Corte Suprema di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n. 25358 del 17 dicembre 2015

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 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 29 ottobre 2010 il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, a seguito di intimazione di sfratto di morosità a (conduttore Omissis) da parte di (locatore Omissis) riguardante un appartamento sito in Ischia che la intimante aveva addotto di avere ereditato da tale (de cuius Omissis) con cui l’intimato sarebbe stato in rapporto locatizio, e a seguito di giudizio di cognizione piena per opposizione dell’intimato che aveva negato l’esistenza del contratto, ha dichiarato sussistente un contratto di locazione ad uso abitativo oralmente stipulato nel 1979 tra la dante causa dell’attrice, (de cuius Omissis), e (conduttore Omissis) e ne ha altresì dichiarato la risoluzione per inadempimento del conduttore con conseguente condanna di quest’ultimo al rilascio dell’immobile.

Con sentenza del 19 luglio-2 agosto 2012 n. 2349 la Corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello proposto da (conduttore Omissis), ritenendo inesistente il contratto locatizio e respingendo pertanto la domanda della (locatore Omissis).

2. Ha presentato ricorso la (locatore Omissis), sulla base di cinque motivi.

Il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione di legge nonché vizio motivazionale in ordine alla proprietà, in capo della ricorrente, dell’immobile in questione. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge nonché difetto motivazionale per avere il giudice d’appello ritenuto non provata la convivenza di (conduttore Omissis) con la precedente conduttrice, la di lui nonna (Omissis), quando questa morì nel 1984, così da subentrare nel relativo contratto di locazione. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge perché erroneamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto nullo il contratto locatizio per esservi il (conduttore Omissis) subentrato quando era minorenne. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge nonché motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine alla valutazione della prova testimoniale resa dai fratello della ricorrente, (locatore Omissis). Il quinto motivo denuncia violazione di legge e difetto di motivazione quanto alle prodotte ricevute di ditte per lavori eseguiti su commissione del (conduttore Omissis) nell’appartamento in questione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato nei limiti di quanto si verrà ora a esporre.

3.1 Il primo motivo denuncia ex articolo 360 n.3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 100, 115, 116, 61, 191 c.p.c. e 1571, 1587, 588 c.c. nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo ex articolo 360 n.5 c.p.c.

Adduce la ricorrente che il giudice di prime cure aveva ritenuto che ella avesse dimostrato documentalmente che era divenuta proprietaria dell’immobile de quo quale erede di (Omissis), rilevando tuttavia che, avendo il contratto locatizio natura personale, tale profilo reale è insufficiente a sostenere raccoglimento delle pretese della (locatore Omissis), occorrendo invece accertare l’esistenza del contratto di locazione e il subentro in esso dell’attrice in conseguenza della successione.

La Corte d’appello, a fronte di contestazione da parte del (conduttore Omissis) nel gravame di merito della qualità di proprietaria della (locatore Omissis), ha invece ritenuto non provata detta proprietà, peraltro confermando che ciò non incide sui rapporto locatizio, di natura personale e non reale. La ricorrente comunque dedica il primo motivo a impegnarsi a dimostrare, attraverso un’amplissima trascrizione di documenti e argomentando altresì sulla base delle dichiarazioni dei testimoni, di essere proprietaria dell’immobile in questione appunto quale erede di (Omissis); e a ciò aggiunge la censura della omessa disposizione di consulenza tecnica d’ufficio diretta ad interpretare le risultanze catastali da cui si evincerebbe il suo diritto di proprietà.

Effettivamente, nella sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo d’appello il giudice di merito opera una valutazione degli esiti probatori in ordine alla proprietà dell’immobile, concludendo che “non è…possibile affermare che l’odierna appellata fosse proprietaria del bene de quo, né tale convinzione può trarsi dal comportamento processuale del (conduttore Omissis)”; precisa però la corte territoriale che, “come già osservato dal primo Giudice, tale circostanza non escluderebbe che la prova della sussistenza del rapporto locativo, di natura personale e non reale, fra la (locatore Omissis) e Giuseppe (conduttore Omissis) possa ugualmente ritenersi sussistente”. Poiché quest’ultimo rilievo è pienamente condivisibile – nel contratto di locazione immobiliare ben potendo essere locatore anche chi non sia proprietario dell’immobile, ma ne abbia soltanto la disponibilità di fatto, purché sulla base di un titolo non contrario all’ordine pubblico (v. Cass. sez. 3, 20 agosto 2015 n. 17030; Cass. sez. 3, 22 ottobre 2014 n. 22346; Cass. sez. 3, 14 luglio 2011 n. 15443; Cass. sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8411) – e poiché non risulta che sia stata proposta domanda alcuna di accertamento della proprietà dell’immobile (anzi, immediatamente prima, in accoglimento del primo motivo d’appello la stessa corte territoriale aveva affermato che il Tribunale era incorso in ultrapetizione per avere “respinto una riconvenzionale di intervenuta usucapione mai proposta” dal (conduttore Omissis); e tutto ciò, si nota per inciso, avrebbe dovuto condurre la corte a ritenere inammissibile il secondo motivo d’appello per carenza di interesse), emerge chiaramente che quanto affermato dal giudice d’appello in ordine alla proprietà dell’immobile non integra una ratio decidendi che sorregga la sua decisione di dichiarare insussistente il preteso contratto di locazione sulla base del quale l’attuale ricorrente ha addotto di agire e la sua conseguente decisione di rigettare ogni domanda della (locatore Omissis) stessa. Permea pertanto il motivo in questione un’evidente carenza di interesse – anche sotto il profilo della omessa disposizione di CTU, essendo pure questa doglianza diretta all’accertamento della proprietà – che lo rende inammissibile (cfr.Cass. sez. lav. 22 ottobre 2014 n. 22380; Cass. sez.lav. 22 novembre 2010 n. 23635; Cass. sez.3, 5 giugno 2007 n. 13068; Cass. sez.1, 16 agosto 2006 n. 18170; Cass. sez.5, 11 giugno 2004 n. 11160, S.U. 14 marzo 1990 n. 2078).

3.2 II secondo motivo denuncia ex articolo 360 n.3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 1321 e 1571 c.c., 1 e 6 L. 392/1978 e 112, 115 e 116 c.p.c., nonché difetto motivazionale su un punto decisivo ex articolo 360 n.5 c.p.c. per avere !a Corte d’appello ritenuto che non vi fosse prova della convivenza dell’appellante con sua nonna (Omissis) quando quest’ultima, conduttrice in un rapporto locatizio con (de cuius Omissis) relativo all’immobile de quo, morì nel 1984, convivenza che avrebbe pertanto giustificato il subentro del nipote nel contratto ex articolo 6 I. 392/1978. Lamenta la ricorrente che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di tenere conto delle testimonianze di (locatore Omissis) (testi Omissis), che avrebbero dichiarato che il (conduttore Omissis) viveva appunto con la nonna, non valutando le prove con prudente apprezzamento e non tenendo conto che all’epoca il contratto locatizio era a forma libera. Per di più il giudice d’appello avrebbe deciso ultra petitum ritenendo che la ricorrente avesse addotto la convivenza quale presupposto – in quanto fonte di subentro – del rapporto locatizio, laddove ella aveva prospettato due contratti autonomi.

A prescindere dal fatto che la ricorrente, nel suo ampio ricorso, riporta stralci di testimonianze sulla pretesa convivenza tra nonna e nipote da cui emerge, tra l’altro – si nota per inciso -, che il teste (Omissis) aveva dichiarato che il (conduttore Omissis) soltanto d’estate viveva con lei, ciò che rileva è la natura meramente fattuale del motivo, finalizzato a ottenere dal giudice di legittimità una “revisione” degli esiti probatori in ordine appunto alla convivenza del nipote con la (Omissis): incorre pertanto la doglianza in evidente inammissibilità, anche perché, pur nella sua estesa argomentazione (nella quale per di più vengono inseriti riferimenti chiaramente privi di pertinenza alla questione del subentro da convivenza, come la questione della forma contrattuale all’epoca vigente), la ricorrente non riesce a evincere dall’apparato motivazionale alcuno specifico vizio riconducibile alla fattispecie di cui all’articolo 360 n.5 c.p.c. – vizio che in effetti, d’altronde, non sussiste, avendo la corte territoriale offerto ai riguardo una motivazione concisa ma non insufficiente nè affetta da illogicità (motivazione della sentenza impugnata, pagina 6) – bensì propone un diretto scandaglio di quanto avrebbero apportato le dichiarazioni testimoniali.

Anche questo motivo, in conclusione, risulta affetto da inammissibilità.

3.3 Il terzo motivo denuncia ex articolo 360 n.3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116, 416, 426, 433 e 345 c.p.c. per avere il giudice d’appello ritenuto che se il (conduttore Omissis) fosse subentrato nel contratto (Omissis-Omissis), il subentro sarebbe avvenuto quando egli era minorenne. Osserva peraltro la ricorrente che la corte territoriale a ciò non attribuisce un “valore decisivo”, per cui solo per “evitare acquiescenze” dovrebbe affermarsi che questo elemento non avrebbe reso nullo il contratto.

A tacer d’altro, è evidente che la stessa ricorrente è consapevole di una reale mancanza di un suo interesse a proporre il motivo, il quale concerne in effetti un mero obiter dictum della corte territoriale, che nega il subentro del (conduttore Omissis) ex articolo 6 L. 392/1978 sulla base di quel che afferma essere emerso dall’istruttoria sulla convivenza tra nonna e nipote, inserendo soltanto per inciso che quest’ultimo era “oltretutto all’epoca minorenne” (motivazione, pagina 6), e non pervenendo a dichiarare alcuna nullità contrattuale.

Il motivo è pertanto inammissibile per carenza di interesse.

3.4 Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. – in sostanza per un malgoverno da parte del giudice del suo potere di libero convincimento in ordine agli elementi probatori – nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo, per avere il giudice d’appello ritenuto inattendibile in ordine al pagamento del canone locatizio da parte del (conduttore Omissis) il testimone (Omissis) in quanto fratello dell’appellata e per assenza di altri elementi probatori al riguardo. La corte territoriale, invece – osserva la ricorrente -, avrebbe dovuto adeguatamente motivare il giudizio di inattendibilità del teste, che non può automaticamente discendere dalla sua parentela con una delle parti, non occorrendo d’altronde riscontri affinché una testimonianza, pur se unica, esplichi valore probatorio.

Premesso che il motivo è correttamente dotato di autosufficienza, essendo stata abbondantemente trascritta nel ricorso la testimonianza di (Omissis) anche quanto alle dichiarazioni con cui afferma di avere egli stesso assistito al versamento da parte del (conduttore Omissis) del canone locatizio alla (Omissis), pure a mezzo della (locatore Omissis) quale rappresentante di lei, deve darsi atto che lo stesso giudice d’appello (v. motivazione, pagine 6-7) rileva proprio che secondo il suddetto teste (Omissis) ha pagato personalmente ad (Omissis) il canone locativo, di un milione e mezzo di lire, almeno fino a un paio di anni prima della morte della locatrice (2002)”, a ciò, peraltro, immediatamente aggiungendo: “Nessun altro elemento istruttorio suffraga tale affermazione, la cui attendibilità, per di più, sebbene non esclusa, è certamente ridotta dal fatto che (Omissis) sia fratello della ricorrente. La teste (Omissis) ha dichiarato di non aver assistito a pagamenti di canone da parte dell’appellato. Deve dunque ritenersi che non sia stata sufficientemente provata la qualità di conduttore del (conduttore Omissis), il quale, non potendosi dire subentrato alla (Omissis), per la menzionata soluzione di continuità della locazione avutasi alla morte di (Omissis), non risulta essersi mai comportato da conduttore. Anzi, depongono in senso contrario le prodotte ricevute relative a lavori di straordinaria manutenzione (montaggio, smontaggio e sistemazione di un lavatoio, impermeabilizzazione del tetto) fatti eseguire dall’odierno appellante”.

È evidente che il passo motivazionale appena riportato illustra un punto decisivo – l’esistenza di un rapporto locatizio tra i litiganti -, ed è parimenti evidente che si fonda su un completo svuotamento di valore probatorio della deposizione di (Omissis), sulla base di argomentazioni apparenti/neutre o comunque manifestamente illogiche.

Invero, essendo consapevole il giudice d’appello che l’attendibilità del teste non poteva essere elisa solo dal legame parentale con l’appellata (si limita infatti la corte a un mero asserto che l’attendibilità sia “certamente ridotta” da tale vincolo, “sebbene non esclusa”; e su questo rilievo si tornerà infra), in primis enuncia che “nessun altro elemento istruttorio suffraga” l’affermazione del teste sul versamento del canone da parte dell’appellante, inserendo successivamente la pretesa scarsa attendibilità solo come una aggiunta tutt’altro che decisiva (“attendibilità, per di più, sebbene non esclusa,.., ridotta”) e tentando poi a dare una qualche concretezza al quadro probatorio asseritamente contrario. Ma è anzitutto illogico – e dunque inidoneo a “smontare” la valenza probatoria della testimonianza suddetta – affermare che l’appellante non si era mai comportato da conduttore in quanto non subentrato alla nonna, dato che ben poteva sussistere un contratto autonomo, essendo (Omissis) deceduta nel 1984 (motivazione, pagina 6), considerato che lo stesso (conduttore Omissis) aveva “dichiarato d’aver cominciato ad abitare l’appartamento nel 1985” (motivazione, ibidem) e che il pagamento dei canoni testimoniato da (Omissis) sarebbe avvenuto, come rileva appunto la stessa corte territoriale, “almeno fino a un paio di anni prima della morte della locatrice (2002)” (motivazione, ibidem). Ed è ictu oculi logicamente irrilevante, sempre allo stesso scopo di smentire le dichiarazioni del teste (Omissis), evidenziare che il (conduttore Omissis) aveva effettuato lavori nell’appartamento (circostanza sul piano logico appunto del tutto compatibile con un rapporto locatizio, dato poi che, come si evince dalla sentenza impugnata, il (conduttore Omissis) non ha dichiarato di essere proprietario, ha puntualizzato con il primo motivo d’appello di non intendere far valere alcuna usucapione e però ha ammesso di abitare l’appartamento fin dal 1985), come pure richiamare le dichiarazioni della teste (Omissis), visto che queste sono neutre rispetto alle dichiarazioni del teste (Omissis) (la dichiarazione negativa nel senso che ella non abbia “assistito a pagamenti di canone” logicamente non integra prova della inesistenza di tali pagamenti).

Avendo così constatato che la corte territoriale non offre in motivazione alcun elemento contrario alla dichiarazione testimoniale di (Omissis) atto a sorreggere la motivazione stessa laddove esclude il valore probatorio di tale testimonianza, deve altresì rilevarsi – in riferimento alla doglianza di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. – che la prova testimoniale, anche nel caso in cui si tratti di un unico teste, in effetti non necessita, per espletare la sua valenza, riscontri esterni a suo supporto, tranne nell’ipotesi in cui si tratti – e non è indubbiamente il caso in esame visto il tenore delle dichiarazioni che rendono (Omissis) un teste che ha assunto conoscenza diretta dei fatti – di testimonianza de relato (su quest’ultima fattispecie, in tal senso – e talora con distinzione tra il teste che ha preso conoscenza dal litigante, cioè de relato actoris, e il teste che ha preso conoscenza da un terzo, cioè de relato tout court – cfr. Cass. sez. 1, 19 luglio 2013 n. 17773; Cass. sez. 1, 14 febbraio 2008 n. 3709; Cass. sez. 1, 3 aprile 2007 n. 8358; Cass. sez. 1, 19 maggio 2006 n. 11844; Cass. sez. 1 8 febbraio 2006 n. 2815; Cass. sez. 3, 20 gennaio 2006 n. 1109; Cass. sez. lav., 24 marzo 2001 n. 4306; Cass. sez. lav., 4 giugno 1999 n. 5526; Cass. sez. lav., 17 ottobre 1997 n. 10297). Non ha dunque sintonia con il dettato normativo il rilievo attribuito dalla corte territoriale alla assenza di altri elementi del quadro probatorio suffraganti le dichiarazioni del teste (locatore Omissis).

Non si può, allora, non riprendere in esame la questione dell’attendibilità del teste, così come emerge dalla motivazione del giudice d’appello, il quale afferma apoditticamente che l’attendibilità del teste (Omissis) “è certamente ridotta” per essere egli fratello della appellata.

Confligge anche questo rilievo con il dettato normativo in ordine alla valutazione delle prove alla luce dell’insegnamento di questa Suprema Corte, per cui in particolare “non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti” (così la già citata Cass. sez.3, 20 gennaio 2006 n. 1109; conformi Cass. sez.3, 24 maggio 2006 n. 12365 e Cass. sez.3, 21 febbraio 2011 n. 4202; e cfr. pure Cass. sez. 2, 6 dicembre 2007 n. 25549).

A tale – dunque inaccettabile – inattendibilità “automatica” (per quanto parziale, come si è visto) si aggiunge poi l’emersione di una vena contraddittoria nel tessuto motivazionale della Corte d’appello, che opera, senza giustificarlo, un frazionamento della valutazione delle dichiarazioni del teste (Omissis). Questo teste è richiamato, senza alcuna messa in discussione dell’attendibilità del suo apporto, anche a proposito della questione della proprietà dell’immobile (motivazione, pagina 5), e altresì quale fonte di riscontro delle dichiarazioni dell’appellante sull’epoca in cui quest’ultimo si sarebbe insediato nell’appartamento (motivazione, pagina 6). L’improvviso e radicale declassamento, allora, in termini di attendibilità delle dichiarazioni del teste integra un’ulteriore criticità del governo da parte del giudice d’appello degli esiti probatori e della relativa esternazione motivazionale. Non può infatti non ricordarsi, in ultima analisi, che il libero convincimento concesso dal legislatore (articolo 116, primo comma, c.p.c.) al giudice di merito in ordine alla valutazione delle risultanze delle prove e pure al giudizio sull’attendibilità dei testi (ex multis Cass. sez.1, 23 maggio 2014 n. 11511 e Cass. sez.lav, 1 settembre 2003 n. 12747) si rapporta comunque ad una razionalità di scelta, ovvero ad una giustificazione congrua che non patisca intrinseche contraddittorietà (cfr. p.es. Cass. sez.3, 26 giugno 2015 n. 13229; Cass. sez.3, 27 aprile 2010 n. 10055; Cass. sez.3, 18 aprile 2007 n. 9245): giustificazione che, nel caso in esame, non connota le modalità in cui il giudice di merito ha privato di ogni valenza, su quel che è indubbiamente decisivo per condurre all’esistenza di un rapporto locatizio (il versamento di canone da parte del (conduttore Omissis) fin quasi alla morte della dante causa della ricorrente), la testimonianza di (Omissis).

Per quanto si è rilevato, dunque, come violazione dei canoni normativi invocati dalla ricorrente e come illogicità e incongruità motivazionali, il quarto motivo del ricorso risulta fondato. Ne consegue – assorbito il quinto e ultimo motivo – che il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

P.Q.M.

cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma il 4 novembre 2015

 

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