Cassazione civile sezioni unite 27 febbraio 2012 n. 2923

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Corte di Cassazione civile sezioni unite 27 febbraio 2012 n. 2923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –
Dott. LUPI Fernando – Presidente di sez. –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24864/2010 proposto da:
AZIENDA USL (OMISSIS) DI SIENA, in persona del legale
rappresentante pro
empore, elettivamente domiciliata 762 in ROMA, CORSO VITTORIO
EMANUELE II 18, presso lo STUDIO GREZ ED ASSOCIATI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GIALLONGO Natale, per delega in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
S.I., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO GOLDONI
47, presso lo studio dell’avvocato NICOLO’ ETTORE ZITO, rappresentata
e difesa dall’avvocato ANGELINI Pier Francesco in sostituzione
dell’avvocato BOTTONI ROBERTO, per delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 271/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 24/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
uditi gli avvocati G. GENTA per delega dell’avvocato Natale
Giallongo, Pier Francesco ANGELINI;
udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA
Raffaele, che ha concluso per l’A.G.O..

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 2006 S.I. conveniva dinanzi al Tribunale civile di Siena, Sezione Lavoro, la ASL (OMISSIS) deducendo: 1) era affetta dalla nascita da tetraparesi spastica derivata da sofferenza cerebrale ed era invalida civile al 70%; 2) nel 2003 era venuta a conoscenza della terapia riabilitativa R.I.C. – nota come metodica Dikul – praticata dall’Istituto privato di Medicina Fisica e Riabilitazione “Centro Giusti” di (OMISSIS), unico in Italia in grado di fornire una terapia riabilitativa motoria personalizzata, intensa e continuata, assimilabile alla terapia riabilitativa proposta dal Dr. W.Y., Direttore della New York University School of Medicine, volta a recuperare la funzionalità della deambulazione, anche con l’aiuto di minimi ausili e/o supporti, mediante lo sviluppo delle parti non lesionate; 3) perciò si era rivolta al predetto Centro che le aveva prescritto un ciclo di 15 settimane di terapie riabilitative, articolate dapprima in tre sedute settimanali e poi in quattro, della durata di h. 2,30 ciascuna e poi h. 3,30; 4) stanti gli incoraggianti risultati ottenuti intraprendeva nel 2004 un secondo ciclo di terapie, per una spesa complessiva di 9.358,87 Euro, di cui nell’ottobre 2005 aveva chiesto il rimborso all’ASL, negato nel gennaio 2006; 5) pertanto, invocando il diritto soggettivo individuale assoluto alla salute, costituzionalmente garantito, a norma del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 1, comma 7, rappresentandone il significativo – beneficio a livello individuale, chiedeva la condanna della USL al rimborso delle prestazioni, tanto più che le tariffe erano inferiori a quelle applicate dai centri del S.S.N.; 6) con sentenza del 2002 n. 2711 il TAR aveva annullato la delibera della Giunta Regionale Toscana del giugno 1999 che non aveva riconosciuto effetti riabilitativi alle terapie del c.d. metodo Dikul, atto comunque da cui non può dipendere la tutela del diritto alla salute.
La Asl, eccepito il difetto di giurisdizione stante la mancanza dell’urgenza per pencolo di vita o di aggravamento della malattia della paziente e di negligenze, inerzia o inadeguatezza del sistema sanitario nel fornire analoghe prestazioni, ribadiva l’inesistenza del diritto al rimborso poichè la S. aveva deciso di effettuare privatamente il ciclo di terapie riabilitative in un centro non accreditato per i trattamenti di recupero e riabilitazione funzionale, senza consultare l’USL di appartenenza. Il Tribunale di Siena accoglieva la domanda considerando: 1) l’attrice aveva poco più di vent’anni allorchè, lontana dalla famiglia, intraprendendo gli studi universitari a Firenze, avvertendo un peggioramento delle sue condizioni di deambulazione e stazione eretta, aveva deciso, avendone avvertito la necessità e l’urgenza, senza chiedere di esser autorizzata non ritenendolo necessario – e comunque la USL (OMISSIS) aveva ammesso che l’istanza non sarebbe stata accolta – di sperimentare il c.d. metodo Dikul; 2) il C.T.U. aveva affermato che il predetto metodo costituiva procedura riabilitativa speciale e comunque alternativa rispetto alle attività eseguite in modo parcellizzato presso altre strutture sanitarie e nelle U.U.S.S.L.L. – un’ora al giorno, a fronte di 5-6 ore al centro Giusti – poichè il metodo applicato da questo Centro si caratterizzava per l’intensità e la personalizzazione di terapie che peraltro, singolarmente considerate, erano ricomprese nel tariffario regionale approvato e i cui costi erano proporzionali all’attività svolta; 3) il miglioramento psicologico della S. era stato obbiettivamente apprezzato dalla psichiatra-psicoterapeuta, in quanto il metodo influisce sulla cenestesi, ancorchè il risultato sia temporaneo perchè dura soltanto se il soggetto riprende altri cicli; 4) quindi secondo lo stesso C.T.U., pur non essendo nè necessario, stante la stabilizzazione delle condizioni dell’attrice, nè urgente, il trattamento le aveva reso più accettabile per un certo periodo la sua disabilità e perciò si era rivelato utile; 5) pertanto la S. aveva tutelato il suo diritto alla salute, non soggetto ad affievolì mento per le scelte della P.A. di finanza pubblica; 6) sussisteva dunque il diritto di quest’ultima all’erogazione della prestazione richiesta alla luce del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1, nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 e a norma dell’art. 7 stesso D.Lgs., non essendo stati violati nè il principio di economicità, nè quello di appropriatezza delle cure riguardo alle specifiche esigenze della S. – le cui condizioni di vita non avevano avuto nessun effetto negativo dall’intensità e dalla durata dell’impegno riabilitativo – che non potevano esser soddisfatte da altre forme di assistenza.
Con sentenza del 24 marzo 2010 la Corte di appello di Firenze, Sez. lavoro, rigettava gli appelli della azienda ASL (OMISSIS) di Siena sulle seguenti considerazioni: 1) sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario poichè, secondo l’unanime orientamento delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, con la domanda al S.S.N., di rimborso per cure o interventi asseritamente urgenti e non ottenibili da questo l’assistito fa valere una posizione creditoria correlata al diritto alla salute, non suscettibile di affievolimento, mentre la valutazione dell’urgenza non involge apprezzamenti discrezionali della P.A., ma tecnici; 2) pur se il C.T.U. aveva escluso qualsiasi urgenza per la terapia, il requisito è da intendere, in applicazione del D.M. 3 novembre 1989, art. 2, comma 4, come questione sull’accesso a strutture sanitarie non pubbliche/nazionali per fruire di prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico richiedente specifica professionalità, ovvero di accedere a procedure tecniche o curative non praticate dal S.S.N., ovvero di fruire di attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate; 3) in Toscana è notorio che le ASL negano sistematicamente l’autorizzazione a fruire della terapia in oggetto, sì che, secondo l’orientamento delle S.U., sussiste la giurisdizione del giudice ordinario anche nel caso in cui si assume l’illegittimo diniego dell’autorizzazione, in considerazione del diritto alla salute che non può esser affievolito per discrezionalità tecnica sull’apprezzamento dei presupposti per erogare le prestazioni; 4) a norma del precitato D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 7, come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999 il Servizio Sanitario assume l’onere economico di tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie che, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, presentano evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate, mentre sono esclusi quelli che: a) non rispondono ai principi ispiratori del S.S.N.; b) non soddisfano il principio di efficacia ed appropriatezza o la cui efficacia non è dimostrabile in base ad evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate;
c) costituiscono altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, ma non soddisfano il principio di economicità di impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza; 5) i principi ispiratori del S.S.N. a norma del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 2, sono informati ad assicurare i livelli essenziali ed uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto del principio della dignità della salute umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza, riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità dell’impiego delle risorse; 6) il diritto alla salute onde tutelare la dignità umana assume un aspetto prevalente ed inviolabile sui concorrenti diritti pubblici di natura patrimoniale e sulle valutazioni di economicità; 7) la tutela della dignità della persona impone di erogare servizi che non si limitano al regresso della malattia, ma offrono ogni altra utilità volta a ripristinare nel soggetto colpito le condizioni per una decorosa convivenza con la condizione patologica o la disabilità, come affermato anche nel Preambolo della c.d. Carta di Nizza secondo cui nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana; 8) conseguentemente il diritto alla salute si estende fino a ricomprendere ogni mezzo terapeutico che manifesti una concreta utilità ad alleviare la limitazione funzionale dell’assistito, anche sotto il profilo esistenziale e di relazione, e quindi anche soltanto individuale, si che le ragioni di oggettiva apprezzabilità di una certa terapia diventano scarsamente significative a fronte della risposta soggettiva ed individuale e pur se il successo è parziale in quanto l’efficacia coincide con la durata del trattamento; 9) nella specie il C.T.U. aveva riscontrato che il metodo in questione aveva consentito alla S. di conseguire risultati favorevoli sia fisici che psichici, come certificato da specialisti, senza danni collaterali, e gli stessi avevano altresì attestato che risultati simili avrebbero potuto esser raggiunti anche presso le USL, ma soltanto se la concentrazione temporale fosse stata analoga, il che ambulatorialmente non era possibile, ed hanno ritenuto giustificato il costo delle prestazioni, anche se più elevato di quello sopportato dalle USL per terapie assimilabili; 10) quanto al requisito dell’appropriatezza nel senso richiesto dal precedente di legittimità – Cass. 10692 del 2008 – e cioè il rapporto tra il beneficio della cura e la salvaguardia dell’autonomia della persona – nel caso in esame era sussistente poichè a fronte di un impegno giornaliero massimo di tre ore e mezzo – ed infatti la S. si è laureata in psicologia in tempi ordinari – i risultati erano stati notevoli.
Ricorre per cassazione l’AUSL (OMISSIS) di Siena cui resiste S. I., che ha altresì depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce: “(violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1 e n. 3; violazione per errata applicazione dei principi in tema di riparto della giurisdizione desumibili dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 e successive modifiche – L. n. 205 del 2000, art. 7; violazione del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 29;
violazione per mancata applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 59)” e lamenta che la Corte di merito ha confermato la sentenza del Tribunale sulla giurisdizione ordinaria fondata su pronunce della Suprema Corte che hanno ritenuto competente l’AGO in situazioni sanitarie in cui le prestazioni avevano i requisiti della necessità e dell’urgenza; non erano usufruibili presso l’ASL con modalità adeguate al caso clinico e non erano ottenibili dal SSN e in questi casi il diritto alla salute è stato ritenuto non suscettivo di affievolimento per valutazioni discrezionali meramente tecniche.
Perciò la tutela immediata era il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, attuata mediante il ripristino del patrimonio ed infatti la giurisdizione esclusiva del G.A. concerne, a norma del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 2, lett. e), tutte le controversie in materia di pubblici servizi, comprese quelle nell’ambito del S.S.N. eccetto i rapporti individuali di utenza con soggetti privati, le controversie risarcitorie sul danno alla persona o cose e le controversie in materia di invalidità. Dunque se il petitum è il diritto alla salute è competente il G.O.; se invece è un’attività, anche vincolata, della P.A., come nel caso del diritto al rimborso, è competente il G.A.. Nella fattispecie il fatto costitutivo del diritto è conseguente ad una libera scelta del soggetto, in assenza di lesione del diritto alla salute costituito dalla mancata erogazione del servizio, dovuta alle modalità organizzative delle prestazioni sanitarie previste per legge o attribuite all’attività vincolata della P.A. Ed infatti la ASL (OMISSIS) di Siena aveva fornito la prova documentale della possibilità per la S. di fruire degli stessi trattamenti terapeutici presso la predetta ASL e la stessa S. ha ammesso di non aver chiesto la preventiva autorizzazione al trattamento terapeutico pur in assenza di urgenza o stato di necessità, e del resto la medesima aveva già fruito di altri trattamenti sanitari adeguati e proficui e quindi aveva la possibilità di rimedi alternativi ugualmente validi e perciò il suo diritto alla salute era tutelato. Il diritto di credito perciò scaturisce da una libera scelta della S. di sottoporsi a cure presso un centro privato, per esse non accreditato presso la usi, e non è strumentale alla tutela del diritto alla salute ed il SSN riconosce tale diritto, se non abbia il requisito dell’urgenza, soltanto se rispetta requisiti e procedure che sono compatibili tra il soddisfacimento di esso e l’impossibilità delle strutture pubbliche di erogare il servizio in modo efficiente ed appropriato. Conseguentemente il diritto alla salute non è un incondizionato diritto all’assistenza sanitaria.
Inoltre la potestas iudicandi del G.A. trova conferma anche nella constatazione che nella specie il comportamento lesivo della P.A. è un atto di diniego del rimborso dell’ente e perciò in base alla L. n. 205 del 2000 autonoma domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per attività illegittima e provvedimentale, espressione di poteri autoritativi, investe una posizione di interesse legittimo tutelabile dinanzi al G.A.. Pertanto la S. doveva impugnare dinanzi al TAR il diniego della USL di rimborso – adottato nei rispetto delle Leggi Regionali del 1993, 1997, 2005 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, e quindi il comportamento dell’ente è legittimo – questo essendo il petitum della sua pretesa risarcitoria che avrebbe leso il diritto alla salute, che non è incondizionato nel caso in cui, difettando lo stato di necessità e l’urgenza, è tutelabile soltanto attraverso il controllo, in base ai principi di effettività, imparzialità e buon andamento della P.A. ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost. e può esser protetto soltanto attraverso l’organizzazione e la gestione delle strutture sanitarie. Infatti anche la Corte Costituzionale ha affermato che sotto il profilo del diritto a trattamenti sanitari il diritto alla salute è soggetto alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione della tutela da parte del legislatore e quindi, inteso il diritto alla salute come diritto alla pretesa erogazione di prestazioni, soltanto se è compresso il nucleo irriducibile del diritto costituzionalmente protetto ed inviolabile della dignità umana può non subire i condizionamenti delle risorse finanziarie stabilite dal legislatore, diversamente anche il principio di solidarietà va bilanciato tra diritti soggettivi inviolabili e funzioni della P.A. Ne deriva che il diritto di credito assunto come incondizionato e non sottoposto a nessuna disciplina di esercizio, deve esser tutelato dinanzi al G.A..
2.- Con il secondo motivo deduce: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (nel combinato disposto del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 7, e successive modifiche)”.
Il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 2, concerne i c.d. Livelli Essenziali di Assistenza con l’indicazione dei principi per la P.A. di programmazione, approvazione ed erogazione dei servizi inclusi in tali livelli e la prestazione deve esser effettuata nel rispetto degli artt. 2, 3 e 97 Cost., e cioè nell’erogazione pubblica devono essere rispettati i principi di uguaglianza sostanziale, imparzialità ed efficienza della P.A., ed infatti non vi è un preteso diritto incondizionato all’assistenza sanitaria e la normativa non impone di rimborsare trattamenti terapeutici che non hanno effetto sulla patologia sofferta, ma soltanto sul benessere generale del paziente, ovvero sulla percezione che il paziente ha del suo status patologico.
Infatti il comma 7, dell’art. 1 esclude la rimborsabilità delle prestazioni sanitarie “per specifiche condizioni di rischio” – e cioè legate alla particolare condizione patologica del soggetto se:
a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del S.S.N. di cui al comma 2; b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero non è dimostrabile l’efficacia in base alle evidenze scientifiche disponibili – salvo in strutture sanitarie accreditate dal S.S.N. nell’ambito di appositi programmi di sperimentazione autorizzati dal Ministero della Sanità – o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate;
c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze non soddisfano il principio dell’economicità delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza.
Violando la legge sostanziale – D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 7, art. 3 – poi la Corte di merito ha ritenuto che il sistema valorizza anche i casi in cui la terapia ha un’efficacia meramente individuale sulle capacità residue dell’individuo, e perciò le ragioni di oggettiva apprezzabilità di una certa terapia diventano scarsamente significative, mentre invece nella erogazione pubblica di servizi deve esser rispettato il principio dell’uguaglianza sostanziale, imparzialità ed efficienza della P.A. e per questo non esiste un preteso diritto incondizionato all’assistenza sanitaria, nè la normativa stabilisce che il SSN deve rimborsare trattamenti terapeutici che hanno riflessi soltanto sul benessere generale o sulla percezione che ne ha il paziente ed infatti il D.Lgs. n. 502 del 1992, comma 7, garantisce che le prestazioni sanitarie per specifiche condizioni di rischio non possono esser valutate e sostenute dal S.S.N. in carenza delle condizioni di cui alle precitate lettere a), b) e c). Inoltre il C.T.U. ha omesso di considerare che il metodo Dikul non è stato neppure temporaneamente efficace per la patologia fisica della S. che ne ha tratto soltanto un beneficio psicologico, mentre il succitato D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 7, consente all’ente erogatore, come confermato dal successivo comma 8, una flessibilità per valutare il beneficio della terapia con le condizioni cliniche del paziente onde garantire il pieno rispetto e tutela dell’integrità fisica come bene protetto dall’art. 32 Cost., ma non psicologico. In ogni caso il rimborso del costo del trattamento effettuato senza preventiva autorizzazione è giustificato soltanto se sussistono i presupposti della necessità, urgenza, efficacia appropriatezza e mancanza di analoghi trattamenti già erogati dal S.S.N..
3.- I motivi, connessi, sono infondati.
Ed infatti, dando seguito ai principi già affermati da questa Corte, quando l’assistito dal Servizio sanitario nazionale allega alla domanda una situazione di fatto fondata sul diritto alla salute – come nel caso di prestazione sanitaria basata su tecniche terapeutiche non praticate dal S.S.N. per ottenere l’attenuazione o la rimozione delle conseguenze del suo stato morboso – la cognizione della controversia spetta al giudice, ordinario perchè “fa questione” di diritto soggettivo perfetto, primario e fondamentale della persona, incomprimibile per la base costituzionale non solo privata che lo tutela (art. 32 Cost.) Cass. Sez. Un., 26 maggio 2004 n. 10180; Cass., Sez. Un., 3 marzo 2003 n. 3145, sì che, ancorchè il contenuto indeterminato di tale diritto lascia spazio al legislatore e alla P.A. nella scelta organizzativa dell’erogazione del relativo servizio tenendo conto anche delle compatibilità di finanza pubblica, la relativa discrezionalità non può però sacrificare tale diritto, e per questo il legislatore la ancora a criteri scientifici e tecnici alla cui luce valutarne la fondatezza nel merito (Sez. Un. 13 luglio 2006 n. 15897, 30 maggio 2005 n. 11334, 24 giugno 2005 n. 13548, Cass. S.U. 2007 n. 11567).
3.1- Ne consegue, in base al criterio della qualificazione giuridica della situazione soggettiva dedotta e della protezione accordata dal diritto positivo al petitum sostanziale, individuato dai fatti posti a fondamento del medesimo, che anche la domanda di rimborso delle spese per una prestazione sanitaria che offra anche soltanto l’opportunità di migliorare le condizioni di integrità psico- fisica, e quindi delle condizioni di vita, della persona bisognosa di cura, o di allontanarne l’aggravamento clinico o diminuirne l’indice di aggravamento, e perciò pur in mancanza del requisito dell’urgenza per la salvaguardia della vita (Sez. Un. 6 febbraio 2009, n. 2867), spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, e non amministrativo per effetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, comma 2, lett. e), come sostituito dalla L. 7 luglio 2000, n. 205, art. 7, “riguardanti le attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario …” – c.d. “rapporti individuali di utenza” – avendo la Consulta, con la sentenza n. 204 del 2004, dichiarato (l’illegittimità delle norme che attribuiscono al giudice amministrativo la giurisdizione per gruppi di materie a prescindere dall’esercizio di potere di supremazia sulla situazione giuridica soggettiva oggetto di controversia e riaffermato che il binomio diritti-interessi, secondo il sistema costituzionalizzato dagli artt. 24, 102 e 103, è decisivo ai fini della risoluzione della questione processuale della giurisdizione, salvo per “particolari materie”, contrassegnate dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione – che non è il coinvolgimento di pubblici interessi nella disciplina del rapporto di utenza e che è il medesimo che fonda la giurisdizione generale di legittimità – che giustifica l’attribuzione della tutela esclusiva del diritto ad esse relativo al giudice amministrativo. Perciò il necessario contemperamento con gli interessi della P.A., pure costituzionalmente garantitio, alla copertura finanziaria dei servizi erogabili e alla scelta della loro organizzazione, non può determinare, mediante l’esercizio del potere della stessa di autorizzare la cura – non erogabile dal S.S.N. in base ai D.P.C.M. vigenti – secondo criteri di discrezionalità tecnica di accertamento delle condizioni oggettive richieste dalla legge per il riconoscimento del diritto alla assistenza e quindi non in base alla supremazia della P.A. (sezioni Unite del 30 maggio 2005 n. 11333 e 28 giugno 2006, n. 14848) – l’eliminazione del nucleo irriducibile del diritto primario alla salute condizionandolo alla prioritaria tutela di quegli interessi pubblici, sì da affievolirlo ad interesse legittimo (Sezioni Unite n. 5402 del 09/03/2007).
3.2- Ne deriva che i limiti e i presupposti per l’esistenza del diritto a fruire delle prestazioni sanitarie o del rimborso della relativa spesa costituiscono il fondamento di merito della domanda, da provare dall’assistito e da accertare dal giudice ordinario – così come dall’autorità amministrativa all’atto dell’autorizzazione – in base ad apprezzamenti tecnici – evidenziati dalla scienza medica sulla scorta di valutazioni di commissioni sanitarie costituite a livello regionale sul significativo beneficio della salute secondo i principi ispiratori del S.S.N. di efficacia delle cure e di appropriatezza della prestazione sanitaria alle specifiche esigenze individuali e collettive al fine di giustificarne l’assunzione dell’onere economico, ovvero considerando la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale, alla luce della L. 23 ottobre 1985, n. 595, art. 5 e D.M. Sanità 3 novembre 1989, art. 2, comma 4, come successivamente modificato – che considerano prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico la prestazione che richieda specifiche professionalità, ovvero secondo procedure tecniche non praticate – e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1, commi 1, 2 e 7, come modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, lettere a) necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del S.S.N., b) principio dell’efficacia e dell’appropriatezza delle prestazioni, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzate per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate, c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfacenti il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non assicuranti un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza, suscettive di nuova valutazione tecnica da parte dell’ausiliare del giudice.
3.4- Correttamente dunque i giudici di merito hanno qualificato diritto soggettivo perfetto la situazione dedotta in giudizio sulla base del criterio del petitum sostanziale (cioè della causa petendi, individuata sul piano del diritto alla stregua dei fatti prospettati:
art. 386 cod. proc. civ.), ed hanno conseguentemente dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda della S. di rimborso delle spese per le prestazioni terapeutiche eseguite presso una struttura privata – senza preventiva, autorizzazione, che sapeva certamente negata – per conseguire attraverso di esse miglioramenti delle condizioni psico-fisiche, anche soltanto attenuando, e pur se transitoriamente, le sue condizioni patologiche e di disabilità, stante l’impossibilità di fruire mediante il servizio pubblico di altrettante cure adeguate alla particolarità del suo caso clinico (Sezioni Unite del 15 dicembre 2005 n. 27678), sì che la controversia non si risolve nella mera pretesa di libera scelta della modalità tecnica della cura presso un centro non accreditato con il S.S.N., valutabile dalla P.A. alla stregua dei generali interessi della collettività, individuabili nella contingente organizzazione sanitaria, limitata dalle risorse organizzative e dagli oneri di bilancio (Sezioni Unite primo agosto 2006 n. 17461).
4.- Ritenuto pertanto infondati i primi due motivi di ricorso di competenza delle Sezioni Unite, va confermata la giurisdizione del giudice ordinario.
5.- Quindi gli atti vanno trasmessi al Primo Presidente per l’assegnazione alla Sezione Lavoro, competente a decidere sugli ulteriori motivi di ricorso attinenti all’esistenza del diritto della S. – “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (nel combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.); Violazione dell’art. 360, n. 4. Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.. Violazione dell’art. 360, n. 3 (nel combinato disposto della L. n. 833 del 1978, art. 26, L.R.T. n. 5 del 1997, art. 1 e L.R.T. n. 23 del 1993. Violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 bis); Violazione dei principi generali in tema di risarcimento danni per inadempimento (art. 1218 c.c., e segg.); Violazione dei principi in tema di quantificazione delle somme dovute agli utenti del S.S.N. quale rimborso per le prestazioni usufruite presso strutture private” – e sulle spese del giudizio di Cassazione.
PQM
P.Q.M.
La Corte respinge il primo e il secondo motivo del ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e dispone trasmettersi gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alla Sezione Lavoro per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2012

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