Il contratto tra avvocato e cliente è soggetto alla normativa posta a tutela dei consumatori

Download PDF

In particolare, nel caso di contratto tra avvocato e cliente di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore

contratto avvocato cliente

Il contratto di assistenza soggiace alla normativa a tutela del consumatore

Lo ha stabilito la Corte giustizia UE sez. IX con sentenza del 15/01/2015 n.537.

La questione affrontata dalla Corte di Giustizia Europea verte sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29). In particolare, la controversia vede contrapposti da un lato un avvocato, in merito ad una richiesta di pagamento di onorari, e dall’altro il proprio cliente. La suddetta direttiva, tra l’altro, norma il principio in forza del quale “nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”.

 Le questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia UE sono:

1) Se debba essere considerata “consumatore”, ai sensi del diritto dell’Unione europea in materia di tutela del consumatore, una persona fisica che, in forza di un contratto stipulato con un avvocato, riceve servizi di assistenza legale, prestati in cambio di un compenso, in controversie presumibilmente connesse con gli interessi personali della menzionata persona (divorzio, divisione dei beni acquisiti nel corso del matrimonio ecc.).

2) Se debba essere considerato come “professionista”, ai sensi del diritto dell’Unione europea in materia di tutela del consumatore, un avvocato che esercita una professione liberale, il quale predispone un contratto con una persona fisica per la prestazione di servizi di assistenza legale a fronte di un compenso che lo obbliga a prestare assistenza legale finalizzata al raggiungimento di obiettivi di detta persona estranei alla sua occupazione o professione.

3) Se i contratti per la prestazione di servizi di assistenza legale a fronte di un compenso, predisposti da un avvocato nel corso delle sue attività professionali in quanto rappresentante di una professione liberale, rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (…) la quale stabilisce, tra l’altro, che nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore.

4) In caso di risposta affermativa alla terza questione, se possano essere applicati criteri generali ai fini della classificazione di siffatti contratti come contratti con i consumatori, o se essi debbano essere considerati contratti con i consumatori secondo criteri particolari. Ove sia necessario applicare criteri particolari per la classificazione di siffatti contratti come contratti con i consumatori, quali siano detti criteri.

 Secondo la Corte di Giustizia “per quanto concerne i contratti di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, si deve rilevare che, in materia di prestazioni offerte dagli avvocati, vi è, in linea di principio, una disparità tra i clienti-consumatori e gli avvocati, dovuta segnatamente dall’asimmetria informativa tra tali parti. Gli avvocati dispongono, infatti, di un elevato livello di competenze tecniche che i consumatori non necessariamente possiedono, cosicché questi ultimi possono incontrare difficoltà per valutare la qualità dei servizi loro forniti”.

Prosegue la Corte che “quando un avvocato decide di utilizzare, nei rapporti contrattuali con i clienti, le clausole standardizzate predisposte da lui stesso o dagli organi del suo ordine professionale, è per volontà di tale avvocato che le suddette clausole sono direttamente integrate nei rispettivi contratti. Dato che gli avvocati decidono liberamente di ricorrere a tali clausole standardizzate che non riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, non si può inoltre sostenere che l’applicazione di tale direttiva può minare la specificità dei rapporti tra un avvocato e il suo cliente e i principi sottesi all’esercizio della professione di avvocato. Alla luce dell’obiettivo della tutela dei consumatori perseguito da tale direttiva, infatti, la questione della sua stessa applicabilità non può essere determinata dalla natura pubblica o privata delle attività del professionista o dalla missione specifica di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs, C-59/12, EU:C:2013:634, punto 37)”.

Per la Corte di Giustizia dell’UE non vi sono ragioni per escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 i numerosi contratti stipulati dai clienti-consumatori con le persone che esercitano libere professioni, che si caratterizzano per l’indipendenza e gli obblighi deontologici ai quali tali prestatori sono soggetti. Una diversa interpretazione priverebbe l’insieme di tali clienti-consumatori dalla tutela accordata da detta direttiva.

Né vale, in senso contrario opinare c che, nel quadro delle loro attività, gli avvocati sono tenuti a garantire il rispetto della riservatezza dei loro rapporti con i clienti-consumatori, e ciò in quanto le clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale, segnatamente quelle che sono predisposte per un utilizzo generalizzato, non contengono, in quanto tali, informazioni personalizzate relative ai clienti degli avvocati la cui rivelazione potrebbe minacciare il segreto della professione di avvocato.

D’altronde, conclude la Corte, è ben vero che la formulazione specifica di una clausola contrattuale, in particolare quella vertente sulle modalità degli onorari dell’avvocato, potrebbe eventualmente rivelare, perlomeno incidentalmente, taluni aspetti dei rapporti tra l’avvocato e il suo cliente che dovrebbero restare segreti; ma è altrettanto vero che una clausola del genere, tuttavia, sarebbe negoziata individualmente e, di conseguenza, come risulta dal punto 19 della presente sentenza, sarebbe sottratta all’applicazione della direttiva 93/13.

In conclusione, al fine di valutare il carattere abusivo delle clausole di tali contratti, deve essere presa in considerazione la natura dei servizi che sono oggetto dei contratti assoggettati alla direttiva 93/13, conformemente al suo articolo 4, paragrafo 1, letto alla luce del suo diciottesimo considerando. Tale valutazione deve essere effettuata, infatti, dal giudice nazionale tenendo conto di tale natura e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione (v., in tal senso, sentenza Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 71, e ordinanza Sebestyén, C-342/13, EU:C:2014:1857, punto 29). Di conseguenza, “per quanto riguarda i contratti relativi a servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, spetta al giudice del rinvio tener conto della natura particolare di tali servizi nel valutare la chiarezza e la comprensibilità delle clausole contrattuali, conformemente all’articolo 5, prima frase, della direttiva 93/13, e dare ad esse, in caso di dubbio, l’interpretazione più favorevole al consumatore, ai sensi della seconda frase di tale articolo.

Il principio di diritto espresso dalla Corte: “La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che essa si applica ai contratti standard di servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, stipulati da un avvocato con una persona fisica che non agisce per fini che rientrano nel quadro della sua attività professionale”.

Per leggere il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia UE n°537 del 2015 clicca qui.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF