Cassazione penale sezioni unite 18 dicembre 2014 n. 4909

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Cassazione penale sezioni unite 18 dicembre 2014 n. 4909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE     SEZIONI UNITE PENALI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   Dott. SANTACROCE Giorgio       – Presidente   –  Dott. SIRENA     Pietro Antoni – Consigliere –   Dott. SIOTTO     Maria Cristin – Consigliere –      Dott. ZAMPETTI   Umberto       – Consigliere –    Dott. ROMIS       Vincenzo – rel. Consigliere –   Dott. CONTI       Giovanni     – Consigliere –                  Dott. MACCHIA     Alberto       – Consigliere –    Dott. VESSICHELLI Maria         – Consigliere –                  Dott. FIDELBO     Giorgio       – Consigliere – la pronunciato la seguente:sentenza sul ricorso proposto da:           T.G., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 03/03/2014 della Corte di appello di Torino;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere Vincenzo Romis;udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott.DESTRO Carlo, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;udito il difensore di parte civile, avv. Giacomo Giovannini, il qualeha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;udito il difensore dell’imputato, avv. Maurizio Bortolotto, il qualeha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Fatto
RITENUTO IN FATTO

  1. Il Tribunale di Asti condannava T.G. – in ordine al delitto di diffamazione in danno di G.F. e G. R., con l’aggravante di aver commesso il fatto con il mezzo della pubblicità – alla pena di Euro 1.032,00 di multa, con la concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata aggravante; il T. veniva altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separato giudizio.
  2. Avverso detta sentenza proponeva rituale e tempestivo appello il T..

2.1. In assenza di contestazioni sul merito della vicenda, con i motivi di gravame veniva chiesto il riconoscimento della scriminante di cui all’art. 599 c.p., in quanto l’imputato, già occupato con funzioni apicali presso la società ACPLAST s.p.a. rappresentata dalle persone offese, era stato, a suo dire, da queste indotto ad ingiuste dimissioni. Sicchè egli aveva agito nell’ambito di una sorta di reazione ad un comportamento vessatorio ed ingiusto posto in essere ai suoi danni in ambito lavorativo.

2.2. In subordine, si sosteneva che i fatti si sarebbero estinti per prescrizione e in via ulteriormente subordinata veniva chiesto il riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante poichè l’imputato, resosi conto degli illeciti commessi, aveva chiesto scusa alle vittime del reato offrendo di versare in loro favore una somma di denaro a titolo di risarcimento che tuttavia non era stata accettata.

  1. La Corte di appello di Torino, con sentenza in data 3 marzo 2014, disattendeva le doglianze sui capi penali della sentenza impugnata, ribadendo la sussistenza nel merito dell’addebito ascritto all’imputato, ritenendo prive di qualsiasi rilievo le motivazioni che lo avrebbero indotto all’illecito.

3.1. Con riferimento alla richiesta declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, il Collegio escludeva che ne fosse maturato il termine finale, evidenziando in particolare che il procedimento era stato oggetto di numerosi rinvii richiesti ed ottenuti dalla difesa dell’imputato, anche in sede di appello, per impedimenti, tentativi di accordi transattivi e partecipazione a scioperi di categoria: differimenti che avrebbero costituito altrettante cause di sospensione della prescrizione e che, pur se limitati al periodo di 60 giorni ciascuno, avrebbero comunque determinato un prolungamento del termine di prescrizione di quasi sette mesi.

3.2. La Corte distrettuale, infine, riduceva la provvisionale concessa dal primo giudice in favore delle parti civili, rideterminandola in Euro 10.000,00 ciascuno per G.F. e R. e in Euro 5.000,00 per la ACPLAST s.p.a..

  1. Con atto datato 11 aprile 2014, T.G. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, avverso tale sentenza, sviluppando due motivi di impugnazione per vizi di violazione di legge e di difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 159 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al mancato riconoscimento dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Si rileva in particolare che, diversamente da quanto affermato dalla Corte distrettuale, il reato sarebbe ormai definitivamente estinto per prescrizione. Si sostiene infatti che, partendo dalla data di decorrenza del termine – coincidente con la data di consumazione del reato, individuata, con la sentenza di primo grado, nel marzo 2006 – avrebbe dovuto tenersi conto del minor termine sospensivo pari a 147 giorni (e non sette mesi), con esclusione dei cinque periodi di rinvio disposti nel corso del giudizio di primo grado per impedimento del giudice, per la pendenza di trattative volte alla rimessione della querela, per omessa citazione dei testimoni da parte del P.M. e per impedimento del difensore di parte civile. Sotto tale profilo, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe affetta da gravi errori nella valutazione dei singoli differimenti delle udienze, da cui discenderebbe l’erronea applicazione della disciplina della sospensione dei termini di prescrizione. In primo luogo, si rileva come il rinvio intervenuto in sede d’appello risulta richiesto dal difensore di parte civile per sue ragioni di salute: impedimento non idoneo a sospendere il corso della prescrizione.

In relazione poi al giudizio di primo grado, evidenzia il ricorrente come, degli otto rinvii disposti dal Tribunale di Asti, solo tre risulterebbero essere stati idonei a sospendere il corso della prescrizione: alcune udienze sarebbero state infatti rinviate in conseguenza di un impedimento del giudice.

Ad avviso del ricorrente, parimenti inidoneo a sospendere i termini di prescrizione deve considerarsi il rinvio disposto a causa dell’omessa citazione dei testimoni da parte del Pubblico Ministero; e, secondo l’assunto difensivo, anche il rinvio disposto dal Tribunale il 7 ottobre 2009 – in ragione delle trattative pendenti tra le parti per addivenire ad un accordo ai fini della eventuale remissione della querela – non integrerebbe una causa di sospensione della prescrizione.

Il ricorrente conclude, dunque, che, dei rinvii di cui la Corte territoriale da atto in sentenza, soltanto tre sarebbero stati richiesti dalla difesa dell’Imputato.

In particolare: a) due rinvii sarebbero stati disposti per impedimento, ritenuto legittimo, del difensore, e ciò comporterebbe, per ciascun rinvio, una sospensione del tempo necessario a prescrivere non superiore a 60 giorni, pur in presenza di rinvio disposto per un tempo superiore (sul punto vengono evocate due decisioni della Corte di cassazione: n. 43428 del 3 settembre 2010, delle Sezioni Unite, e n. 20845 del 28 aprile 2011, della Terza Sezione); b) altro rinvio sarebbe stato disposto invece a seguito della adesione da parte del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dall’Unione delle Camere Penali: in tale ultimo caso non opererebbe il limite di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3.

Ad avviso del ricorrente, pertanto, sulla scorta di tale ricostruzione, il corso della prescrizione sarebbe stato sospeso per complessivi giorni 147 e non per quasi sette mesi, come asserito dalla Corte di appello di Torino, di guisa che il reato si sarebbe definitivamente estinto per prescrizione alla data del 24 febbraio 2014, dunque prima della data della sentenza oggetto del ricorso.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata difetti di motivazione in punto di condanna dell’imputato al pagamento della provvisionale, per la mancanza di prova del danno subito dalle parti civili per fatto dell’imputato e, comunque, di un danno non patrimoniale che raggiunga la somma complessiva rideterminata dalla Corte di appello. La mera diminuzione della provvisionale concessa nel giudizio di primo grado, senza indicare alcuna prova del danno per l’ammontare in seguito rideterminato e facendo un vago riferimento ai “danni provati e liquidati”, non costituirebbe motivazione idonea a supportare con logicità la condanna dell’imputato al pagamento della somma.

  1. La Sezione Feriale, assegnataria del ricorso, con ordinanza n. 42800 del 21 agosto 2014, dep. il 13 ottobre 2014, ha rilevato come la questione sollevata con il primo motivo di ricorso evidenzi una problematica in relazione alla quale è riscontrabile un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, concernente il quesito se in caso di rinvio del processo per concomitante impegno professionale del difensore operi o meno, ai fini della sospensione del corso della prescrizione, il limite temporale di 60 giorni di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3.

5.1. In via preliminare, nell’ordinanza viene evidenziata la necessità di procedere all’accertamento della data di consumazione del reato dalla quale far decorrere il termine di prescrizione del reato in conformità al disposto dell’art. 158 c.p., nel testo novellato, applicabile nel caso di specie. Si rileva, dunque, che “dalla verifica degli atti rimessi a questa Corte, risulta che l’unica querela orale fu effettivamente presentata alla P.G. in data 11 marzo 2006.

Appare quindi logico e corretto far coincidere con tale data, quella di consumazione del reato, ancorandola all’unico elemento realmente dotato di inequivoca certezza. Ne discende che risultano procedibili tutte le condotte diffamatorie commesse fino alla suddetta data. Per quelle successive, asseritamente commesse fino al settembre 2006 alla stregua della incolpazione, dovrebbe invece operare la causa di improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, eventualmente da rilevarsi d’ufficio ex art. 129 codice di rito.

Facendo quindi decorrere dall’11 marzo 2006 il termine massimo di prescrizione di anni sette e mesi sei, previsto dalla vigente normativa in materia, il reato de quo si sarebbe estinto, l’11 settembre 2013″.

5.2. Osserva tuttavia la Sezione Feriale che su tale termine hanno comunque inciso alcune cause di sospensione conseguenti a rinvii disposti nel corso del giudizio di primo grado ed in particolare: 1) dal 23 dicembre 2009 al 18 marzo 2010: richiesta di rinvio disposto, senza opposizione di P.M. e delle parti civili, per impedimento dell’avv. B., difensore dell’imputato, in quanto bloccato a Torino a causa del maltempo: mesi 2 e giorni 22; 2) dal 17 febbraio al 28 giugno 2012: rinvio disposto, con sospensione del termine di prescrizione, per impedimento professionale dello stesso difensore dell’Imputato: mesi 4 e giorni 10; 3) dal 17 novembre al 15 dicembre 2011: rinvio disposto per adesione del difensore dell’imputato all’astensione dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria: giorni 28.

Ciò posto, rileva ancora la Sezione Feriale, che per la sospensione di cui al punto 1), trattandosi certamente di un impedimento assoluto a comparire, non potrebbe dubitarsi in ordine all’applicabilità del limite temporale di cui al citato art. 159 c.p.; limite che, di contro, non troverebbe applicazione in relazione all’ipotesi sub 3), laddove, non potendosi parlare di “impedimento” ma di “richiesta”, seppure legittima, di rinvio, e non operando dunque tale limite, la durata della sospensione dovrebbe necessariamente corrispondere all’intervallo temporale tra le due udienze (peraltro pari a soli 28 giorni).

Con riferimento, da ultimo, all’ipotesi di sospensione della prescrizione per il rinvio di cui al punto 2) – dipendente dal concomitante impegno professionale del difensore – nell’ordinanza di rimessione si osserva che, invece, si pone il problema se anch’essa sia da considerare, al pari della prima, quale legittimo impedimento e quindi soggetta al limite dei 60 giorni di sospensione del corso della prescrizione, o se, invece, non essendo assimilabile il concomitante impegno professionale ad un vero e proprio “impedimento”, l’intervallo tra le due udienze, ai fini del calcolo della sospensione, debba essere computato per intero.

5.2.1. Nella prima ipotesi, venendo il periodo totale di sospensione ad ammontare a mesi 4 e giorni 28, la prescrizione sarebbe maturata il giorno 28 febbraio 2014 e quindi in data antecedente a quella di pronunzia della sentenza gravata di ricorso (3 marzo 2014).

5.2.2. Nella seconda ipotesi, il totale del periodo di sospensione comporterebbe che la prescrizione sarebbe maturata invece in data successiva alla suddetta pronunzia.

  1. In considerazione, pertanto, dell’importanza primaria, per l’esito del ricorso, della decisione sul primo motivo di impugnazione, la Sezione rimettente evidenzia l’esigenza di comporre il contrasto sopra menzionato in ordine alla interpretazione della disposizione dettata dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3.
  2. Nell’affrontare la questione, l’ordinanza di rimessione da conto di un primo e più risalente orientamento di legittimità, avviato da Sez. 1, n. 44609 del 14/10/2008, Errante, Rv. 242042 e successivamente ribadito da Sez. 2, n.1 17344 del 29/03/2011, Ciarlante, Rv. 250076, secondo il quale l’impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale non costituirebbe un’ipotesi di impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e quindi, pur dando luogo ad un legittimo rinvio dell’udienza, non farebbe scattare i limiti di durata della sospensione della prescrizione di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3. In tale ipotesi, pertanto, non sarebbe configurarle un impedimento in senso tecnico del difensore ma una deliberata scelta, ancorchè legittima, fatta – valere attraverso la richiesta di rinvio. La Sezione Feriale, inoltre, mette in rilievo come tali pronunce fondino la loro motivazione sulla giurisprudenza di legittimità formatasi sulla questione relativa alla natura del rinvio disposto per adesione del difensore alia astensione proclamata dalle associazioni di categoria, laddove si è consolidato il principio per cui l’astensione dalle udienze non può essere ricondotta nell’alveo del legittimo impedimento con la conseguenza che la sospensione del corso della prescrizione deve abbracciare l’intero periodo di rinvio non soffrendo la limitazione dei sessanta giorni (si citano Sez. 3, n. 4071 del 17/10/2007, Regine, Rv. 238544; Sez. 2, n. 20574 del 12/02/2008, Rosano, Rv. 239890; Sez. 1, n. 25714 del 17/06/2008, Arena, Rv. 240460).
  3. Sulla questione la Sezione Feriale segnala, poi, l’esistenza di un contrapposto orientamento, espresso da Sez. 4, n. 10926 del 18/12/2013, dep. 2014, La China, Rv. 258618, per il quale (Impedimento del difensore per concomitante impegno professionale in altro procedimento, una volta valutato e verificato dal giudice penale che abbia accolto la relativa richiesta di rinvio, integra un caso di assoluta impossibilità a comparire tenuto conto dell’esigenza di garantire l’effettività della difesa tecnica come sottolineato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4708 del 1992, con conseguente applicazione della “limitazione” della sospensione della prescrizione ex art. 159 c.p., comma 1, n. 3.

In considerazione pertanto del rilevato conflitto interpretativo affermatosi in relazione a tale disposizione, il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite.

  1. Con decreto del 23 ottobre 2014, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna pubblica udienza.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il primo motivo di ricorso – formulato con specifico riferimento al diniego da parte della Corte territoriale di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione – investe la questione relativa all’attribuibilità o meno della natura di legittimo impedimento per il difensore, con conseguente sua impossibilità assoluta di comparire (art. 420 ter c.p.p.), all’ipotesi di concomitante impegno professionale in altro procedimento: e ciò, ai fini dell’applicabilità o meno, in tal caso, del limite temporale di 60 giorni della sospensione del decorso del termine prescrizionale, previsto dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, secondo periodo, come formulato con le modifiche introdotte con la L. n. 251 del 2005 (legge c.d. ex Cirielli).

Per completezza espositiva, è doverosa una precisazione. Il ricorrente, nell’accennare al rinvio del dibattimento disposto su richiesta del difensore di parte civile per motivi di salute dello stesso, cita – a sostegno dell’affermazione che si tratterebbe di ipotesi di rinvio non soggetta a sospensione del decorso della prescrizione (cfr. pag. 3 del ricorso) – due precedenti della giurisprudenza di legittimità, e precisamente la sentenza n. 39334 del 2011 e la sentenza n. 10822 del 2009: orbene, va evidenziato che, mentre la prima delle due evocate sentenze è relativa specificamente al caso di rinvio disposto su richiesta (del difensore) della parte civile (che non comporta la sospensione del decorso del termine di prescrizione), la seconda si riferisce al (diverso) caso di imputato difeso da due difensori ed al rinvio del dibattimento disposto dal giudice per adesione all’astensione dalle udienze di uno solo dei due difensori (ipotesi che pure non costituisce causa di sospensione del decorso del termine di prescrizione).

  1. Il quesito di diritto cui le Sezioni Unite devono dare risposta – che, come anticipato, è riconducibile al primo motivo di ricorso – scaturisce dalla diversa interpretazione sistematica data dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia e può così essere sintetizzato: “se, ai fini della sospensione del corso della prescrizione del reato, il contemporaneo impegno professionale del difensore in altro procedimento possa integrare un caso di “impedimento”, con conseguente congelamento del termine fino ad un massimo di sessanta giorni dalla sua cessazione”.
  2. Come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il contrasto può essere ricostruito attraverso l’analisi di due orientamenti della Corte di cassazione, ciascuno dei quali appare sostanzialmente tracciato sulla base di una diversa qualificazione della natura del diritto del difensore al differimento dell’udienza nel caso di concomitante impegno professionale in altro procedimento.
  3. Secondo un primo orientamento il concomitante impegno professionale del difensore, benchè tutelato dall’ordinamento con il riconoscimento del diritto ai rinvio dell’udienza, non costituirebbe un’ipotesi di impedimento legittimo e conseguente impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva: non darebbe luogo, pertanto, ad un caso in cui trovano applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, nel testo introdotto dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6.

Tale principio, affermato da Sez. 1, n. 44609 del 14/10/2008, Errante, Rv. 242042, è stato successivamente ribadito in termini del tutto adesivi da Sez. 2, n. 17344 del 29/03/2011, Ciarlante, Rv.

250076, nella quale si è precisato che a detta conclusione si deve giungere In considerazione dell’interpretazione del novellato art. 159 c.p., comma 1, n. 3, – quale elaborata dalla giurisprudenza di legittimità – per cui la sospensione del termine di prescrizione del reato a seguito della sospensione del processo è limitata al periodo di sessanta giorni, oltre al tempo dell’impedimento, esclusivamente nel caso in cui venga disposto il rinvio dell’udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio conseguente a richiesta dell’imputato o del suo difensore.

Va poi segnalata Sez. 1, n. 5956 del 11/02/2009, Tortorella, Rv. 243374, che, seppure con riferimento alla diversa fattispecie relativa alla richiesta di rinvio motivata dall’adesione del difensore all’agitazione della categoria professionale, ha affermato il principio secondo il quale “la sospensione del termine di prescrizione, come conseguenza della sospensione del processo, è limitata al periodo di sessanta giorni, oltre al tempo dell’impedimento, nel caso di rinvio dell’udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio dell’udienza a seguito di richiesta dell’imputato o del suo difensore”. Negli stessi termini si sono ancora espresse: Sez. 5, n. 33335 del 23/04/2008, Inserra, Rv. 241387; Sez. 3, n. 4071 del 28/01/2008, Regine, Rv. 238544; Sez. 5, n. 44924 del 14/11/2007, Marras, Rv. 237914.

Richiamandosi a tali principi, le sentenze Errante e Ciarlante, sopra ricordate, concludono affermando esplicitamente che la disposizione di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, non potrebbe trovare applicazione nel caso di rinvio dell’udienza a seguito di richiesta del difensore per contemporaneo impegno professionale, posto che, trattandosi di istanza comunque ricollegabile ad una scelta dello stesso difensore, per quanto legittima, non costituirebbe impedimento in senso tecnico non essendo espressione di una impossibilità assoluta e oggettivamente insuperabile a comparire.

Secondo la ricostruzione esegetica in esame, la fattispecie relativa al rinvio per concomitante impegno professionale del difensore dovrebbe dunque essere trattata conformemente a quella del rinvio per astensione collettiva dalle udienze, già risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso del riconoscimento al difensore di un diritto costituzionalmente tutelato il cui esercizio non è tuttavia configurabile quale impedimento legittimo, ed assoluta impossibilità a comparire in udienza, con la conseguenza che in tal caso non opera il limite temporale di 60 giorni di sospensione della prescrizione previsto dall’art. 159 c.p..

L’indirizzo affermato dalle citate sentenze Errante e Ciarlante risulta condiviso anche da altre pronunce – non massimate – tra le quali possono ricordarsi le seguenti: Sez. 3, n. 11874 del 31/01/2014, Farina; Sez. 2, n. 2194 del 05/11/2013, dep. 2014, Palisto; Sez. 3, n. 13941 del 19/12/2011, dep 2012, Scintu; Sez. 6, n. 26071 del 08/06/2011, S.A.M.; Sez. 2, n. 41269 del 03/07/2009, Tatavitto. Anche tali decisioni – muovendo dalla ravvisata eadem ratio tra l’ipotesi del rinvio dell’udienza a seguito di richiesta per concomitante impegno professionale e quella del differimento dell’udienza chiesto dal difensore per l’adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalla categoria – giungono alla conclusione che in entrambe le ipotesi, non trattandosi di impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva, non potrebbero trovare applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione introdotti dalla legge c.d. ex Cirielli.

  1. A fronte dell’opzione interpretativa appena illustrata, si registrano pronunce in cui la Suprema Corte ha affermato, in termini diametralmente opposti, che anche il concomitante impegno professionale dei difensore può costituire il legittimo impedimento richiesto dalla norma, in tutti i casi in cui esso sia stato non soltanto comunicato tempestivamente, ma documentato anche in riferimento all’essenzialità e non sostituibilità della presenza del difensore in altro processo; in tal senso, ex plurimis: Sez. 3, n. 17218 del 03/03/2009, Giretti, n.m. sul punto; Sez. 3, n. 13766 del 06/03/2007, Medico, n.m.. Sicchè, qualora ricorrano tali condizioni, il giudice del processo di cui si chiede il rinvio deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse difensivo e l’interesse pubblico all’immediata trattazione del procedimento (presenza di imminenti cause estintive, esaurimento dei termini di fase della custodia cautelare e situazioni analoghe). Pertanto, secondo tale orientamento, qualora a seguito di siffatta rigorosa verifica il giudice accerti la sussistenza di idonei elementi in ordine alla indispensabilità della presenza del difensore nell’altro procedimento, si determinerebbe una “assoluta impossibilità a comparire”, con conseguente applicazione del limite temporale di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, ed impossibilità di tenere conto, ai fini del calcolo della sospensione del termine di prescrizione, del periodo eccedente quello fissato ex lege.

Detta soluzione ermeneutica è stata in epoca recente recepita da Sez. 4, n. 10926 del 18/12/2013, La China, Rv. 258618, che ha affermato il principio secondo il quale “l’Impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, tutelato dall’ordinamento con il diritto al rinvio dell’udienza, costituisce un’ipotesi di impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva, di talchè l’udienza non può essere rinviata oltre il sessantesimo giorno e, ove ciò avvenga, la sospensione della prescrizione non può comunque avere durata maggiore, dovendosi applicare la disposizione di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, nel testo introdotto dall’art. 6 della I. 5 dicembre 2005, n. 251”.

In tale pronuncia, la Corte ha evidenziato come il diverso orientamento sconti “il vizio di un mancato confronto con la ricognizione della natura del diritto al differimento della trattazione su istanza del difensore, impegnato professionalmente in altro procedimento”: si tratterebbe, invero, di una fattispecie peculiare e del tutto diversa rispetto all’istanza di rinvio avanzata per altre ragioni seppure connesse alla necessità di meglio esercitare il diritto di difesa quali, ad esempio, l’acquisizione di documenti, lo studio degli atti, il reperimento di precedenti giurisprudenziali, l’esigenza di attendere definizioni giudiziarie o anche l’adesione ad astensione dall’attività proclamata da organi rappresentativi della categoria. La pronuncia in esame, riprendendo le argomentazioni già in parte sviluppate nella precedente sentenza Giretti (sopra citata), ha ricostruito l’impedimento del difensore per concorrente impegno professionale richiamandosi sostanzialmente al principio enunciato – in relazione al testo allora vigente dell’art. 486 c.p.p., comma 5, – dalle Sezioni Unite con la sentenza Fogliani (Sez. U, n. 4708, 27/03/1992, Rv. 190828), secondo cui “perchè l’impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell’art. 486 c.p.p., comma 5, è necessario che il difensore prospetti l’impedimento e chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a comunicare e documentare l’esistenza di un contemporaneo impegno professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell’attività a cui deve presenziare, l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato, l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p., sia nel processo a cui si intende partecipare sia in quello di cui si chiede il rinvio. Il giudice di quest’ultimo processo deve valutare accuratamente, bilanciando le esigenze di difesa dell’imputato da un lato e quelle di affermazione del diritto e della giustizia dall’altro, le documentate deduzioni difensive, anche alla luce delle eventuali necessità di un rapido esaurimento della procedura trattata, per accertare che l’impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie o non possa nuocere all’attuazione della giustizia nel caso in esame. Il provvedimento di accoglimento o di reiezione dell’istanza deve essere conseguentemente motivato secondo criteri di logicità”.

Altro argomento addotto nella sentenza La China, a sostegno della soluzione prospettata, si fonda sull’interpretazione anche lessicale delle norme che disciplinano la materia: l’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, e l’art. 420 ter c.p.p.. Si rileva, in particolare, che la prima disposizione si limita ad assimilare all’impedimento dell’imputato quello del difensore, mentre la seconda, che disciplina l’aspetto procedimentale, dopo aver circoscritto la assoluta impossibilità a comparire dell’imputato alle ipotesi di caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, dispone poi che il giudice provvede a norma del comma 1 (rinviando cioè il dibattimento) anche nel caso di assenza del difensore, quando risulta che la stessa è dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento purchè tempestivamente comunicato.

Il legittimo impedimento del difensore, secondo la sentenza La China, sarebbe dunque riconducibile ad una categoria ontologica diversa da quella presa in rassegna per l’imputato, tanto che l’impedimento, pur sempre assoluto (e l’assolutezza ricorre ove restino integrati i presupposti individuati dalle Sezioni Unite con la sentenza Fogliani), viene qualificato legittimo, cioè giustificato, non strumentale o defatigante, sempre a condizione che venga prontamente comunicato: ove la nozione del legittimo impedimento dei difensore coincidesse con quella della forza maggiore o del caso fortuito, non sempre sarebbe possibile la pronta comunicazione; ovviamente, ha precisato ancora la sentenza La China, anche per il difensore, oltre al legittimo impedimento per concomitante impegno professionale, il rinvio è dovuto in caso di eventi costituenti forza maggiore o caso fortuito.

Nel medesimo solco interpretativo si è posta Sez. 3, n. 37171 del 07/05/2014, Di Mauro, Rv. 260106. Tale pronuncia, dinanzi alle contrastanti interpretazioni sulla riconducibilità del concorrente impegno professionale del difensore all’istituto del legittimo impedimento, e sulla conseguente applicabilità, in tale ipotesi, del termine breve di sospensione del corso della prescrizione, richiama preliminarmente e diffusamente le motivazioni di Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, S., Rv. 258335 e di Sez. 3, n. 19856 del 19/03/2014, Pierri, Rv. 259440, affermando di volerne condividere le conclusioni laddove è stato precisato che l’astensione dalle udienze non può essere ricondotta all’interno dell’istituto del “legittimo impedimento”. Si evidenzia invero che mentre il legittimo impedimento è direttamente funzionale al diritto di difesa, l’astensione collettiva dalle udienze costituisce esercizio di un diritto di libertà costituzionalmente collegato al diritto di associazione tutelato dall’art. 18 Cost., il cui corretto esercizio, attuato in ottemperanza a tutte le prescrizioni formali e sostanziali Indicate dalle pluralità di fonti regolatrici, comporterebbe il rinvio anche delle udienze camerati, trovando la sua ragione nell’esercizio stesso di un diritto di libertà: la diversità di tali situazioni giustificherebbe pertanto la diversità di trattamento.

Muovendo proprio da siffatti rilievi la sentenza Di Mauro si contrappone alla tesi antitetica, osservando che mentre è possibile sostenere che l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni di categoria non configura un legittimo impedimento, in quanto il difensore può liberamente scegliere se aderirvi o meno non essendo egli impedito a comparire in un luogo piuttosto che in un altro ma manifestando la sua volontà di esercitare un diritto di libertà non presentandosi nell’unico luogo nel quale avrebbe dovuto assolvere l’attività defensionale, altrettanto non può sostenersi in relazione all’ipotesi del concorrente impegno professionale del difensore: quest’ultimo, invero, non è chiamato, se non indirettamente, a scegliere il processo cui presenziare, e dunque l’udienza alla quale comparire, ma è tenuto solo a comprovare, sul presupposto dell’oggettiva impossibilità fisica di assicurare la presenza nello stesso tempo in due luoghi diversi e tra loro incompatibili, la ragione di un impedimento assoluto, che radica anche un diritto al rinvio, alla stregua dei principi e dei criteri selettivi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza Fogliani (sopra ricordata), proprio al fine di evitare possibili espedienti dilatori. Pertanto la sentenza Di Mauro conclude nel senso che, in presenza delle condizioni indicate dalla sentenza Fogliani, e come affermato anche da Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244109, spetta al giudice effettuare una valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione.

Una recentissima sentenza, pronunciata dalla Corte di cassazione in materia, appartiene pure a questo indirizzo interpretativo: sono state infatti ribadite in Sez. F, n. 46817 del 13/08/2014, Cipolla, Rv. 260550, le ragioni per cui non appare condivisibile il contrapposto orientamento. Tale decisione, in particolare, ricorda gli obblighi di diligenza che gravano sul difensore – che gli impongono di dare preferenza alla posizione processuale che risulterebbe maggiormente pregiudicata dalla mancata trattazione del giudizio – nonchè le stesse disposizioni in materia di astensione collettiva dalle udienze che escludono la possibilità di astenersi proprio in presenza di alcune particolari tipologie di eventi procedimentali di speciale importanza (si richiama sul punto l’art. 4 del codice di autoregolamentazione). Cosi, anche l’impegno professionale può acquisire efficacia impeditiva assoluta allorquando si accerti la presenza di circostanze che impongono al difensore di partecipare al diverso procedimento risultando solo in tal modo garantita l’effettività del diritto di difesa.

  1. Ritengono le Sezioni Unite di dover aderire al secondo degli orientamenti sopra illustrati.

Dal descritto panorama giurisprudenziale di legittimità, emerge chiaramente che, ai fini della soluzione della questione che in questa sede rileva, occorre individuare le differenze ravvisabili – con riferimento alla sfera volitiva del difensore interessato – tra la richiesta di rinvio del procedimento, per adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalla categoria, e quella per un prospettato concomitante impegno professionale.

Secondo i sostenitori dell’indirizzo interpretativo contrario alla configurabilità del concomitante impegno professionale quale impedimento legittimo ed assoluto, non vi sarebbe alcuna differenza trattali ipotesi di rinvio, posto che in entrambi i casi il rinvio dell’udienza scaturirebbe da una “richiesta” avanzata dal difensore, dunque da una “scelta” di quest’ultimo, e non da un evento esterno ed oggettivo di carattere cogente tale da impedire in maniera assoluta al difensore di comparire in udienza al di là della sua stessa volontà.

Orbene siffatto ragionamento non può essere condiviso, per plurime ragioni.

  1. Mette conto evidenziare che secondo l’interpretazione ormai consolidata di questa Corte il limite massimo di sessanta giorni di sospensione del corso della prescrizione non può trovare applicazione nel caso di astensione del difensore dalle udienze, restando il termine prescrizionale sospeso per l’intero periodo di differimento: e ciò, perchè detta astensione non costituisce impedimento in senso tecnico bensì un vero e proprio “diritto al rinvio” quale immediata conseguenza dell’esercizio del diritto costituzionale di libertà di associazione del difensore. Si è conseguentemente sostenuto che la richiesta di rinvio dell’udienza per aderire ad una astensione collettiva deve essere considerata una richiesta tutelata dall’ordinamento col diritto ad ottenere un differimento, ma non costituisce un impedimento in senso tecnico, visto che non discende da una assoluta impossibilità a partecipare all’attività difensiva: di tal che, la richiesta di differimento dell’udienza per aderire ad una astensione collettiva si inquadra nella seconda ipotesi prevista dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, (tra le tante: Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013, M., Rv. 256067; Sez. 6, n. 26079 del 13/05/2010, G.G.; Sez. 5, n. 18071 del 08/02/2010, Piacentino, Rv. 247142; Sez. 2, n. 44391 del 29/10/2008, Palumbo; Sez. 1, n. 25714 del 17/06/2008, Arena, Rv. 240460).

Dunque, l’adesione all’astensione collettiva va inquadrata all’Interno dell’esercizio di un diritto: per un verso, il concetto di “impedimento a comparire” risulta chiaramente incompatibile con una condotta (quella di non intervenire all’udienza in forza dell’adesione alla proclamata astensione dalle udienze) non imposta da eventi o cause esterne ma frutto della libera volontà di scelta del professionista interessato; e, per altro verso, appare non priva di significato la riconducibilità dell’adesione in oggetto all’Interno del diritto di associazione costituzionalmente tutelato dall’art. 18, così come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 1996: il Giudice delle leggi, in particolare, ha qualificato l’astensione degli avvocati come “manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo”, sì da escludere che l’astensione possa “essere ricondotta a mera facoltà di rilievo costituzionale”, rientrando piuttosto nell’ambito dei diritti “di libertà dei singoli e dei gruppi che ispira l’intera prima parte della Costituzione”. Le stesse Sezioni Unite hanno ritenuto di dover aderire a tale opzione con la sentenza n. 26711 del 30/05/2013, Ucciero, laddove è stato precisato che l’adesione all’astensione di categoria è “un diritto, e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo”. L’astensione degli avvocati dalle udienze – in conseguenza della L. n. 83 del 2000, che ha novellato la L. n. 146 del 1990 (disciplina dell’esercizio del diritto di sciopero nei servizi essenziali) con l’introduzione dell’art. 2 bis) e del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007 dagli organismi di categoria e valutato idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali con deliberazione del 13 dicembre 2007 – ha acquisito una piena legittimazione nel nostro ordinamento giuridico quale diritto di libertà, il cui esercizio resta solo subordinato ad una serie di regole e formalità: di tal che, una volta che queste risultano rispettate, il giudice è tenuto ad accogliere la richiesta di rinvio dell’udienza formulata dal difensore che dichiari di aderire all’astensione collettiva (proclamata a norma di legge) senza alcun margine di discrezionalità.

  1. Così analizzate, sia la natura dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria, sia le conseguenze del rinvio dell’udienza ad altra data per tale ragione – e passando ad esaminare l’ipotesi del concorrente impegno del difensore in due distinti procedimenti – va innanzi tutto evidenziato che il presupposto dal quale scaturisce il concomitante impegno professionale, vale a dire la fissazione dell’udienza di due distinti procedimenti per la medesima data, è evento rispetto al quale il difensore, impegnato in entrambi i procedimenti, ha una posizione assolutamente neutra, non potendo certo egli orientare i giudici dei due diversi procedimenti a rinviare l’udienza alla stessa data: l’individuazione da parte del giudice della data cui rinviare l’udienza, dipende, ovviamente, dalla natura dei processo, dalle esigenze di urgenza dello stesso e dall’organizzazione dell’ufficio cui il giudice appartiene. Dunque, da un punto di vista strettamente fattuale emerge all’evidenza l’estraneità della volontà del difensore rispetto al presupposto da cui scaturisce la contemporaneità del suo impegno professionale in due diversi procedimenti; già questa peculiarità varrebbe a differenziare l’ipotesi in esame da quella dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dalla categoria: questa sì, per quanto sopra detto, è certamente frutto di una libera scelta dell’interessato.
  2. Come accennato, anche altre ragioni – di ordine tecnico e sistematico, nonchè di tenuta costituzionale – militano a favore della tesi interpretativa che il Collegio ritiene di dover privilegiare.

Va ricordato che la Corte costituzionale era stata a suo tempo investita proprio del tema relativo ai possibili abusi cui poteva andare incontro la previsione che consentiva di far leva sul legittimo impedimento del difensore dovuto a concomitanti impegni professionali per ottenere rinvii del dibattimento, in tal modo generando il rischio di una paralisi processuale senza meccanismi di possibile sindacato da parte del giudice in ordine all’oggetto dell’impegno addotto dal difensore. La Corte, nell’occasione, contestò la validità dell’assunto da cui muoveva il giudice rimettente, osservando che l’art. 486 c.p.p., comma 5, poi “trasferito” nell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, ad opera della L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 19, non precludeva affatto al giudice di operare una valutazione comparativa tra le esigenze defensionali relative alla sede processuale in cui veniva richiesto il rinvio e quella che : rappresentava la circostanza “impeditiva”, aggiungendo che – contrariamente alla tesi del giudice a quo – doveva escludersi che tale valutazione potesse “essere ostacolata dalla mancanza di criteri e principi prefissati e selettivi, solo in presenza dei quali sarebbe consentito al giudice un giudizio di priorità”. Tale giudizio può difatti essere compiuto dal giudice – precisò la Corte ù “secondo i canoni di ragionevolezza in sede di esame comparativo delle situazioni messe a confronto, dovendosi anche tener conto che tali canoni andranno sempre più ad arricchirsi in conseguenza di una più prolungata pratica giurisprudenziale, in sede di applicazione concreta della norma denunciata” (che da poco era entrata in vigore e costituiva una novità rispetto alla precedente disciplina processuale).

D’altronde, la norma denunciata – puntualizzò ancora la Corte – “riferendosi ad un impedimento legittimo del difensore, ovviamente presuppone, da parte del giudice dinanzi al quale viene fatto valere l’impedimento, un apprezzamento diretto a stabilire la legittimità della richiesta. Cosi l’eventuale sindacato, da parte del giudice di grado superiore, in ordine ad una impugnazione in cui si lamenti la violazione del diritto alla difesa, conseguente al rifiuto di ammettere la legittimità dell’impedimento, dovrebbe a sua volta consistere nella verifica della ragionevolezza della determinazione adottata in ordine alla comparazione fra le situazioni messe a raffronto” (Corte cost., sent. n. 178 del 1991).

Il Giudice delle leggi, dunque, già a ridosso della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, non ebbe difficoltà alcuna ad inquadrare l’ipotesi del concomitante impegno professionale del difensore tra i casi in cui – salvo l’accertamento dei relativi presupposti – il dibattimento doveva essere sospeso o rinviato per assoluta impossibilità di comparizione del difensore per legittimo impedimento. Anzi, a ben guardare, il riferimento al diverso regime che invece caratterizzava la disciplina prevista dal codice abrogato – sul punto del tutto silente – stava chiaramente a denotare come, nella prospettiva coltivata dalla Corte costituzionale, proprio l’impedimento professionale fosse la ipotesi paradigmaticamente evocata dai legislatore del codice, considerata la centralità del ruolo difensivo in un processo ispirato al modello accusatorio e nell’ambito dei quale la difesa tecnica – anche per ciò che atteneva alla scelta dei riti alternativi – doveva essere assicurata in termini di reale effettività.

9.1. La sentenza Fogliani – cardine e fondamento giurisprudenziale sul quale si basa l’indirizzo interpretativo che le Sezioni Unite intendono seguire – aveva dunque sostanzialmente ripreso, e portato a completamento, la linea già tracciata dai giudici della Consulta, individuando in concreto i presupposti per poter assumere l’impegno professionale del difensore in altro processo come “legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell’art. 486 c.p.p., comma 5” (oggi art. 420 ter c.p.p., comma 5), attraverso un’opera ricognitiva tesa ad enucleare proprio quei parametri di ragionevole bilanciamento fra i diversi impegni professionali, atti a far risaltare la sede processuale da privilegiare rispetto all’altra, sul piano delle concrete esigenze defensionali e, dunque, tale da legittimare gli effetti sospensivi del rinvio.

Sicchè, in tale quadro di riferimento, finisce per assumere uno specifico risalto la ratio che sta alla base della peculiare previsione dettata dal novellato art. 159 c.p., comma 1, n. 3, secondo periodo, e che appare essere del tutto trasparente alla luce dei lavori parlamentari della legge n. 251 del 2005. Nella relazione svolta alla Camera dei deputati nella seduta del 26 settembre 2005, nell’illustrare la previsione secondo la quale veniva introdotto un “limite di durata della sospensione derivante da impedimento delle parti o dei difensori, stabilendo che l’udienza non possa essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo, in caso contrario (di non fissazione, cioè, dell’udienza), al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni”, si chiariva come l’intendimento perseguito fosse proprio quello di ottenere il superamento di una “prassi degenerativa da lungo tempo instauratasi nei nostri tribunali per la quale, a fronte di un impedimento di un giorno, si rinvia di un anno la prescrizione, arrecando grave danno e lesione ai diritti degli imputati”; soggiungendo come, attraverso quella modifica, si desse “ai magistrati … un paletto di riferimento congruo dal punto di vista della possibilità del rinvio, ma certamente non tale da consentire loro scelte arbitrarie o eccessivamente discrezionali”.

In una siffatta prospettiva, non avrebbe alcun senso non qualificare come “impedimento”, legittimo e di carattere assoluto, l’impossibilità defensionale che derivi da altra, prevalente esigenza difensiva, dovendo essere garantito il concreto ed effettivo esercizio del munus difensivo di sicuro rango costituzionale: il prospettato concomitante impegno professionale, posto a base di un’istanza di rinvio, non può essere qualificato alla stregua di una mera richiesta di rinvio, dovuta alle più varie, anche se legittime, ragioni, private o professionali che siano, che non possano assumere la connotazione e la caratura dell’impedimento assoluto.

Nè, come puntualmente messo in luce dai sostenitori dell’orientamento giurisprudenziale cui le Sezioni Unite intendono aderire (cfr., in particolare, la sentenza La China, cit.), appare priva di significato la circostanza che il codice di rito, nel disciplinare l’impedimento del difensore, anzichè far riferimento, come per l’imputato, al caso fortuito alla forza maggiore o ad “altro legittimo impedimento” – correlando, dunque, quest’ultimo termine ai caratteri della cogenza e della estraneità del fatto impeditivo alla volontà della parte – si limiti ad evocare la “assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento purchè tempestivamente comunicato”, in tal modo accreditando, anche attraverso l’onere della tempestiva comunicazione, una lettura della norma che privilegi proprio l’aspetto dell’impedimento professionale, sempre che lo stesso presenti i caratteri di “assolutezza” elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

Non ignora il Collegio che le Sezioni Unite, nell’ambito del percorso motivazionale seguito nella sentenza n. 43428 del 30/09/2010, Corsini, hanno affermato che “il novellato disposto dell’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, non può applicarsi al di fuori delle ipotesi ivi espressamente previste (impedimento delle parti o dei difensori) e, quindi, in particolare, per quanto rileva ai fini in discorso, ai rinvii disposti per adesione dei difensori all’astensione indetta dalle Camere penali o per concomitante impegno professionale del difensore”, evocando in proposito la sentenza Errante (sopra citata, in linea con l’indirizzo interpretativo contrario alla attribuibilità della natura di impedimento legittimo ed assoluto al concomitante impegno professionale). Mette conto tuttavia precisare che nell’occasione le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi in merito alla disciplina transitoria prevista dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, enunciando il principio di diritto per il quale “ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato, deve tenersi conto della disposizione per cui, in caso di sospensione del processo per impedimento dell’imputato o del suo difensore, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, soltanto con riguardo ai rinvii disposti dopo la sua introduzione, avvenuta con la L. 5 dicembre 2005, n. 251”; le Sezioni Unite, quindi, non si occuparono approfonditamente e specificamente della questione qui in rilievo: si è trattato, dunque, di una mera indicazione incidentale alla quale non può pertanto attribuirsi valenza di enunciazione di principio.

9.2. E’ bene precisare che certamente la mera concomitanza di altri impegni professionali non integra di per sè un legittimo impedimento, altrimenti si rimetterebbe effettivamente all’arbitrio del difensore quale dei due procedimenti privilegiare.

Come dianzi si è avuto modo di chiarire non si tratta di un fenomeno di mera “scelta” del difensore, rimessa alle individuali – e incontrollabili – strategie difensive, ma del ben diverso ambito in cui è chiamata ad operare una condizione “obiettiva” (come tale positivamente scrutinata dal giudice) di impossibilità assoluta di prestare la propria opera in una sede processuale, in quanto “compromessa” da un concomitante e (in quel momento) “prevalente” impegno difensivo.

  1. Volendo ora trarre le conclusioni da quanto fin qui argomentato, può essere enunciato il principio che fornisce la risposta al quesito rimesso al vaglio delle Sezioni Unite: “L’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, a condizione che il difensore prospetti l’impedimento appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo e rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro condifensore che possa validamente difendere l’imputato, nonchè l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p., sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio; con conseguente congelamento del termine fino ad un massimo di sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento stesso”.

In presenza delle condizioni appena indicate, il giudice, chiamato a decidere sull’istanza di rinvio così articolata e documentata, dovrà accertare se sia effettivamente prevalente il diverso impegno rappresentato, proprio in quanto esso, per assumere l’efficacia impeditiva richiesta dalla norma, deve presentare anche la caratteristica della obiettività, nel senso che la priorità della esigenza difensiva nel procedimento “pregiudicante” deve trovare il suo fondamento non nella soggettiva opinione del difensore, ma deve risultare ancorata a specifiche circostanze: semprechè non sussistano, ovviamente, contrarie ragioni di urgenza, che il giudice deve valutare con ponderata delibazione, nel necessario bilanciamento fra le contrapposte esigenze.

Deve, in particolare, ritenersi particolarmente pregnante l’obbligo per il difensore di prospettare, al giudice ai quale si chiede il rinvio, con assoluta tempestività, il proprio impedimento (appunto, “appena conosciuta” la contemporaneità dei diversi impegni): e ciò, al fine di poter consentire al giudice stesso di individuare la data della nuova udienza (in caso di accoglimento dell’istanza di differimento) anche in relazione alle esigenze organizzative del proprio ufficio, e far si che “l’eventuale rinvio avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie” (cfr. sentenza Fogliani, cit.).

10.1. Proprio per la necessità che il coevo impegno del difensore – onde poter giustificare il rinvio del processo – implichi una assoluta impossibilità a comparire, è evidente che qualora l’impedimento allegato consista in un impegno professionale concomitante presso la stessa sede giudiziaria o presso una sede diversa, ma non lontana da quella in considerazione, alla verifica della possibile designazione di un sostituto deve aggiungersi quella di una possibile variazione di orario, per consentire la partecipazione del difensore ad entrambi i giudizi.

10.2. Ove l’onere di documentazione dell’impedimento non sia osservato dal difensore, non può dunque ritenersi sussistente il legittimo impedimento e quindi neppure un “diritto al rinvio” della causa; tuttavia, può eventualmente il giudice, contemperando comunque le esigenze della difesa con quelle della giurisdizione, concedere il rinvio secondo il suo prudente apprezzamento – tenendo conto delle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, dei diritti e delle facoltà per le altre parti coinvolte nel processo, dei principi costituzionali di ragionevole durata ed efficienza della giurisdizione – così qualificando la richiesta di differimento non come legittimo impedimento ma come “mera richiesta di rinvio” per assicurare all’imputato di essere assistito dal difensore che meglio conosce la vicenda processuale: ciò comportando, conseguentemente, la sospensione del decorso della prescrizione per tutto il periodo del differimento.

  1. Come precisato nell’ordinanza di rimessione, la data del commesso reato addebitato al T. deve ritenersi cristallizzata all’11 marzo 2006, giorno in cui fu presentata la querela (e tale punto non è stato oggetto di contestazione).

Ne deriva che per i fatti successivi a tale data – ed addebitati all’imputato con il capo di imputazione come commessi fino al settembre 2006 – deve essere pronunciato annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza perchè l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela.

  1. Venendo ora ad esaminare specificamente le doglianze dedotte dal T. con il ricorso, alla luce dei principi quali sopra enunciati, risulta fondata la tesi del ricorrente secondo cui i giudici di merito avrebbero dovuto considerare limitato a 60 giorni il periodo di sospensione della prescrizione per il rinvio disposto nella ritenuta sussistenza del concomitante impegno professionale prospettato dall’avv. B. (rinvio nel corso del giudizio di primo grado dal 17 febbraio 2012 al 28 giugno 2012).

Orbene, i periodi dei rinvii nelle fasi di merito, che assumono rilievo ai fini del decidere, come desumibili dagli atti a disposizione di questa Corte, vanno precisati come segue: 1) dal 23 dicembre 2009 al 18 marzo 2010, rinvio disposto, senza opposizione del P.M. e del difensore delle parti civili, per impedimento dell’avv. B., difensore dell’imputato, in quanto bloccato a Torino a causa del maltempo (intervallo temporale tra le due udienze pari a 2 mesi e 22 giorni, calcolando il periodo di inattività processuale dal 23 dicembre 2009 – udienza di mero rinvio – al 17 marzo 2010); 2) dal 17 febbraio al 28 giugno 2012, rinvio disposto, con contestuale sospensione del termine di prescrizione, per concomitante impedimento professionale del difensore dell’imputato: 4 mesi e 10 giorni (calcolando il periodo della sospensione della prescrizione, come disposta dal giudice, per inattività processuale, dal 17 febbraio 2012 – udienza di mero rinvio – al 27 giugno 2012);

3) dal 17 novembre al 15 dicembre 2011: rinvio disposto per adesione del difensore dell’imputato all’astensione dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria: 28 giorni (calcolando il periodo di inattività processuale dal 17 novembre 2011 – udienza di mero rinvio – al 14 dicembre 2011); 4) nel ricorso si afferma che le parti all’udienza del 7 ottobre 2009 chiesero “concordemente” altro rinvio avuto riguardo alle trattative pendenti per addivenire ad un accordo in ordine al risarcimento del danno e conseguente remissione di querela: dall’esame del verbale dell’udienza si rileva che il dibattimento fu rinviato al 23 dicembre 2009 su richiesta dei difensore della parte civile avanzata “congiuntamente” all’avv. B. (difensore dell’imputato), per trattative finalizzate al risarcimento del danno e conseguente remissione della querela. In proposito mette conto sottolineare che il ricorrente sostiene che il motivo di detto rinvio non integrerebbe una causa di sospensione del corso della prescrizione e, a sostegno di tale assunto, richiama le sentenze della Corte di cassazione n. 7337 del 22/02/2007 e n. 39606 dei 28/06/2007 (pag. 4 del ricorso): orbene, è doveroso puntualizzare che, contrariamente all’assunto difensivo, si tratta di precedenti giurisprudenziali con i quali è stato invece affermato il principio – che il Collegio ritiene assolutamente condivisibile, e del tutto in linea con la consolidata giurisprudenza sul punto – secondo cui costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione, per l’intero periodo del differimento, il rinvio del dibattimento disposto in accoglimento di concorde richiesta dell’imputato e della parte civile, motivata con l’esigenza di addivenire ad un accordo in ordine al risarcimento del danno. Detto rinvio non risulta rilevato dalla ordinanza di rimessione che si sofferma solo sui tre rinvii di cui ai punti 1), 2) e 3) dianzi elencati.

  1. Ciò posto – dovendo riconoscersi natura di legittimo impedimento a comparire al concomitante impegno professionale dell’avv. B., difensore dell’imputato, posto dai Tribunale a base del rinvio dal 23 dicembre 2009 al 18 marzo 2010 di cui sub 2) del precedente paragrafo – il Tribunale prima, e la Corte di appello di Torino poi, erroneamente hanno calcolato la sospensione del decorso del termine prescrizionale per l’intero periodo del differimento, dovendo invece trovare applicazione il limite di 60 giorni stabilito dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, secondo periodo.

Ne deriva che, calcolando correttamente i periodi di sospensione del decorso della prescrizione in relazione ai quattro rinvii sopra ricordati – 60 giorni per il rinvio sub 1), 60 giorni per il rinvio sub 2), 28 giorni (corrispondente all’effettivo periodo di differimento per adesione all’astensione dalle udienze) per il rinvio sub 3), l’intero periodo di differimento per il rinvio sub 4) – il reato (relativamente ai fatti contestati come commessi fino all’11 marzo 2006) risulta essersi prescritto in data successiva a quella (3 marzo 2014) della sentenza impugnata: come detto, la Sezione rimettente non ha preso in considerazione il rinvio dal 23 dicembre 2009 al 18 marzo 2010.

  1. Nonostante ci si trovi in presenza di prescrizione maturata dopo la sentenza oggetto del ricorso – e non prima, come prospettato dal ricorrente – non possono riconoscersi profili di inammissibilità alla proposta impugnazione, posto che: a) un segmento temporale dell’addebito mosso all’imputato risulta oggetto di declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela (cfr. paragrafo 11); b) la tesi del ricorrente, circa l’applicabilità del limite temporale di 60 giorni per la sospensione della prescrizione, stabilito dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, secondo periodo, – nel caso di ritenuta fondatezza da parte del giudice dell’istanza di rinvio sul presupposto di coevo impegno professionale – è giuridicamente corretta, pur non valendo ad anticipare il tempo della prescrizione, nel caso in esame, ad epoca antecedente alla sentenza impugnata (il ricorrente ha errato nel non tener conto della sospensione dell’intero periodo di differimento per il rinvio nel giudizio di primo grado dal 7 ottobre 2009 al 23 dicembre 2009).

Deve essere pertanto dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con riferimento ai fatti contestati al T. come commessi fino all’11 marzo 2006.

  1. Essendo stata confermata nei confronti dell’imputato, con la sentenza oggetto del ricorso, la condanna risarcitoria pronunciata dal primo giudice, devono essere valutati gli effetti civili (art. 578 c.p.p.) in relazione alle motivazioni della sentenza impugnata ed alle censure dedotte con il ricorso. Orbene, sotto il primo aspetto, la sentenza della Corte di appello risulta immune da vizi motivazionali avendo i giudici di seconda istanza ancorato il proprio convincimento a specifiche e concrete acquisizioni probatorie puntualmente indicate: con la conseguenza che, pur all’esito della valutazione del compendio probatorio – doverosa per la presenza della parte civile nonostante l’intervenuta prescrizione del reato (secondo il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità) – non vi è spazio per una più favorevole pronuncia di proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione (cfr. Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti). Sotto il secondo profilo, deve rilevarsi che con il ricorso non sono state dedotte doglianze in punto di responsabilità.
  2. Sul versante civilistico, il ricorrente ha censurato esclusivamente la statuizione concernente il riconoscimento della provvisionale, prospettando, in particolare, l’asserita eccessività degli importi liquidati a tale titolo.

La doglianza è manifestamente infondata alla luce del consolidato indirizzo interpretativo, che anche in questa sede si intende ribadire, secondo cui “il provvedimento con il quale il giudice di merito nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento” (in termini, Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, Capelli, Rv. 186722; conf., ex plurimis: Sez. 4, n. 42134 dei 01/10/2008, Federico, Rv. 242185;

Sez. 2, n. 36536 del 20/06/2003, Lucarelli, Rv. 226454; Sez.6, n. 11984 del 24/10/1997, Todini, Rv. 209501).

  1. Alla soccombenza nei confronti delle parti civili, segue la condanna del T. a rimborsare a queste ultime le spese sostenute per questo giudizio che si ritiene equo liquidare in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori come per legge.

PQM
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai fatti successivi all’11 marzo 2006, perchè l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela.

Annulla altresì senza rinvio la stessa sentenza per i fatti fino all’11 marzo 2006 perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Condanna il ricorrente a rimborsare alle parti civili G. F., G.R.E. e ACPLAST s.p.a. le spese sostenute in questo giudizio che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2015

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