei contributi per lavoro dipendente le retribuzioni previste dal contratto collettivo di settore, ex art. 1 DL. 338/1989. Deducevano di non essere tenuti alla applicazione del contratto collettivo. Con separato ricorso le stesse parti proponevano opposizione avverso la ordinanza ingiunzione emessa dall’INPS in relazione alle sanzioni derivanti dalla assunta omissione contributiva.

La sentenza di primo grado

Riuniti i giudizi, il giudice del lavoro, con sentenza del 26.5.1999, dichiarava insussistente il credito dell’INPS, statuendo che l’obbligo contributivo del datore di lavoro ex art. 1 DL 338/1989 doveva essere calcolato con riferimento alla sola retribuzione dovuta al lavoratore ai sensi dell’art. 36 Costituzione, – ovvero sugli importi pari ai minimi di paga base e contingenza previsti dalla contrattazione per i diversi livelli di inquadramento- e non anche in ragione dei trattamenti retributivi complessivi previsti dal contratto collettivo.

La sentenza di appello

La Corte d’appello di Catania rigettava l’appello dell’INPS.

Il primo ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione, a seguito di ricorso dell’INPS, con sentenza del 24.9.2004 nr. 19272, annullava la sentenza e rinviava le parti davanti alla Corte d’appello di Messina enunciando il principio di diritto, come affermato dalle Sezioni Unite (sent, nr. 11199/2002), secondo cui l’importo costituente base di calcolo dei contributi previdenziali non poteva essere inferiore a quello della retribuzione dovuta ai lavoratori del settore in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, senza le limitazioni derivanti dalla applicazione del minimo costituzionale dell’ art. 36.

La riassunzione del giudizio

L’INPS riassumeva il giudizio chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze contributive, oltre accessori e spese.

Proponeva autonomo ricorso in riassunzione il datore di lavoro chiedendo al giudice del rinvio di individuare le voci retributive in senso proprio sulle quali determinare i contributi, come precisate dalla giurisprudenza formatasi successivamente alla pronunzia della Sezioni Unite; chiedeva altresì applicarsi la più favorevole disciplina sanzionatoria di cui all’art. 116 L. 388/2000.

Il giudizio di rinvio

Riuniti i ricorsi, la Corte d’appello di Messina, all’esito di ctu, con sentenza del 26.3-26.4.2013 nr 691, revocava il decreto ingiuntivo opposto e rideterminava il credito dell’INPS per il periodo ottobre 1989- agosto 1990 (in € 3.388,14 oltre somme e sanzioni accessorie di cui alla legge 388/2000). Dichiarava estinta la sanzione di cui all’ordinanza ingiunzione opposta e compensava le spese. La Corte territoriale rilevava che l’art. 1 del DL 389/1989 trovava applicazione soltanto dalla data di entrata in vigore della norma (1 ottobre 1989). Inoltre dalla base di calcolo dei contributi doveva essere escluso quanto erogato per lavoro straordinario e turni notturni, in quanto la legge 389/1989 prevedeva una retribuzione convenzionale utile ai fini contributivi riferita alla sola prestazione obbligatoria senza rendere vincolante la parte normativa del contratto collettivo.

Il secondo ricorso per cassazione

Propone ricorso in Cassazione l’INPS nei confronti del datore di lavoro.

I motivi di ricorso

Con l’unico motivo l’ente ricorrente deduce- ai sensi dell’art. 360 co. 1 nr. 3 cpc- violazione falsa applicazione dell’art. 113 cpc nonché dell’art. 1 comma 2 della legge 389/1989. La censura investe la statuizione relativa al momento di entrata in vigore della normativa che ha determinato l’agganciamento dell’importo della contribuzione alla retribuzione virtuale prevista dalla contrattazione collettiva nazionale, che la Corte d’appello individuava nella data di entrata in vigore del DL 338/1989 (1 ottobre 1989). L’INPS deduce che anteriormente alla emanazione del DL 338/1989 erano stati pubblicati più decreti legge non convertiti-( DL 548/1988; DL 110/1989; DL 196/1989; DL 279/1989) – i cui effetti venivano fatti salvi dall’art. 1 co. 2 della legge 38911989, di conversione del DL nr. 338. Per effetto della successione delle citate disposizioni il criterio della retribuzione virtuale sulla quale determinare i contributi era stato introdotto nel nostro ordinamento dall’1 gennaio 1989.

La Suprema Corte ritiene il ricorso fondato.

Secondo gli Ermellini, il DL 338/1989, convertito in legge dalla legge 389/1989, ha fatto seguito a reiterati decreti legge, decaduti per mancanza di conversione, i cui effetti sono stati fatti salvi dall’1 co.2 della suddetta legge di conversione (nr. 389). La sequenza ha avuto i seguenti snodi:

  1. Il DL dicembre 1988, n. 548, decaduto per mancata conversione, in vigore dal 1^ gennaio 1989 al 1^ marzo 1989, all’art 1, co 1 e 2, ha così disposto : “1. La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non puo’ essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti o accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali piu’ rappresentative su base nazionale,ovvero da contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo. 2. La contribuzione relativa alla differenza tra la retribuzione di cui al comma 1 e la retribuzione corrisposta, salvi i diritti spettanti al lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro, e’ a carico del datore di lavoro.
  2. Il DL 28 marzo 1989, n. 110, decaduto per mancata conversione, in vigore dal 30 marzo 1989 al 28 maggio 1989, all’art. 1, co 1 e 2, ha replicato il testo sopra trascritto.
  3. Il DL 29 maggio 1989, n. 196, decaduto per mancata conversione, in vigore dal 29 maggio 1989 al 28 luglio 1989 ha riprodotto, all’art. 1 co. 1 e 2, le medesime disposizioni
  4. IL DL 5 agosto 1989, n. 279, decaduto per mancata conversione, in vigore dall’ 8 agosto 1989 al 6 ottobre 1989, ha reiterato, all’art. 1 co. 1 la disposizione del comma 1, sopra trascritto, relativa al minimale contributivo (non replicando, invece, quella del comma 2 sulla imputazione esclusiva al datore di lavoro della obbligazione per il differenziale contributivo tra il parametro virtuale e la retribuzione effettiva).
  5. Infine il DL 9 ottobre 1989, n. 338, in vigore dati 10 ottobre 1989, convertito nella L. n. 389 del 1989, confermato espressamente dal D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 6, comma 8, ha stabilito il limite minimo di retribuzione imponibile ai fini contributivi, prevedendo che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.

Pertanto, la salvezza degli effetti prodotti dai decreti legge non convertiti disposta dall’1 co 2 L. 389/1989 comporta le esistenza della obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro in relazione al parametro virtuale del contratto collettivo di categoria sin dal gennaio 1989.

Da qui la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo che si adeguerà al seguente

principio di diritto:

Il criterio del minimale retributivo ai fini contributivi, secondo il quale occorre versare all’Inps somme che non trovano diretta corrispondenza né con la retribuzione dovuta né con il futuro trattamento pensionistico, va applicato a decorrere dal 1^ gennaio 1989, per effetto dell’art. 1 co. 2 L 389/1989, che ha disposto la salvezza dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge 30 dicembre 1988, n. 548, 28 marzo 1989, n. 110, 29 maggio 1989, n. 196, e 5 agosto 1989, n. 279”.

Una breve riflessione.

Il principio espresso dalla sentenza in rassegna è chiaro e la interpretazione offerta dai giudici di piazza Cavour è ineccepibile dal punto di vista tecnico giuridico. Sotto altro profilo, tuttavia, non può non rilevarsi come sia davvero singolare che la efficacia di una norma possa sopravvivere a numerosi e reiterati decreti legge, tutti non convertiti e decaduti, i cui effetti sono fatti poi salvi da una norma emanata “in coda”.

Se il Parlamento non ha convertito in legge il decreto legge, evidentemente, ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per la conversione.

In buona sostanza, si ha l’impressione che, in siffatto modo, venga “aggirata” la disposizione contenuta nell’articolo 11 delle preleggi secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

La Suprema Corte, in quanto giudice, è soggetta alla legge, e la legge, effettivamente, prevede quanto ha statuito la Corte regolatrice con la sentenza in rassegna. Ma, probabilmente, la norma che ha fatto salvi i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti porta il seme della incostituzionalità.

Difatti, anche se è vero che in caso di mancata conversione del decreto legge “le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti” (art. 77 Cost), è altrettanto vero che non può abusarsi di tale norma per ritenere efficaci norme che, reiteratamente, hanno in precedenza perso efficacia.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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