Corte Suprema di Cassazione – sezione terza – sentenza n. 12716 del 19 giugno 2015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Omissis) convenne in giudizio (Omissis) -primario oculistico presso l’Ospedale di (Omissis) e l’Azienda Ospedaliera (Omissis) per essere risarcito dei danni subiti all’occhio destro, che (nel corso degli anni dal 1992 al 1998) era stato sottoposto, da parte del (Omissis), a numerosi interventi; precisò che detti interventi erano esitati nel danneggiamento della cornea, che aveva reso necessario un trapianto, al quale non aveva fatto seguito il recupero della capacità visiva, in quanto il nervo ottico si era nel frattempo necrotizzato.

Costituitisi in giudizio entrambi i convenuti, nonché la Fondiaria Assicurazione (chiamata in manleva dal (Omissis)), il Tribunale di Siena rigettò sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale proposta dal (Omissis) (che aveva reclamato il risarcimento dei danni per la lesione del proprio prestigio professionale), con integrale compensazione delle spese processuali.

La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza, rigettando sia l’appello principale del(Omissis) che quello incidentale del (Omissis) e condannando il (Omissis) a rifondere le spese del grado sia al (Omissis) (salva compensazione per 1/3) che alla Azienda Ospedaliera e alla Fondiaria.

Ricorre per cassazione il (Omissis) affidandosi a cinque motivi; resiste il (Omissis) a mezzo di controricorso illustrato da memoria, mentre gli altri intimati non svolgono attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte di Appello ha affermato che l’istruttoria svolta in primo grado aveva consentito di escludere che la perdita del visus dell’occhio destro del (Omissis) fosse “in alcun modo riconducibile a imprudenza, imperizia o negligenza del chirurgo, ovvero a inadempimento da parte della struttura” giacché “sia dalla consulenza tecnica esperita in sede penale su richiesta del P.M., che da quella eseguita nel giudizio di primo grado è emerso in modo univoco che la perdita completa della capacità visiva … era la irreversibile e diretta conseguenza della patologia” da cui era affetto il paziente, “a prescindere dalla condotta dei sanitari, la cui attività diagnostica e i cui interventi erano stati effettuati con perizia, prudenza e diligenza”; ha concluso, pertanto, che “nel caso di specie, nonostante che le terapie e gli interventi fossero stati eseguiti adeguatamente e correttamente, si erano verificate tutte le complicanze prevedibili ma non altrimenti evitabili”.

I primi quattro motivi del ricorso sono incentrati sui risultati ma non altrimenti motivi del ricorso sono incentrati sui risultanti della C.T.U. e censurano -nel complesso- l’adesione del collegio alla relazione consulenziale.

Più precisamente, col primo motivo (“violazione del combinato disposto degli artt. 61, 101 e 115 C.P.C., nonché degli artt. 1176 c.c., 2236 c.c., 2697 c.c., coordinato con gli artt. 3 e 24 Cost.”), il (Omissis) si duole che sia i consulenti d’ufficio che i giudici di merito abbiano “posto a fondamento del loro convincimento fatti, risultanti da cartule e documenti vari, provenienti esclusivamente dal (Omissis), ritualmente e tempestivamente impugnati in giudizio, non acquisiti ritualmente agli atti processuali, in quanto non assurti al rango di prove documentali, e, perciò, privi di alcuna valenza di legge”; si duole -altresì- che sia stato fatto riferimento ad una nozione di nesso causale di tipo penalistico, senza adottare i diversi orientamenti elaborati dalla giurisprudenza in materia civile.

Con i successivi tre motivi, viene dedotto “difetto di motivazione” in punto di rigetto dell’istanza di rinnovazione della C.T.U. (secondo), di mancata risposta alle specifiche doglianze mosse dal ricorrente alla relazione di consulenza (terzo) e di non adeguata considerazione della consulenza disposta dal P.M. in sede penale (quarto motivo).

Il quinto motivo deduce anch’esso “difetto di motivazione”, ma in riferimento alla dichiarata inammissibilità della prova testimoniale richiesta dal (Omissis): il ricorrente censura l’affermazione della Corte secondo cui il giudice di primo grado aveva “correttamente …ritenuto inammissibili le istanze istruttorie, trattandosi di valutazioni ovvero di circostanze squisitamente tecniche, che sono state oggetto di C.T.U. e di prova documentale”; afferma che -al contrario- i capitoli articolati “contengono circostanze di fatto, non valutazioni o nozioni squisitamente tecniche e non documentate in atti”.

Quest’ultimo motivo è fondato.

Per quanto emerge dalla sintesi riportata in ricorso (a pagg. da 24 a 26), il contenuto dei capitoli non è limitato a valutazioni o a circostanze squisitamente tecniche, ma concerne specifici elementi di fatto che –seppure necessitanti, nella maggior parte dei casi, di successiva valutazione tecnica- appaiono suscettibili di essere acquisiti a mezzo di prova testimoniale e presentano astratta idoneità a costituire la base di una valutazione tecnica che non sia fondata essenzialmente sulla documentazione proveniente dal (Omissis).

Non può non rilevarsi, ad esempio, la natura tutt’altro che valutativa o tecnica delle circostanze dedotte ad oggetto dei capitoli 4 e 5, che investono direttamente il nodo centrale dell’addebito mosso dal (Omissis) all’operato del (Omissis), ossia il mancato tempestivo accertamento del distacco di retina.

La motivazione adottata sul punto dalla Corte risulta dunque palesemente insufficiente a giustificare il rigetto dell’istanza istruttoria: si impone pertanto l’accoglimento del motivo, con assorbimento delle restanti censure (in quanto l’eventuale ammissione dei capitoli da parte della Corte di rinvio potrebbe comportare la necessità di compiere una nuova valutazione tecnica del complessivo materiale probatorio acquisito).

La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il quinto motivo, dichiarando assorbiti gli altri, cassa la sentenza e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Bologna.

Roma, 10.4.2015

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